domenica 2 novembre 2014

Berlino. 1989-2014


Berlino. La caduta del muro che cambiò le vite degli altri
La scrittrice Schadlich: “Non sapevamo fare la spesa, c’era troppa scelta”

Carlo Antonio Biscotto

"Il Fatto",  2 novembre 2014

C’era una tale quantità di prodotti e di marche nei supermercati che era impossibile fare la spesa. Ricordo che accompagnai mia madre subito dopo aver sentito alla televisione la notizia”, rievoca oggi la scrittrice Susanne Schadlich che ha trascorso l’infanzia nella Germania comunista, l’adolescenza in quella capitalista e ha finito per non sentirsi a casa propria né nell’una né nell’altra. Poco tempo prima suo padre, lo scrittore Hans Joachim Schadlich, era caduto in disgrazia per aver difeso pubblicamente il cantautore Wold Biermann che aveva osato criticare il regime e tutta la famiglia era finita nel mirino della polizia politica.
Sembrano giorni lontanissimi. Il 9 novembre i tedeschi festeggeranno il 25° anniversario della caduta del Muro di Berlino che consentì la riunificazione del Paese e determinò la fine di un regime che per moltissimi cittadini era diventato un incubo. Alcune cicatrici non si sono ancora rimarginate, ma le differenze tra Est e Ovest si sentono sempre di meno, specialmente tra i giovani. Lo conferma il responsabile dell’archivio della Stasi, la temuta polizia segreta della DDR: “Quando parlo con i giovani non fanno mai riferimento alla ex DDR o alla Germania dell’ovest; mi dicono semplicemente che sono tedeschi e in quale quartiere di Berlino abitano”.
QUALCUNO RICORDA i 100 marchi che il governo di Bonn dava come regalo di benvenuto ai cittadini della Germania orientale. “Lo ricordo benissimo quel giorno. Andai con mio padre a vedere cosa stava succedendo. Avevo appena otto anni e mi colpì vedere gente che si abbracciava e che cantava. Non che capissi, ma mi rendevo conto confusamente che stava accadendo qualcosa di eccezionale”, ricorda Katharina Marggraff, giovane pediatra di Berlino ovest che ha trascorso l’infanzia in un’isola occidentale circondata dal cosiddetto “socialismo reale”. Da piccola le sembrava normale vivere in una enclave, in una sorta di città-isola, oggi ha un atteggiamento diverso: “Non vedo significative differenze tra noi cresciuti a ovest e i tedeschi cresciuti a est. Ci divideva un muro, niente altro”.
Comunque sia, trionfalismi a parte, di differenze ce ne sono ancora e le promesse del Cancelliere Kohl ai cittadini della DDR nel corso della campagna elettorale del 1990 sono state mantenute solo in parte. Malgrado i progressi nell’ex DDR, permane una differenza del 6% circa in termini di PIL tra i cinque Land orientali e il resto del Paese. Inoltre i territori orientali hanno perduto il 20% circa della popolazione trasferitasi a ovest in cerca di migliori opportunità di lavoro. “È vero che non siamo ancora arrivati alla totale uguaglianza, ma non si sono nemmeno avverate le previsioni pessimistiche secondo cui l’ex Germania dell’Est sarebbe diventata una regione cronicamente sottosviluppata”, dice lo storico Heinrich August Winkler. Due nomi sono stati l’esempio emblematico della riconciliazione: quello della cancelliera Angela Merkel e quello del presidente Joachim Gauck, entrambi nati e cresciuti nella DDR.
È molto difficile incontrare un tedesco dell’Est che non ricordi con immenso piacere la caduta del Muro e la riunificazione delle due Germanie. Secondo una indagine condotta recentemente da Focus, il 75% degli abitanti dell’ex DDR si dichiarano soddisfatti del processo di riunificazione e della loro attuale condizione. Tra i giovani la percentuale supera il 96%. Ovviamente meno entusiasti del processo di riunificazione sono gli occidentali e infatti solo il 50% di loro considera un “buon affare” per la Germania la riunificazione del Paese. “Siamo una democrazia compiuta, ma il passato non ci consente di sentirci del tutto “normali”. Pesa ancora sulla Germania la maledizione di Auschwitz, un crimine con il quale dovremo sempre convivere”, sottolinea lo storico Winkler che proprio in questi giorni sta per dare alle stampe il terzo volume della sua monumentale storia dell’Occidente: Dalla guerra fredda alla caduta del Muro.
“ABBIAMO GUADAGNATO molte cose, ma abbiamo perso quel sentimento di solidarietà che provavamo nella DDR”, assicura Peter Steglich, ex ambasciatore trovatosi disoccupato alla caduta del Muro. Sua moglie, Mercedes Alvarez, spagnola, la prende con senso dell’umorismo: “Tempo fa mio marito parlando con un amico che aveva fatto il suo stesso lavoro per la Germania occidentale, gli disse quanto guadagnava. Alla settimana? rispose quello quando sentì la cifra. No, al mese. E scoppiarono a ridere”. Ovviamente non mancano i nostalgici. “Avevamo una sensazione di sicurezza. Non vivevi con la continua paura di perdere il lavoro, di finire in mezzo alla strada, di non poterti guadagnare da vivere. Ricordo la faccia di mio figlio quando per la prima volta vide un barbone a Berlino ovest. Non riusciva a capire per quale ragione in pieno inverno dormisse su una panchina”, dice Dagmar Enkelmann eletta deputata per il PDS alle prime elezioni del dopo-comunismo. “Nella DDR c’erano problemi di alcolismo, ma non sapevamo cosa fosse la droga”. La scrittrice Susanne Schadlich si ribella: “Argomenti risibili. I nostalgici in realtà rimpiangono la loro giovinezza. È ovvio che anche io ho dei buoni ricordi. Ma le cose positive esistevano malgrado il regime, non grazie al regime”.
Manfred Roseneit, uno degli ultimi ad abbandonare la DDR prima della costruzione del Muro, batte sul tasto della situazione economica: “Volevo semplicemente un lavoro migliore e meglio pagato e sono passato all’Ovest. Purtroppo per tanti anni non ho potuto vedere mia madre e mia sorella”. Anche la vita di Eric Pawlitzky cambiò completamente in quel fatale giorno di novembre del 1989. Aveva militato nel Partito socialista unificato, che però aveva abbandonato essendosi convinto che non era possibile cambiare il regime dall’interno.
Dopo la caduta del Muro ebbe la possibilità di leggere il dossier redatto su di lui dalla Stasi. Lo si descriveva come “nemico dello Stato socialista e diffamatore”. “È la prima volta che gli archivi dei servizi segreti vengono messi a disposizione dei cittadini comuni”, dice Eric. “Hanno potuto leggerli due milioni di tedeschi orientali e in questo modo i crimini del regime sono diventati di dominio pubblico”.


Diario del 9 novembre 1989
Quei giorni al centro dell’universo la libertà era una maglietta dei Clash

Francesco Ridolfi

Quel contrasto tra i cittadini di Berlino Est me lo porterò nel cuore per tutta la vita: chi era cresciuto in una città senza muro guardava il foro in quella barriera dell’anima, scrutava la parte ovest, con gli occhi bagnati di gioia; chi invece era nato nella parte sovietica e ora si affacciava nell’occidente - che aveva visto solo gettando gli occhi al di là della barriera - aveva lo stupore di chi scende su un altro pianeta. Una cosa però era comune a tutti: quella gioia immensa che è la libertà. Avevo appena finito il servizio militare e con due amici ci imbarcammo in auto nel viaggio verso il luogo che sapevamo essere il centro dell’universo. Era da poco passato il 9 novembre, ancora non era stata fatta l’unificazione politica. Ma quella che la propaganda chiamava antifaschistischer schutzwall (barriera di protezione antifascista) era stata forata per sempre. Per arrivare a Berlino bisognava percorrere un centinaio di chilometri di una autostrada fatta a lastroni e con le torrette per le sentinelle, che spaccava la Ddr in due. Nessuna pompa di benzina lungo il tragitto. In quei giorni non si vedeva una macchina. Ci fermammo in qualche cittadina, dormendo in tenda per i campi. Alberghi neanche a parlarne. Gli abitanti della provincia non avevano mai visto un turista. Ti scrutavano, si radunavano attorno all’auto. Difficile comunicare. E nei bagni non c’era la carta igienica, ma i giornali di partito. Ogni tanto capitava anche una pattuglia della polizia della Ddr che ti seguiva e spiava da lontano, con una certa nostalgia. A Lipsia, per dire, città che con la “manifestazione del lunedì” del 9 ottobre 1989 diede uno scossone agli equilibri dell’epoca, c’era un improbabile ufficio turismo. Una stanza con un sonnolento impiegato che parlava solo il dialetto locale.
ENTRARE A BERLINO era come fare un tuffo nella vita. La gente si muoveva attorno al muro elettrizzata dall’euforia. Di varchi aperti ce n’erano pochi e per passare da una parte all’altra della città bisognava fare lunghe file in auto: da un lato quelle occidentali, dall’altra le squadrate Trabant, rigorosamente uguali. E colpiva il contrasto tra i vestiti colorati degli occidentali e il grigiore uniforme degli abitanti dell’est, quello tra i neon e le piatte insegne dei negozi della parte russa. Contrasti che si univano in abbracci spontanei e nello scambio di oggetti (molti ragazzi dell’est ti chiedevano le magliette dei Clash o dei Joy Division). Un contrasto ben rappresentato dall’installazione tridimensionale che si trova a Checkpoint Charlie, il posto di blocco del settore a controllo americano, oggi divenuto luogo della memoria.
In quei giorni il muro attraeva come una calamita. Gli artisti accorsi da ogni parte del mondo (molti dell’accademia di Berlino) stavano dipingendo quel chilometro di muro che diverrà un museo a cielo aperto, la East Side Gallery. Pitture come il bacio tra il segretario del Pcus, Leonid Brenev e l’ex leader della Ddr Erich Honecker. Oppure quello che rappresenta la Trabant che squarcia il muro. Intorno a quei 155 km di barriera si accalcavano i mauerspechte (in tedesco significa letteralmente “picchi del muro”), ossia persone che staccavano pezzi di muro da tenere come souvenir. Ho continuato a tornare a Berlino regolarmente, l’ho vista fiorire e trasformarsi nella New York d’Europa. Una città viva e frizzante, tollerante e colta. Una città che ha dato una lezione al mondo.


La ragazza dell’Est che sognava le ostriche
La parabola di Angela Merkel, simboilo dell’unificazione
Dall’Università Karl Marx di Lipsia al ruolo di primo piano nel governo Kohl
Per il cancelliere era “La mia bambina”

Mattia Eccheli

Berlino Una birra dopo la sauna. Niente di strano, lo fanno in molti, i finlandesi anche durante. Ma era la notte del 9 novembre e la città era Berlino, sul versante occidentale dove i primi tedeschi della ormai ex DDR si stavano riversando dopo aver superato il muro. Fra loro c’era Angela Merkel, la prima donna cancelliera, che lo scorso luglio ha festeggiato il sessantesimo compleanno. E che fra qualche giorno celebrerà anche i 25 anni di quella simbolica caduta. Che ha cambiato la storia del mondo, non solo la sua. “Era una birra in lattina”, ricorderà Merkel. E poiché era giovedì - “e il giovedì andavo sempre a fare la sauna” - la futura cancelliera aveva mantenuto l’appuntamento con una amica. Mentre il paese implodeva. Con la madre scherzava: “Se mai il muro non ci dovesse più essere – diceva – andiamo a mangiare le ostriche al Kempinski”. Un quarto di secolo più tardi, le due donne ancora non hanno onorato l’impegno.
L’UNIFICAZIONE è costata almeno 2000 miliardi di euro. Il che spiega come mai il 75% dei tedeschi dell’Est la giudichi positivamente (solo il 48% all’Ovest), anche se lo sviluppo economico è ancora un terzo sotto il livello della parte occidentale del paese e il salario medio lordo è di 3.094 euro da una parte e 2.317 dall’altra. Le differenze non finiscono qui.
Nata ad Amburgo, nella Germania Federale, Angela Dorothea – un destino nel secondo nome, lo stesso della storica corrente moderate della DC italiana – è cresciuta nella Germania Democratica. Dove, insinuano anche gli autori del libro Das erste Leben von Angel Merkel (La prima vita di Angela Merkel), godeva di ottime entrature negli ambienti politici, tanto da poter studiare all’università Karl Marx di Lipsia, una facoltà d’élite; faceva anche parte dell’organizzazione Freie Deutsche Jugend, il movimento della Libera gioventù tedesca del partito socialista della DDR occupandosi, secondo alcune fonti, della propaganda. L’adesione era volontaria.
L’EX GERMANIA dell’Est che si “riscatta” ha il suo volto, proprio quello della Merkel, anche se la cancelliera sorride raramente. E sempre con contegno. Conduce un’esistenza ritirata, confessa ancora di sentirsi “brandeburghese” e parla perfettamente il russo. La caduta del muro ha sancito la fine improvvisa di promettenti carriere. Non è stato il suo caso: Merkel fu protagonista di Risveglio Democratico (Demokratische Aufbruch), il partito nato in quel periodo nella ex DDR, finendo quasi subito a lavorare per il numero uno, Wolfgang Schnur, un avvocato “bruciato” di lì a poco quando emerse che per 24 anni era stato collaboratore del Ministero per la sicurezza. La giovane fisica non risente dello scandalo e pochi mesi dopo diventa la portavoce del nuovo presidente del consiglio dei ministri transitorio della DDR, Lothar de Maizière, cugino di Thomas, attuale fidato ministro degli interni e in precedenza alla difesa del gabinetto Merkel. Non due dicasteri qualsiasi.
Poi l’incontro con Helmut Kohl, il padre della riunificazione – recentemente apparso alla Fiera del libro di Francoforte in una affollatissima conferenza stampa per la riedizione di un suo libro, accompagnato dalle polemiche con il suo “biografo” - e la definitiva consacrazione nel firmamento della politica: nel 1991 è già ministro. Per l’allora imponente cancelliere – incarico svolto per 5 volte per un totale di 16 anni – lei era “mein Mädchen”, la “mia bambina”. Che ha sostenuto e incoraggiato.
Chi l’ha sottovalutata, è stato Gerhard Schroeder, cancelliere socialdemocratico al quale Merkel è succeduta: “Gliel’ho detto che prima o poi lo metterò all’angolo come lui ha fatto con me. Ho solo bisogno di tempo, ma quel giorno arriverà”.
Figlia della Germania “povera”, Angela Merkel guida ora quella “ricca”, che tira le redini dell’economia e della finanza europea. È la versione tedesca del “sogno americano”, anche se lei non era proprio “figlia di nessuno”.
Il padre, Horst Kasner, era un teologo della chiesa evangelica, destinato in missione oltre cortina, a Quitzow, assieme alla moglie, un’insegnante di inglese.

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