domenica 15 novembre 2015

Amori e cavalieri, Medioevo sui muri


Dal Trecento le immagini degli eroi cortesi 
riempiono chiese, palazzi, castelli. E scalzano i santi

Carlo Bertelli, "Corriere della Sera - La Lettura", 15 novembre 2015

«Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse». Così ha inizio, nella Commedia, il toccante racconto di Paolo e Francesca. I romanzi cavallereschi parlavano di amore e di passioni e proponevano modelli di comportamento liberi dalle convenzioni. Il loro successo si dimostra nell’onomastica del Tre e Quattrocento, dove i nomi di Ginevra, Lionello, Arturo s’intrecciano e cacciano gli usuali santi patroni. Nel suo nuovo libro Storie al muro. Temi e personaggi della letteratura profana nell’arte medievale (pubblicato da Einaudi) Maria Luisa Meneghetti, sollevato lo sguardo dalla lettura delle carte, che conosce in modo mirabile, guida il lettore a scoprire gli echi dei romanzi nelle loro rappresentazioni in figura, come una «letteratura parallela di testi iconici». Da ritrovare nei manoscritti, naturalmente, ma anche in immagini monumentali su muro o in pietra, le quali hanno prodotto un rapporto quasi quotidiano con la nuova mitologia, i cui eroi sono così presenti da apparire persino sui muri delle chiese, come Rolando e Oliviero, che accolgono i fedeli dagli stipiti del portale di San Zeno a Verona.
Stando all’Entrée d’Espagne, un testo che si conserva alla Biblioteca Marciana di Venezia in un codice allestito e miniato alla corte dei Gonzaga, e secondo altrui testimoni, come la poco più antica Cronaca dell’arcivescovo Turpino, prima di uccidere il musulmano Ferracutus, Rolando gli snocciola i punti essenziali del credo niceno, mentre la stessa rotta di Roncisvalle aveva ormai assunto il tono mistico di un sacrificio. Non sempre era però possibile conformare le leggende alle norme. Sui muri della cattedrale di Borgo San Donnino (Fidenza), la storia di Rolando comprende, oltre alla raffigurazione della sua infanzia selvaggia nei boschi presso Sutri, l’adulterio della madre, Berta, con Milon, che la fruga sotto la gonna, mentre lei, sorridente, stringe un fiore al seno.
Avveniva che nella trasmissione orale, i cicli cavallereschi subissero adattamenti e cambiamenti, che ora solo un occhio molto esperto è in grado di riconoscere e ricondurre alle fonti, ma anche pittori e scalpellini intervenivano ad arricchire il racconto.
Il luogo prediletto per la rappresentazione di storie di dame e cavalieri era, evidentemente, il castello. A Gradara non vi è nessuna sala decorata con le storie di Lancillotto, come avviene altrove, dove le storie dipinte sui muri potevano apparire come gesta di quasi antenati, o per lo meno di personaggi-modello, come c’insegna la frequenza con cui i rami degli alberi genealogici delle grandi famiglie nobili accolgono eroi troiani e romani o delle saghe nordiche. Esemplare, per il culto di Lancillotto, la raccolta di circa una quindicina di scene già in una sala del castello di Frugarolo nei pressi di Alessandria, oggi trasferite nel museo del capoluogo. Tutto l’insieme era in una sola «camera Lanziloti». Con mano maldestra, ma fedele al testo, vi è narrato per esteso il famoso romanzo di Lancilot du Lac, a cominciare da quando l’infante è adottato dalla misteriosa e luminosa Dama del Lago. Fortunatamente questa stessa storia ispirò uno dei più alti capolavori della miniatura lombarda al servizio di Barnabò Visconti.
È appunto su questi incanti della pittura, dovuti specialmente a Gentile da Fabriano e Pisanello, che si è costruita la nostra visione dorata del mondo cavalleresco, trasferito poi ai libri per l’infanzia del XIX e XX secolo. Più che nell’inseguimento di una trama narrativa, era nell’invenzione di miti come quello della Fonte della Giovinezza che i pittori cristallizzavano gli ideali del mondo aristocratico, come avviene negli affreschi di Aimone Duce nel castello della Manta o nello splendore d’un torneo, come negli affreschi di Pisanello nel palazzo ducale di Mantova. Ma che aspetto avevano i cantori di questi racconti insieme avventurosi e commoventi? In un’iniziale del celebre codice Manesse, il più ricco e famoso canzoniere tedesco, Walther von der Vogelweide si presenta da solo umilmente seduto: «Io sono sopra una pietra»; Inghifredi da Lucca s’inginocchia e prega devotamente Amore; Guido delle Colonne, che in un’iniziale miniata appare cavalcato da Amore, si dichiara: «Amor ke lungamente m’a’ menato a freno strecto, sença riposança».

domenica 1 novembre 2015

Sinestesia audiovisiva. La musica che ispira Kandinsky


V. Kandinsky, Composition VII, 1913
Arnaldo Benini

"Il Sole 24 ore - Domenica", 1 novembre 2015

Edgar Allan Poe, nel 1844, scrisse che quando sentiva il ronzìo di una zanzara vedeva un raggio arancione, e viceversa. È il primo resoconto della sinestesia, sovrapposizione di una stimolazione vera e di una, di qualità uguale o diversa, che in realtà non c’è. L’esperienza di Poe era inconsueta, perché, di regola, la sinestesia é unidirezionale. È l’incrocio involontario di due sensazioni diverse, provocato da una stimolazione sola. Della doppia esperienza sensoriale in seguito ad una sola stimolazione sono capaci non più del tre-quattro per cento degli esseri umani. Fra i sinestetici d’entrambi i sessi, ci sono molti musicisti, poeti, scrittori, pittori e persone sensibili. La sinestesia, a differenza dell’immaginazione, è involontaria e insopprimibile. Si sente, ad esempio, un suono e si vede una macchia, o si percepisce un odore. Un numero, una lettera o una parola, letti, sentiti o anche solo pensati, sono associati costantemente ad un colore, o una sensazione tattile è provocata da un odore. La sinestesia più frequente è la cromestesia: si vedono colori sentendo suoni, il colour (o coloured) hearing degli autori anglofoni. La sensazione illusoria è semplice: sentendo un suono si vedono macchie di uno o più colori, mai un volto, un’azione o un panorama. Una mamma vedeva macchie gialle sgradevoli quando il figlio neonato piangeva. Franz Liszt sconcertava gli strumentisti di Weimar, di cui era Kapellmeister, con incitazioni come «più rosa, qui», «questo è troppo nero» oppure «ora voglio tutto azzurro»: la musica che aveva in testa era comunicata come colore. Il compositore Alexander Skrjabin vedeva un colore se l’emozione della musica era intensa. Il colore, diceva, accentua la tonalità. Egli richiedeva che il suo Prométhée Le Poème du feu fosse accompagnato da luci con colori cangianti, per sottolinearne le tonalità. Seduto accanto a Rimsky Korsakov a Parigi, Skrjabin gli disse che la musica che stavano ascoltando gli appariva gialla. Per Korsakov era dorata. Un brano successivo era violetto per l’uno e verde per l’altro. 
Le sinestesie, certamente su base genetica (molti sono i casi familiari), sono così varie che non si può pensare ad un meccanismo nervoso omogeneo. La causa potrebbe essere un collegamento particolarmente intenso fra o all’interno dei meccanismi percettivi. La visualizzazione del cervello durante le sinestesie mostra l’attivazione delle aree primarie dello stimolo (ad esempio le aree sopra e sotto la fessura di Silvio in caso di parole, di aree parietali in caso di numeri, di aree temporali superiori in caso di suoni) e aree della sensibilità indotta. Nella cromestesia l’area visiva primaria (compresa quella specifica dei colori) è attiva senza stimolo visivo esterno. Inoltre sono attive l’insula, intensamente connessa al sistema limbico, anch’esso assai attivo, e la corteccia prefrontale destra, probabile tramite alla coscienza. Esiste una connessione strutturale e funzionale intensa fra aree della sensibilità acustica, particolarmente attive ascoltando musica, e visiva. La base genetica non è stata identificata con certezza.
Paul Klee, Landschaft im Paukenton, 1920, Staatliche Museen zu Berlin, Nationalgalerie
La pittura astratta nasce in Wassily Kandinsky che fino al 1910 dipinge meravigliosi panorami di piccolo formato con colori intensi come sinestesia della musica. Kandinsky descrive un’esperienza cromestetica impressionante. A Mosca, nel 1895, durante il Lohengrin di Wagner al teatro di Corte, «I violini, i bassi profondi, e soprattutto gli strumenti a fiato scriverà nel 1913 incorporarono per me tutta la forza del tramonto. Vidi nella mente tutti i colori, che avevo davanti agli occhi. Linee selvagge e fantastiche s’incrociavano di fronte a me. Non osai dire che Wagner aveva dipinto musicalmente “la mia ora” [...] ma mi convinsi che la pittura può sviluppare la stessa forza della musica». Commentando la scenografia per Quadri di un’esposizione di Modest Mussorgsky a Dessau nel 1928 (uno dei suoi capolavori), Kandinsky riferisce di forme che «mi stavano davanti agli occhi ascoltando la musica». Forme astratte trasmettono emozioni altrimenti inaccessibili: l’analogia con la musica è che entrambe suscitano emozioni intense senza linguaggio e riflessione. «Il tono musicale scrive Kandinsky ha un tramite diretto con l’anima». Nella cromestesia le aree cerebrali del linguaggio e della razionalità non sono attive. L’impressione del Lohengrin, racconterà la moglie Nina, assieme alla vista, a Mosca nello stesso anno, di un Covone di fieno di Claude Monet, di colori senza forma, non lo lasciò più. Fu, dice Nina, l’alba dell’astrazione. Über das Geistige in der Kunst del 1911 e Rückblicke del 1913 sono la summa delle sue riflessioni. La prima opera astratta (un acquerello con figure di più colori in un movimento vorticoso) è del 1910. Nel 1911, dopo un concerto di Arnold Schönberg a Monaco, Kandinsky dipinse una delle sue opere più famose, Impression III(Konzert), straordinaria opera sinestetica di un’esperienza musicale. Quadri come Fuga del 1914, e i grandiosi Gedankenklänge (Suoni del pensiero) e Gegenklänge (Controsuoni) del 1924, Drei Klänge (Tre suoni) del 1926 e Klangvoll (Sonoro) del 1929, assieme a varie Komposition e Improvisation e alla scenografia per l’opera di Mussorgsky del 1928, confermano l’ispirazione musicale di Kandinsky, verosimilmente spesso nella forma della sinestesia. «Il colore esercita un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto. [...] L’anima è il pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che ora con uno, ora con un altro tasto, fa vibrare l’anima umana», scrive in Über das Geistige in der Kunst. Non si conoscono esperienze cromestetiche dell’altro artefice dell’arte astratta, Paul Klee. L’affinità della sua pittura con la musica è però evidente, nonostante sia così diversa, per regolarità e disciplina, dalla libertà di tante opere di Kandinsky, suo collega al Bauhaus a Dessau fino al 1933 e amico di tutta la vita. Klee era un violinista provetto già da bambino. Amava soprattutto Bach e Mozart ma non disdegnava la musica contemporanea. Era amico di Ferruccio Busoni e a Dessau frequentò Béla Bartók, Paul Hindemith e Igor Strawinsky. 
Quadri come Im Bachschen Stil (Nello stile di Bach), e i meravigliosi Landschaft im Paukenton (Panorama al suono dei timpani), Polyphone Strömungen (Correnti polifoniche), Fuge in Rot (Fuga in rosso) e Notturno für Horn (Notturno per corno), dipinti fra il 1919 e 1929, furono composti probabilmente non per esperienza sinestetica (di cui non parlò), ma per analogia con l’emozione della musica. 

Nella grandiosa mostra di 200 opere di Kandinsky e Klee, che dal Centro Paul Klee di Berna è stata portata dal 21 ottobre alla Städtische Galerie im Lendbachhaus a Monaco di Baviera, una sala è riservata alla musica, dove si vede quanto l’ispirazione che muove i due artisti all’origine della pittura astratta sia l’espressione pittorica del trasporto musicale.
Klee & Kandinsky, fino al 24 gennaio 2016, Lenbachhaus, Monaco di Baviera