Eliana Di Caro, "Il Sole 24 Ore - Domenica", 16 luglio 2017
C’erano quelle che fuggivano nei monasteri, per sottrarsi all’oppressione e alla violenza di mariti che non sarebbero mai cambiati; e c’erano coloro che fuggivano dai monasteri, desiderose di conoscere una vita diversa da quella che avevano deciso per loro i genitori, recludendole tra quattro mura in un’atmosfera di tetra solitudine. C’erano le donne il cui tentativo andava a buon fine e quelle che venivano prese e ricondotte a un’esistenza infelice.
Leggendo l’accurato Donne in fuga (il Mulino) di Maria Serena Mazzi, ordinaria di Storia medievale, si partecipa alle traversie di queste coraggiose ribelli, di cui ci è giunta notizia attraverso atti giudiziari, documenti e resoconti redatti naturalmente da uomini, in un’epoca in cui all’altra metà del cielo non è concesso di studiare. All’interno di una famiglia borghese o aristocratica, quando nasceva una femmina si cominciava a pensare ai destini coniugali della neonata: già a dieci anni le nozze erano combinate e a 16 anni l’esperienza della maternità era stata vissuta più volte (con il vivo augurio di figli maschi). Sulle donne povere le testimonianze sono minori e indirette, ma tali da poter dire che in una famiglia di contadini, salariati e artigiani si andava a lavorare da poco più che bambine e l’ipotesi di trovare un marito decente - con una dote misera o inesistente - si prefigurava difficile. Questo significava spesso finire nell’orbita di un uomo di mezza età che aveva bisogno di una serva, avendo già dei figli da crescere poiché per qualche ragione si ritrovava da solo. Insomma un destino non allettante.
È in questo panorama che si distinguono diverse figure, descritte nel libro. Due, per chi scrive, esemplari. La prima, Eleonora d’Aquitania. Cresciuta alla corte del nonno Guglielmo IX, alla morte dei suoi cari nel 1137 si ritrova ricca e potente, nella contea di Poitou e Guascogna. Sposa Luigi VII di Francia: lei ha 13 anni, lui 16. Ma in 15 anni di matrimonio, arrivano solo due femmine e la successione al trono non è garantita. La “colpa”, inutile dirlo, ricade su Eleonora. Nel 1152 viene sciolto il vincolo matrimoniale e lei, a quel punto preda non da poco, sventa ben due rapimenti e si lega a Enrico, duca di Normandia e futuro re di Inghilterra, cui dà - udite udite- cinque maschi e tre femmine. Di fronte al tradimento reiterato del consorte, Eleonora non abbassa la testa e se ne va, nonostante la Chiesa tuoni contro di lei per l’abbandono del tetto familiare. Una figura orgogliosa e indipendente come poche.
Il secondo esempio è quello di una donna di cui non ci è giunto neanche il nome, si sa solo che vive con il marito nel vicariato di Anghiari (Arezzo), nel 1416, ma la sua storia è indicativa del destino cui andavano incontro coloro che nascevano in contesti umili. Dai documenti emerge che l’uomo ha una giovane amante con cui intende trascorrere il resto dei suoi anni, e per farlo senza scatenare l’ira della comunità pensa bene di indurre la moglie a lasciarlo rendendole la vita un inferno: botte, umiliazioni, insulti. Ma i pettegolezzi (o la delazione) di un vicino gli intralciano i piani: il vicario condanna il fedifrago e anche - incredibilmente - la moglie per complicità nell’accaduto. Ma lei, nel frattempo, sfinita dalle angherie del marito, era già fuggita!
Il libro contiene numerosi esempi, dall’immancabile Giovanna D’Arco e le diverse mistiche (Caterina da Siena, Ildegarda di Bingen, Brigida di Svezia) a storie comuni e rivelatrici della prostrazione e della capacità di superarla che queste donne avevano, dalle schiave alle prostitute. Senza dimenticare naturalmente le eretiche e le streghe, «“femmine incantatrici e maliose”, che rendono impotenti gli uomini per vendetta o che li “ammaliano” per sviarli e tenerli avvinti, annullando la loro volontà, facendone strumenti nelle loro mani». Se non fosse che in tante sono andate al rogo, o in prigione, o sono state fustigate, ci sarebbe quasi da sorriderne.
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