Esce il secondo tomo dei «Meridiani».
Le opere politiche e filosofiche delineano un audace progetto culturale
Gianluca Briguglia
"Il Sole 24 ore", 18 maggio 2014
Dante filosofo e pensatore politico è il protagonista del secondo volume delle Opere di Dante, edizione diretta da Marco Santagata, appena uscito per i Meridiani Mondadori. Il corposo volumetto, quasi duemila pagine, propone infatti il Convivio, cioè il grandioso e non concluso esperimento filosofico dantesco in lingua volgare, la Monarchia, con cui Dante, in latino, dimostra la necessità di un governo universale, le Epistole, che testimoniano di un Dante che è anche parte attiva della politica del suo tempo e le Egloghe, unica testimonianza poetica dantesca in latino.
«Tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere»: è con la citazione di Aristotele che si apre il Convivio e si annuncia il progetto rivoluzionario di cui è portatore, cioè la possibilità di una vera filosofia in lingua volgare. Dante – che dei quindici trattati previsti per il Convivio ne porta a compimento quattro, con il commento a tre canzoni – vuole mostrare «la gran bontade del volgare del sì», che è capace di esprimere «altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente ed acconciamente». Gianfranco Fioravanti, raffinato studioso della filosofia medievale e curatore di questa edizione del Convivio, nel suo imponente commento mostra come la cultura filosofica di Dante si nutrisse della conoscenza diretta di un buon numero di opere aristoteliche, ma anche del complesso Liber de causis e di testi importanti di Alberto Magno fino alla Summa contra Gentiles di Tommaso d'Aquino. Il Convivio non è infatti una semplice opera di divulgazione di contenuti filosofici in volgare. Si tratta invece di un progetto di radicale rinnovamento della cultura e della società: gli intellettuali delle università, i chierici e il loro latino, hanno chiuso il sapere in un monopolio linguistico e di ceto che il volgare vuole rompere. Il sapere va trasmesso ai molti, perché solo così si moltiplica per tutti, proprio come il pane evangelico. I destinatari dell'opera sono allora «principi, baroni, cavalieri e molt'altra nobile gente, non solamente maschi ma femmine, che sono molti e molte in questa lingua, volgari, e non litterati». Il quarto trattato, aperto dalla canzone Le dolci rime d'amor ch'io solìa – che Claudio Giunta, curatore delle tre canzoni del Convivio, ci aiuta a comprendere anche nel quadro dell'evoluzione personale delle scelte linguistiche e tematiche di Dante – è allora un esempio di quaestio filosofica in volgare, ed è un'indagine razionale sulla vera nobiltà, tema essenziale per capire come la società vada intesa e rinnovata. Fioravanti mostra la complessità della risposta dantesca: la vera nobiltà è data da un intreccio di caratteristiche personali, legate alla nascita, alla complessione, alla natura, all'ambiente, alla capacità individuale di coltivare i propri talenti; il «divino seme» cade nei singoli, ma non si esclude la possibilità di una concentrazione di «bene nati» in uno specifico lignaggio. La filosofia, in volgare, è rivolta a tutti loro.
La Monarchia – con cui Dante s'interroga sulla necessità di un governo universale, sulla missione storica del popolo romano, sulla relazione tra impero e papato – ci riconduce al contesto del latino e dell'originalissimo pensiero politico dantesco. Diego Quaglioni, curatore dell'opera e profondo conoscitore del pensiero giuridico medievale e moderno, nel corposo lavoro di commento prende posizione su interpretazioni classiche come l'idea che la Monarchia sia il semplice esercizio di un'«utopia politica» e la inserisce nello sviluppo del diritto pubblico del tardo medioevo, rendendo più chiara anche la specifica posta in gioco giuridica del discorso dantesco.
Quaglioni presenta qui un testo latino basato sull'edizione critica di Prue Shaw, ma che propone in molti punti specifici alcune scelte differenti. Particolarmente interessante è la discussione di Quaglioni su uno specifico manoscritto (l'Additional 6891) conservato alla British Library e non utilizzato dalla Shaw. Si tratta di un manoscritto del XIV secolo, già segnalato, che presenta alcune particolarità. Per esempio il copista, nell'indicare il titolo e l'autore dell'opera, si sente autorizzato a segnalare l'avvenuta morte di Dante («...la cui anima riposi in pace»): c'è dunque memoria di Dante ancora vivo? Se così fosse il manoscritto potrebbe allora risalire ad anni forse molto vicini alla stesura dell'opera. E questo renderebbe importante un altro particolare, cioè il fatto che, in questo manoscritto, un famoso inciso che rimanda al Paradiso («...come ho già detto nel Paradiso della Commedia»), presente nelle altre copie, si legge diversamente e ha tutt'altro significato. Certo sembra un dettaglio – che qui riportiamo perché fornisce al lettore anche uno scorcio sul complesso lavoro filologico delle interpretazioni storiche –, ma un dettaglio che per Quaglioni elimina uno dei pochi appigli interni sulla misteriosa cronologia dell'opera (gli interpreti infatti non sono in grado di dare una datazione univoca della Monarchia) e mette in questione alcune antiche certezze sul testo e sulla sua ricostruzione.
Le Epistole sono in massima parte indirizzate a personaggi politici di primissimo piano e comprendono anche la famosa e controversa lettera a Cangrande della Scala, in cui Dante spiega i princìpi di lettura e interpretazione della Commedia. Il commento e la cura di Claudia Villa consentono non solo una puntualissima contestualizzazione di temi e vicende, ma hanno il merito di intrecciare la scrittura delle epistole nel tessuto ampio dell'evoluzione di Dante e del suo immaginario politico e letterario.
Sono invece le Egloghe, corrispondenza poetica in quattro carmi in latino tra Dante e Giovanni del Virgilio, a chiudere il volume. Si tratta dell'ultima opera di Dante e della sua unica prova poetica in latino, sollecitata proprio da Giovanni del Virgilio, che apparteneva a quel gruppo di avanguardia classicista umanista di area padana che nel latino vedeva la forma espressiva più alta e dal quale Dante era rimasto significativamente distante. La bella introduzione di Gabriella Albanese, che cura le Egloghe e ne fornisce un'edizione critica, ci parla di un Dante nel pieno delle sue forze e della sua creatività, che a Ravenna esercita l'arte diplomatica per Guido da Polenta ed è lontano dalla mischia politica: in un contesto tanto favorevole, godendo anche del compimento del suo straordinario lavoro intellettuale, senza presagire la morte improvvisa, Dante stava forse già pensando con questi componimenti a un'altra eccezionale sfida letteraria, quella della poesia in lingua latina.
Dante Alighieri, Opere, edizione diretta da Marco Santagata, Volume secondo, Convivio, Monarchia, Epistole, Egloghe, a cura di Gianfranco Fioravanti, Claudio Giunta, Diego Quaglioni, Claudia Villa, Gabriella Albanese, Mondadori, I Meridiani, pagg. 2.000
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