domenica 5 ottobre 2014

Uccidere il tiranno? Si può


Nel 1599 quando il gesuita spagnolo Juan De Mariana pubblica «De rege» 

Shakespeare mette in scena il «Giulio Cesare»

Il corpo del re non è più sacro

Gianluca Briguglia

"Il Sole 24 Ore - Domenica",  5 ottobre 2014


Dobbiamo immaginarla, quella Parigi del 1610, già metropoli europea e più somigliante alle stradine del quartiere del Marais, strette, irregolari, a volte cupe. E dobbiamo immaginarla, l'Europa di quel 1610, scossa da tensioni politiche permanenti, attraversata da processi di rafforzamento di istituzioni, di Stati, di regni, ma anche minata da divisioni trasversali, da conflitti irrimediabili, dai tarli della disgregazione. Sembra sempre sul punto di spezzarsi, di essere ingoiata dalla regressione a quello stato di natura pre-civile che i filosofi discutevano nel dettaglio, dando rimedi e indicando rischi; eppure quell'Europa dobbiamo anche immaginarla così piena di novità, di luci, di soluzioni inedite, di capacità di reazione e costruzione.
Possiamo immaginarle, quella Parigi e quell'Europa, quando la mattina del 14 maggio 1610 si seppe che un isolato attentatore, François Ravaillac, era riuscito a uccidere il re di Francia, Enrico IV, l'ugonotto che si era fatto cattolico per spiazzare i suoi nemici cattolici, e che poi aveva emanato il famoso editto di tolleranza per le religioni di tutti, gettando le basi di un'Europa nuova. Ancora un attentato a un re: lo stesso Enrico IV era scampato all'attacco omicida di un certo Jacques Chastel, che guarda caso studiava al collegio dei Gesuiti; e un frate domenicano nel 1589 aveva ucciso Enrico III, nemico dalla lega cattolica.
L'Europa tornava indietro. Ma questa volta sembrava chiaro da dove si originasse l'assurda idea che qualcuno, di sua iniziativa, potesse ritenere di riconoscere nel re un tiranno e di ucciderlo. Quell'idea si trovava nel libro di un gesuita di primissimo piano, lo spagnolo Juan de Mariana, un libro dato alle stampe poco tempo prima, il De rege et regis institutione.
Non aveva scritto Mariana che l'omicida di Enrico III era «eterna gloria della Francia»? Non aveva scritto, in quel libro vietato eppure così diffuso, che tutti i teologi e i filosofi sono d'accordo che in certi casi di tirannia sia doveroso «uccidere il principe»?
Certo l'idea in sé non è nuova. Cicerone l'aveva detto: per salvare lo Stato si possono prendere le armi contro il tiranno. E la figura stessa di Giulio Cesare era stata per secoli lo spunto di una riflessione implicita sul tiranno: i cronisti medievali nelle loro storie del mondo indicano Cesare a volte come «iniziatore dell'impero», altre volte come «usurpatore della repubblica», a seconda del loro giudizio. È curioso che proprio nel 1599, quando Mariana pubblica il suo trattato, Shakespeare a Londra metta in scena il suo Giulio Cesare. Evidentemente è tempo di tiranni (o presunti tali), e ciò provoca il pensiero e l'immaginazione.
Per la riflessione medievale e umanistica si può essere tiranni o per l'esercizio, il comportamento, o per mancanza del diritto a governare. Quindi si tratta di una figura ambigua, che sta tra etica e diritto. L'ambiguità del tiranno si scorge nelle riflessioni dell'inglese Giovanni di Salisbury, nel XII secolo. Stretto collaboratore di quel Thomas Becket ucciso nella cattedrale di Canterbury dai sicari del re Enrico II, Giovanni di Salisbury elabora nel suo Policraticus considerazioni molto ricche. Che cosa fare di fronte a un re, figura sacra, che opprime il popolo oltre ogni limite e non rispetta la legge? In primo luogo bisogna interrogarsi se non sia uno strumento che Dio usa per punire i peccati del popolo e per indirizzarlo. Del resto la Bibbia mostra che Israele è stata spesso consegnata ai tiranni per volontà di Dio. Ma oltre a pregare, ci sono momenti in cui è chiaro che al tiranno bisogna resistere, anche uccidendolo. Chi può farlo? Nessuno che gli abbia giurato fedeltà (quindi non il suo entourage, baroni e feudatari) e non con congiure. Ma ci si può aspettare che qualcuno, ispirato da Dio, prenda l'iniziativa per tutti. E di tale ispirazione dovevano essersi sentiti investiti i tirannicidi dei re di Francia.
Juan de Mariana non è quindi il primo a teorizzare l'uccisione del tiranno. Le influenze classiche e medievali nella sua opera si sentono, ma è come se aprisse un orizzonte nuovo. Lo Stato non coincide con il suo re, ma gli è superiore, deve vigilare perché il potere non diventi tirannia, il corpo del re non è sacro fino al punto da consentirgli di mettere a repentaglio la salvezza pubblica, le leggi, la religione. La Compagnia di Gesù cercherà subito di spegnere il fuoco che quel libro stava accendendo, anche isolando Mariana, mentre re e governanti daranno solennemente alle fiamme il volume. Non manca però molto a che quel trattato venga citato di nuovo. Lo farà esplicitamente Oliver Cromwell, nel 1649, durante il processo che condannerà a morte il re Carlo I Stuart d'Inghilterra, nella prima rivoluzione europea.

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