Dopo la scomparsa del latino per un lungo periodo
gli scienziati usarono varie lingue per comunicare finché non prevalse l’inglese
Arnaldo Benini, "Il Sole 24 ore - Domenica", 5 luglio 2015
«Per quanto inevitabile, la scomparsa del latino come linguaggio universale della scienza - scrisse l’allora direttore della rivista Endeavour Trevor Williams nel 1977 (Interdisciplinary Science Reviews 2, 165-172, 1977) - è stata una grande sventura». Deleterio fu l’intervallo fra il declino del latino e la prevalenza dell’inglese, perché, fra la fine del ’700 e gli anni ’70 del secolo scorso, prevalse la Babele di scrivere di scienza in diverse lingue. Michael D. Gordin, dell’Università di Princeton, storico della chimica, della scienza russa e della guerra fredda, in un geniale e vastissimo studio di storia della comunicazione scientifica, che è anche un saggio di politica culturale, racconta la fine molto deplorata («a monument to human folly») del latino come lingua universale e la lenta marcia verso l’egemonia, ora incontrastata, dell’inglese. Perché non si è continuato col latino, che era la lingua scritta della cultura in Europa, nel medio Oriente, in Russia (introdotto con la scienza, non essendoci tradizione cattolica), nella quale si leggevano anche traduzioni di testi greci e arabi? La ragione principale potrebbe essere che da secoli era scritto e non più parlato. Inoltre il latino classicheggiante degli umanisti del Rinascimento non si prestava ad esprimere i rapidi e radicali cambiamenti della scienza e della tecnologia. Il latino, dice Gordin, fu la vittima più illustre della rivoluzione scientifica, anche se testi di Galilei e Newton sono in latino. Ancora nella seconda metà del ’700 il latino resisteva come lingua della scienza. Giambattista Morgagni, ad esempio, pubblicò nel 1761 la prima grande opera di anatomia patologica De sedibus et causis morborum e il medico napoletano Domenico Cotugno nel 1779 De Ischiade Nervosa Commentariis, il primo studio sulla sciatica come malattia dei nervi e non delle vene delle gambe. Carl Linnaeus, che scriveva in latino e svedese, a metà del ’700 introdusse la nomenclatura binomiale latina per tutte le piante, in uso universale e obbligatorio fino al 2012. Al latino non giovò, nel XIX secolo, d’essere identificato col dogmatismo della Chiesa cattolica. Nel XIX e fino alla metà del XX secolo le lingue più usate nella comunicazione scientifica furono il “triunvirato” di inglese, francese e tedesco, ma nessuna ebbe il ruolo che era stato del latino. Il russo, che fuori dalla Russia pochi conoscevano, fu rilevante nella chimica di fine ’800.
Gordin racconta per esteso una delle più furibonde dispute nella storia della scienza del XIX secolo. Essa scoppiò per un errore nella traduzione tedesca, di un chimico bilingue russo-tedesco di Gottinga, del testo russo di Dmitrii Mendeleev (che aveva pasticciato alcuni lavori scritti in un francese approssimativo) del 1869 sulla tavola della periodicità degli elementi. La parola russa per periodico fu tradotta non con periodisch, ma con stufenweise, cioè graduale, progressivo. Il traduttore non aveva afferrato che la periodicità era la caratteristica cruciale e la scoperta della tavola. In Russia, nel XVIII secolo, le lingue in uso nella scienza furono francese e tedesco. Il francese ebbe difficoltà ad imporsi, anche perché, ancora nel XVII e XVIII secolo, era la lingua dominante solo in 15 degli 89 dipartimenti del paese, dove si parlava tedesco, occitano, basco, provenzale ed altre lingue. Uno dei compiti della Rivoluzione, dice Gordin, fu di rendere il francese lingua universale in tutta la Francia. Dal 1900 fino alla fine degli anni ’20, si pubblicarono nel mondo più lavori scientifici in tedesco che in inglese e il doppio e il triplo che in francese, nonostante l’avversione per la cultura e la società tedesche durante e dopo la prima guerra mondiale. In quegli anni la scienza tedesca, in particolare la fisica e la chimica, quest’ultima anche sul piano industriale, fu al culmine della creatività, testimoniata dal numero di premi Nobel. L’ignoranza del tedesco comportava, a quel tempo, di non essere al corrente di molto di ciò che scienza e tecnologia producevano.
Il declino della preminenza della lingua tedesca cominciò col nazifascismo, per l’esodo massiccio verso gli Stati Uniti e l’Inghilterra non solo di ebrei, ma anche di non ebrei ostili alla barbarie dei regimi in Italia e in Germania. L’inglese prevalse, sostiene Gordin, non per la preminenza economica e militare dei paesi anglofoni, ma perché l’Inghilterra e ancor più gli Stati Uniti avevano favorito il trasferimento nei loro istituti e università, che ebbero uno sviluppo enorme, di scienziati, umanisti e artisti dall’Europa, anche se molti di loro sapevano poco o niente inglese. L’inglese prevale non perché è la lingua dei padroni, ma perché è la lingua di paesi che hanno creduto nella cultura.
La preminenza dell’inglese fu favorita anche dalla decisione delle colonie britanniche di mantenerlo come lingua ufficiale dopo l’indipendenza e dall’occupazione di parte della Germania sconfitta di inglesi e americani. In Germania il bilinguismo nelle aree occupate era diffuso. L’inglese è oggi non solo la lingua delle pubblicazioni scientifiche e delle comunicazioni in conferenze, congressi e laboratori, ma è corrente nelle istituzioni scientifiche, anche nei paesi dell’Europa dell’est. Dagli anni ’70 del secolo scorso in poi quasi tutte le riviste scientifiche pubblicano in inglese e, in molte Università di paesi non anglofoni, insegnamenti, interrogazioni, tesi di laurea e pubblicazioni si tengono in inglese. Così si evita la Babele che si ebbe dopo il tramonto del latino. Per i non anglofoni sapere solo la lingua madre è una mutilazione culturale e professionale, per gli anglofoni è più la regola che l’eccezione. Sono comunque avvantaggiati.
Il neuroscienziato sudtirolese Valentino Braitenberg sostenne, molti anni fa, che chi non è anglofono, nei congressi e nei rapporti con i colleghi non deve lasciarsi intimidire. Impari l’inglese basico della scienza, prepari la conferenza, si eserciti nella pronuncia corretta e parli senza remore. Verrà ascoltato con interesse, se quel che dice lo merita. Oggi spesso non è così: chi, in una discussione, non interviene in un fluent English, è spacciato in partenza. È un bene che ci sia una lingua sola? È un bene per la scienza, perché la Babele nella scienza è inimmaginabile. Sta agli anglisti giudicare se è un bene per l’inglese. Gordin sospetta che l’egemonia dell’inglese non durerà a lungo e specula sulla successione. È probabile invece che l’inglese come lingua della scienza durerà più del latino perché è parlato, scritto e letto come lingua madre in paesi di tutto il mondo. Circa la successione: nessuno, nell’Europa del XV o XVI secolo, poteva prevedere che il latino sarebbe stato sostituito dalla lingua di un’isola dell'Oceano Atlantico.
Michael D. Gordin, Scientific Babel How Science Was Done Before and After Global English, The University of Chicago Press, Chicago and London, pagg.415, € 30,00
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