La tragedia dello Shuttle Challager accadde per una banalità
La storia della scienza è costellata di eventi simili
Forse ora si è scoperto il colpevole: è la dopamina
Matteo Persivale, "Corriere della Sera", 19 settembre 2015
Richard Feynman (1918-1988), premio Nobel per la Fisica, cominciava la prima lezione dell’anno accademico, davanti ai suoi nuovi studenti, sempre nello stesso modo. Dall’alto soffitto dell’aula ad anfiteatro della Caltech, il prestigiosissimo politecnico di Pasadena, California, pendeva una palla da bowling attaccata a un cavo d’acciaio. Feynman prendeva la palla da bowling tra le mani, indietreggiava fino a un certo punto dell’aula ben preciso -- il punto in cui la palla toccava il suo naso - e poi rilasciava quella sfera di 8 kg. La quale, come un pendolo, attraversava veloce tutta l’aula. Ovviamente, come ogni pendolo che si rispetti, esaurita la sua corsa la palla tornava indietro. E si fermava esattamente a pochi millimetri dal naso del professore, prima di riprendere il suo arco. Cosa voleva insegnare Feynman ai ragazzi? La lezione più importante: ad aver fiducia nella scienza ma a fare i propri calcoli con assoluta attenzione. Perché la differenza tra un memorabile successo (i suoi studenti, che spesso sono ormai anziani, parlano ancora con affetto della “palla da bowling di Feynman”) e un cranio sfasciato a volte è una questione di millimetri.
Non stupisce che sia stato proprio Feynman a scoprire uno degli errori più piccoli ma clamorosi della storia umana, l’esplosione dello Shuttle Challenger del 28 gennaio 1986. Feynman, capì che era tutta colpa di un piccolo anello da pochi centesimi di dollaro. L’anello che apriva e chiudeva il flusso d’idrogeno dei booster dello Shuttle, testato in tutti i modi. Tranne uno: il freddo. D’altronde, il lancio doveva avvenire in Florida. Ma la notte precedente al lancio ci fu un abbassamento di temperatura improvviso. Uno di quegli anelli si indurì. E smise di funzionare.
A volte gli errori hanno conseguenze meno tragiche — semplicemente imbarazzanti. Il primo americano nello spazio, Alan Shepard, il 5 maggio 1961, doveva restare impegnato per sole 5 ore dall’inizio alla fine della missione. Ma il lancio ritardò di alcune ore per motivi tecnici. E Shepard si trovò bloccato nell’abitacolo con il bisogno impellente di urinare. Nella sua tuta non c’era un catetere. Perché, in fondo, sarebbe stato impegnato per sole 5 ore, no?. La vescica di Shepard resistette eroicamente, poi cedette. Allagando la tuta con conseguenze che potevano essere imprevedibili.
Un anello da pochi cent, un catetere. La copertura della piattaforma petrolifera BP esplosa nel 2010 che aveva dato segnali di non totale affidabilità. Piccolissimi errori con enormi conseguenze che, secondo i neuroscienziati, sono però profondamente umani: il nostro cervello così evoluto e capace di tante invenzioni, è anche soggetto a «coni d’ombra» che la scienza sta analizzando con sempre maggiore attenzione. Perché i costi dei piccoli errori possono essere enormi: a volte è perché, semplicemente, il nostro cervello ci fa considerare con meno attenzione i dati che contraddicono le nostre ipotesi — i nostri preconcetti.
Un neuroscienziato della Brown University, Michael Frank, ha spiegato alla rivista New Scientist (alla scienza degli errori ha dedicato un lungo servizio di copertina), che la colpa potrebbe essere di un neurotrasmettitore, la dopamina, che «direbbe» alla nostra corteccia prefrontale di dare poca importanza alle informazioni che contraddicono idee che abbiamo da tempo. E’ interessante che sempre la dopamina, in un’altra parte del cervello, il corpo striato, faccia il lavoro opposto — rendendoci più aperti a nuove informazioni. Esperimenti condotti da Frank indicano che alcuni di noi sono portatori di un gene che rende più sensibili all’effetto dei fatti nuovi sul corpo striato. E ci difende dalla cosiddetta «distorsione di conferma», cioè l’eccessiva attenzione alle nostre convinzioni.
Sempre la dopamina ci rende più suscettibili alla «distorsione da risultato»: una cosa è già successa senza conseguenze? Siamo portati a pensare che sarà sempre così. Come fece il direttore di volo dello shuttle Columbia, nel 2003. La navicella perdette un pezzo della copertura isolante. «Già successo altre volte, senza danni al rientro», prese nota subito dopo. Il Columbia esplose al contatto con l’atmosfera.
A volte siamo soggetti a «errori di fissazione», perseverando su un percorso sbagliato: purtroppo medici e infermieri sono particolarmente soggetti a questo fenomeno cognitivo (con conseguenze umane tragiche, e gravi costi assicurativi e legali). La soluzione potrebbe arrivare dall’aeronautica, con le «check list» da controllare ogni volta per evitare dimenticanze o errori ripetuti. L’allontanamento dagli istinti primitivi di sopravvivenza dovuto alla nostra civilizzazione è un’altra possibile causa di piccoli errori dalle enormi conseguenze: siamo più agili a livello cognitivo, ma l’effetto della paura — di un ormone, il cortisolo, prodotto quando abbiamo paura — è quello di compromettere questa agilità (vedi i casi di chi si «blocca», paralizzato dal pericolo).
Le neuroscienze cercano di proteggerci dai limiti dei nostri processi cognitivi. Certo a volte gli errori sono provvidenziali: una serie di distorsioni, di decisioni sbagliate, aggravate dalla spietata politicizzazione (razziale) della ricerca, provocò il fallimento della corsa nazista alla bomba atomica. Che era partita in vantaggio rispetto a quella, poi realizzata con successo attraverso il Progetto Manhattan, dagli Alleati.
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