Se la scuola volta le spalle alla filosofia
In Spagna l’ultima riforma rende la materia facoltativa,
tra le proteste del mondo culturale
Ma il dibattito resta aperto. In tutti i paesi europei
Alessandro Oppes
"La Repubblica", 6 ottobre 2015
Le hanno tentate tutte, professori, filosofi, esperti di pedagogia, docenti di discipline umanistiche. Ma niente da fare. Non c’è posto nella scuola modello Rajoy — quella che ha ripristinato la religione obbligatoria e ha abolito l’educazione civica, troppo “ideologica” forse perché voluta dal socialista Zapatero — per la filosofia come pilastro del sapere. L’ultima riforma dell’educazione, la Lomce, imposta dall’ormai ex-ministro José Ignacio Wert (sempre in coda nei sondaggi sul gradimento dei politici) dopo una lunga battaglia a suon di scioperi in cui studenti, presidi e genitori si presentavano uniti, relega la materia a un ruolo da comprimaria. Finora alle superiori si insegnavano tre discipline legate tra loro, filosofia, valori etici e storia della filosofia. Ora solo la prima sarà obbligatoria nel primo anno di “bachillerato”, il biennio che precede l’accesso all’università. Per il resto, saranno gli assessorati all’educazione delle 17 regioni a decidere al principio che la legge definisce “libre configuración”, la libertà degli istituti di impartire corsi sui temi che preferiscono. La conseguenza paradossale è che in questo modo, nonostante una religiosità nettamente in calo, l’iscrizione ai corsi di religione ha subito un aumento 150 per cento perché alternativi alla disciplina dei “valori etici”, impartita da professori di filosofia ma considerata molto più ostica.
Nel corso dell’elaborazione della legge ci sono stati numerosi incontri tra rappresentanti del Ministero e delegazioni di insegnanti, ma senza alcuna concessione alle esigenze dei docenti. Il mondo della cultura non rinuncia però a mobilitarsi. Una lettera dal titolo La belleza de las humanidades, inviata al quotidiano El País, è stata condivisa da 200mila utenti Facebook. Parla di una filosofia «seppellita nell’oscuro baule dove sono già state relegate le sue sorelle musica, pittura, letteratura, storia». Sullo stesso giornale Antonio Campillo, presidente della Red Española de Filosofía, ricorda che «perfino le scuole per manager sanno che economisti e ingegneri hanno bisogno delle materie umanistiche ». Il dibattito continua.
Perfino in Germania patria di Kant e Hegel
non è più nei programmi degli istituti superiori
Oggi piacciono i guru del pensiero, i life coach
“Ma così diventa un fenomeno pop”
La Spagna cancella la filosofia? «È la testimonianza che hanno vinto i manager, i fautori del pensiero monetizzabile». Roberto Esposito difende la «disciplina che ci allena a pensare e a sviluppare le nostre capacità logiche », e dice: «Non mi stupisco. Tutto questo fa parte di un processo di economicizzazione del sapere avviato da anni». Massimo Cacciari è ancora più duro: «Si vogliono formare persone disarmate dal punto di vista culturale, per le quali conta solo il risultato».
Un destino curioso quello della filosofia. Ha fondato la nostra civiltà ma si deve difendere da chi vorrebbe considerarla inutile. Il rischio anche nel nostro paese è vederla relegata tra le materie facoltative che lo studente può decidere se studiare o meno. Anche se finora “resistono” le tre ore settimanali nei licei classici, scientifici e delle scienze umane, ridotte a due negli altri licei, tra cui il musicale e l’artistico. Il processo di marginalizzazione procede però a grandi balzi in altri paesi europei. In Germania, la patria dei filosofi, è sparita da tempo dalle scuole superiori, in Francia le ore di insegnamento sono state ridotte, mentre nelle nostre università si tende a relegarla ad una disciplina ancellare di altre materie. Emanuele Severino critica le mosse dei governi europei: «Più che una povertà filosofica si tratta di una povertà concettuale. Si sta imponendo la cultura di carattere tecno-scientifico. La scienza è oggi convinta di poter andare al di là di ogni limite, ma è la filosofia a dare valore alla scienza. La potenza della tecnica è dovuta a un teorema filosofico: che di limiti non ce ne siano». Dobbiamo dunque abituarci a un processo irreversibile? «Sì, almeno fin quando non ci si renderà conto che il paradiso della tecnica dà una felicità ipotetica. Che quel paradiso è in realtà un inferno».
L’allarme degli studiosi italiani
“Non è una disciplina da yes-men per questo vogliono cancellarla”
Raffaella De Santis
Un impoverimento che non ci è estraneo: «Negli anni ho notato un progressivo deterioramento — racconta Esposito — Nelle università c’è ormai la tendenza ad inserire i corsi di filosofia dentro quelli di pedagogia. Conta più il pedagogo che lo studioso ». Eppure, come fa notare Remo Bodei «la filosofia serve a creare la nostra personalità, ci aiuta a costruire l’identità, ci dà le coordinate per orientarci nel mondo. Senza essere un fautore della bottega filosofica, credo sia un errore ciò che sta accadendo in Europa. In Germania si studia filosofia solo nelle scuole di élite, mentre sono i valori umanistici a darci uno sguardo non specialistico».
Qualche anno fa abbiamo assistito ad un’improvvisa rinascita di interesse. Il filosofo d’un tratto ha preso il posto dello psicologo, è diventato un life coach, un guru, un maestro di vita. Per Esposito è proprio lì il segno dei tempi: «Il pensiero implica un lavoro, l’incontro con un ostacolo, non può essere usato per risolvere problemi. Ma oggi piace di più la pop filosofia».
Un senso comune piuttosto riduttivo associa la filosofia a ciò che è astratto (la classica immagine del filosofo con la testa fra le nuvole). Come se il sacrificio avvenisse in nome di un sapere più pratico e pragmatico. I filosofi sanno che non è così. Massimo Cacciari è preoccupato e spiega bene le implicazioni pro- fonde dello studio filosofico: «La filosofia è una ricerca sulla nostra storia, sul nostro destino, indaga le ragioni profonde della storia della civiltà. È molto concreta, tutt’altro che astratta». E Maurizio Ferraris, poco incline al postmoderno e sostenitore di un “nuovo realismo” filosofico, ne parla come di un «antidoto contro dogmatismi, integralismi e intolleranze. Una nazione che sappia di filosofia — dice Ferraris — è una nazione che a livello diffuso è più aperta di una che non ne sappia niente. Detto questo, togliere la filosofia dai licei non comporterà la riduzione dei filosofi, come mostra il caso della Germania».
Poi su come la filosofia vada insegnata nelle scuole secondarie, i filosofi non si trovano sempre d’accordo. Per Ferraris l’approccio storico è quello più utile: «Meglio insegnare la storia della filosofia piuttosto che fare come i francesi che procedono per problemi filosofici. Così come è meglio insegnare la letteratura raccontando Dante, Petrarca e Boccaccio (e facendo leggerne i testi) piuttosto che invitando gli studenti a comporre endecasillabi su problemi teologici ».
Ma Cacciari avverte: «Se viene insegnata come una marcetta trionfale, passando da filosofo a filosofo, inanellando una catenina di opinioni, è un disastro. Altra cosa se la filosofia è una riflessione critica sul vocabolario della cultura europea, anche quella tecnico-scientifica ». Perché non è vero che scienza e filosofia sono antitetiche, è un altro luogo comune pensarle nemiche e credere di poter sacrificare la filosofia, ritenendola meno al passo con i tempi. Paolo Zellini, studioso che nei suoi libri ha indagato il rapporto tra matematica e filosofia, lo spiega bene: «Anche le formule filosofiche si capiscono meglio se si collegano alle formule matematiche. Quando Aristotele sostiene che l’ideale etico dell’uomo è nel giusto mezzo tra eccesso e difetto, sta utilizzando due categorie che tornano continuamente nei calcoli matematici». E tanto basta a vanificare anche l’argomento scienza contro discipline umanistiche.
Si può vivere senza filosofia? Giulio Giorello risponde: «Si può, certo, ma sarebbe una vita molto squallida. Da Platone ad Heidegger, la filosofia è un grande esercizio di libertà. E a chi fa notare che ci sono materie più “utili”, rispondo che è vero, ma la filosofia è utile proprio come esercizio superfluo dell’intelletto. Come diceva Re Lear “toglietemi tutto, ma non il superfluo”». La conclusione di Cacciari è però amara: «Sta diventando opzionale tutto ciò che dà una prospettiva critica. La classe politica diventa ogni giorno più ignorante. È una tendenza generale, non solo italiana. Un processo irreversibile, non mi faccio nessuna illusione».
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