AMEDEO
FENIELLO, “La Lettura”, 14 luglio 2019
Italia (poco)
rinascimentale Nel giro di 34 anni, dal 1391 al 1425, le mogli di tre potenti
signori, che governavano Mantova, Milano e Ferrara, vennero giustiziate per
ordine dei loro mariti con l’accusa di averli traditi. Un libro rievoca Agnese Visconti,
Beatrice di Tenda e Parisina Malatesta: costrette a subire matrimoni dinastici,
si ricamarono spazi di vita fatti di lusso e buone letture. Anche procurarsi un
amante, in casi del genere, diventava quasi una scelta di autonomia e di
libertà
Agnese
Visconti: decapitata nel 1391. Beatrice di Tenda: decapitata nel 1418. Parisina
Malatesta: decapitata nel 1425. Tre storie. Un medesimo destino, nell’Italia
rinascimentale. Vicende non sconosciute, che anzi hanno goduto, nell’Ottocento,
di una certa gloria musicale. Parisina venne cantata da Gaetano Donizetti e poi
(su libretto di Gabriele d’Annunzio) da Pietro Mascagni. Beatrice di Tenda è
un’opera di Vincenzo Bellini. Mentre Agnese rivive nel melodramma del maltese
Antonio Nani. Da allora, però, sono cadute nell’oblio, al quale hanno posto
rimedio due storici francesi innamorati dell’Italia, Élisabeth Crouzet-Pavan e
Jean-Claude Maire Vigueur, che hanno dedicato a loro il volume Décapitées (Albin
Michel), in uscita il 1° ottobre da Einaudi.
L’azione ci rimanda a un tempo
particolare, tra la fine del Trecento e il primo ventennio del secolo
successivo. All’Italia della formazione degli Stati territoriali, in una
situazione magmatica, non ancora ben fissata nella sua intelaiatura politica,
raggiunta in seguito con la pace di Lodi del 1454. Il racconto si sviluppa tra
le corti di Mantova, Ferrara e Milano, alla ricerca di queste donne, della loro
vita e del loro tragico destino. Sono una sorta di cold case da
dipanare, dicono gli autori, non per rintracciare un ipotetico serial killer,
ma per ricostruire uno scenario unico e originale, legato a un medesimo filo
rosso: l’accusa per tutte e tre di adulterio e la condanna alla decapitazione. In
un contesto di potere, intrighi, gelosie, rancori, arbitrarietà, alta politica
e bassa cucina giudiziaria.
Solo per Agnese Visconti ci fu un
processo. Per Beatrice, tortura e sentenza. A Parisina toccò solo un ordine,
rapido e glaciale, del marito. Agnese, moglie di Francesco I Gonzaga, signore di
Mantova, fu la prima, giustiziata alla mattina presto del 9 febbraio 1391. Era
stata sottoposta a un procedimento regolare, con verbali, testimonianze,
giudici e una sentenza di morte, per lei e per il suo amante, il valletto di
camera Antonio da Scandiano: Agnese, che era una nobildonna, ottenne l’onore
della decapitazione; per lui, un semplice servitore, ci fu l’umiliazione dell’impiccagione.
Più complessa è la storia di Beatrice, che fino alla fine giurò di essere stata
fedele al marito e di non
avere avuto nessun amante. Nonostante
ciò, venne costretta a posare la testa sul ceppo e ad affidare l’anima a Dio il
13 settembre 1418. Sulla sua presunta colpa, nessuna testimonianza diretta, ma
tutte di seconda mano, lontane dagli avvenimenti, come il racconto dell’umanista
Pier Candido Decembrio, autore della Vita del marito di Beatrice, il
duca di Milano Filippo Maria Visconti. La donna era innocente o no? I più
dicono di sì e aggiungono che la storia dell’adulterio fu inventata di sana
pianta da Filippo, per sbarazzarsi dell’ingombrante presenza di lei.
La terza è forse la storia più tragica:
una donna di 21 anni, Parisina Malatesta, che viene fatta
decapitare, il 22 maggio 1425, da un momento all’altro, di notte, di sorpresa,
dal marito, Niccolò III d’Este, signore di Ferrara, insieme al suo amante. Che
però non è uno qualsiasi, un valletto, un cameriere, un musico. No. È addirittura il figlio del precedente
matrimonio di Niccolò, Ugo, il «bel Ugo», di appena un anno più giovane della
ragazza. Condannati anch’essi a morire insieme. Tre storie, una medesima faccia
tragica della medaglia. E un retroscena ricco di particolari, a partire dagli
esecutori, i maschi, i mariti.
Perché tutte e tre le donne furono spose di grandi
signori italiani, appartenenti a dinastie di primo piano come i Gonzaga, i
Visconti e gli Este. E, per la prima volta in assoluto, vennero punite per un
reato di adulterio con la pena più grave possibile, la morte per decapitazione.
Perché? Che cosa spinse i mariti a prendere una decisione tanto grave? A queste
domande, gli autori rispondono con una spiegazione oltremodo complessa, che
coniuga un insieme di motivi, sotterranei, intimi, irrazionali, legati alla
personalità delle tre donne e dei mariti, alle loro emozioni, alle passioni, ai
rancori, con tanti altri fattori che, pur tuttavia, pesarono: i vincoli
sociali, il senso dell’onore offeso, i calcoli politici, i giochi di potere.
Tutte e tre le donne appartenevano al medesimo ambiente
aristocratico. Agnese era figlia del grande Bernabò Visconti, signore di Milano.
Beatrice era la meno prestigiosa, ma la più ricca e potente, ereditiera del suo
primo marito, Facino Cane, tra i più temuti signori della guerra italiani.
Parisina era una Malatesta, e il suo zio e tutore, Carlo, le permise di fare un
gran bel matrimonio con il più vecchio e titolato Niccolò d’Este. Donne,
insomma, che non scelgono il matrimonio ma lo subiscono, con decisioni a
priori, fredde e senza sentimenti, secondo strategie precise di una logica politica
che passava molto al di sopra delle loro esistenze. Costrette a una vita
separata, nelle loro stanze, nelle loro dimore, nei loro palazzi, lontane da
mariti spesso indifferenti se non brutali, come Niccolò—uomo dalle mille amanti—o
lo stesso Filippo Maria, evidentemente omosessuale.
Sono ridotte in una condizione di strumentalità, all’interno
della quale esse si ricamano spazi di vita personali, distaccati, attorniate dal
lusso, in un clima di cultura, di buone letture, di toni musicali. Donne capaci
anche di esprimere il proprio carattere, come nel caso di Beatrice, tanto da
tener testa al marito e forse, proprio per questo, odiata. Dove forse, ed è una
delle chiavi di lettura del libro, l’adulterio si trasforma quasi in una scelta
consapevole di autonomia e di libertà, l’unico spazio di vita non scandito da
altri, ma costruito da loro e per loro. Tre donne, rivelate nel loro destino in
questo libro. Che rivivranno ancora il prossimo settembre nel corso del
festival del Medioevo (dal 25 al 29 a Gubbio), che avrà come tema Donne. L’altro
volto della storia.
ÉLISABETH CROUZET-PAVAN - JEAN-CLAUDE
MAIRE VIGUEUR, Décapitées. Trois femmes dans l’Italie dela Renaissance, ALBIN MICHEL, 2019, Decapitate. Tre donne nell’Italiadel Rinascimento, traduzione di Rossana Lista, EINAUDI, in libreria dal 1° ottobre
Gli autori
Nata a Parigi nel 1953, Élisabeth
Crouzet-Pavan insegna storia alla Sorbona ed è una specialista di vicende della Repubblica di Venezia e
più in generale del tardo Medioevo. Jean- Claude Maire Vigueur, nato nel 1943,
insegna Storia medievale all’Università di Roma Tre. Si occupa principalmente
dei Comuni italiani. Tra i suoi libri usciti nel nostro Paese: L’ altra Roma
(traduzione di Paolo Garbini, Einaudi, 2011); Cavalieri e cittadini (traduzione
di Aldo Pasquali, il Mulino, 2004). Con Enrico Faini ha pubblicato Il
sistema politico dei Comuni italiani (Bruno Mondadori, 2010)
Inoltre Maire Vigueur ha curato il
volume a più voci Signorie cittadine nell’Italia comunale (Viella, 2013)
L’epoca Le vicende ricostruite nel libro Décapitées risalgono
alla fase in cui si andò delineando un equilibrio tra le signorie italiane,
ormai strutturate come entità statali. Il nuovo assetto venne sancito con la
pace di Lodi, firmata il 9 aprile 1454 tra le due principali potenze del Nord:
il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia .