Melania Mazzucco
"La Repubblica", 1 settembre 2013
Un altissimo girasole incenerito dalla luce svetta in un universo desolato, bianco-grigio, astratto come un'immagine mentale e però materico e tattile come tutte le cose di questo mondo. Un uomo giace, disteso su un lenzuolo, nudo, come una vittima sacrificale, le braccia lungo i fianchi, i piedi contratti, raffigurato in scorcio. Il peso della carne lo sprofonda nella parte inferiore dell'immagine. Dorme, contempla o forse è morto (nella storia dell'arte, su ogni nudo in scorcio incombe il ricordo del
Cristo morto di Mantegna e Holbein). Il fiore invece, nonostante l'enorme corolla, è leggero. Si libra aereo sullo stelo sottile, quasi chino sul corpo esanime. Come se, sbocciato da quello, ne fosse l'ombra, il riflesso. L'insieme è malinconico, triste, come una liturgia funeraria. Lo spazio è abolito, l'uomo e il fiore spiccano nella loro solitudine. Eppure la slanciata verticalità del girasole comunica un movimento ascendente, e la miriade di punti neri - i semi che il girasole lascia cadere e che picchiettano la superficie - diventano un firmamento pulsante e vivo, una pioggia di stelle.
Anche il titolo, Sol Invictus - come recita la scritta a matita nel bordo superiore - suona trionfante. Anselm Kiefer inserisce spesso parole nelle sue opere. Motti, versi, nomi che citano liriche, luoghi, poeti, miti e dei babilonesi, egizi, classici o nordici. La scrittura, sempre di suo pugno, svolge una funzione ambigua - ironica e dissacrante, oppure solenne, perfino mistica. Offre dell'immagine una chiave di lettura inattesa, talvolta disorientante. Ma le lettere sono anche puri segni, che hanno una funzione sciamanica - come formule magiche, l'abracadabra dell'officiante. Sol Invictus (Sole invitto) rimanda ai culti solari della tarda epoca pagana - a Eliogabalo, a Mitra. È associato alla festa della vittoria della luce sulle tenebre e alle dottrine dell'eterno ritorno.
Kiefer, tedesco, nostro contemporaneo - nato nell'anno della fine della Seconda guerra mondiale e di Hiroshima - ha sempre creato opere d'impatto emotivo immediato, nonostante la complessità concettuale e quasi esoterica che le alimenta. Esperto di cabala e alchimia, ma interessato anche alle scienze (dalla botanica alla fisica nucleare), nella sua opera non ha eluso temi considerati tabù nella seconda metà del XX secolo - la storia tedesca, l'opprimente memoria del nazismo, lo sterminio del popolo ebraico, le eterne domande sull'uomo, la colpa, la morte, Dio. Non si è mai considerato "solo" un pittore, e lavora con la materia e le sue metamorfosi. Come gli alchimisti volevano accelerare la trasmutazione dei metalli vili in oro, così lui ha dipinto e operato col piombo, col fuoco, col sale, con l'acqua, con l'aria e con la cenere - e ha definito questo la sua "magia". Ogni cosa, ogni forma, ogni essere, può diventare altro, e rigenerarsi.
Per tradurre ciò in un discorso visivo, Kiefer ha usato di tutto - minerali, vegetali, architetture. Rottami di motori d'aeroplano, eliche, vetro, mattoni, stufe, paglia, sabbia, peli, unghie, sperma, sci e scarpe di ferro.
Ha dipinto serpenti, angeli, libri, sterili paesaggi di neve, edifici nazisti arsi dalle fiamme, forni, crogioli, sommergibili, astri, rotaie di treni, parallele che s'incontrano all'infinito e le cui traversine potrebbero essere anche pioli di scale celesti. Ma soprattutto, dopo la prima irrelata apparizione nel 1971 (l'acquerello Uomo disteso con ramo), dal 1995 più volte ha dipinto - o composto con altri materiali - questa stessa scena: una forma verticale accanto al (o dentro il) corpo orizzontale di un uomo. Così essa è divenuta un'immagine ricorrente, che ha progressivamente moltiplicato le sue risonanze simboliche.
La forma verticale può essere una scala che unisce la terra al cielo (come ne Il sogno di Giacobbe del 1996), una linea dal tratto spezzato, o un albero. Ma preferibilmente è un girasole - un unico esemplare o un campo intero (come in Aschenblume, Fiore di cenere, titolo che cita una poesia di Paul Celan, e in L'ordine della notte). Il fiore può nascere dalla mente dell'uomo, dalla sua linfa vitale, dai suoi organi, dal suo sesso o dal suo ombelico. Le forme possono galleggiare in uno spazio neutro e onirico, oppure essere gettate su un suolo d'argilla screpolata, sotto un cielo scuro di nuvole o brulicante di stelle. In Athanor, una delle ultime varianti, del 2007, Kiefer inscrive le tre parole chiave del processo alchemico: "nigredo, rubedo, albedo". Come se volesse esplicitare la sua fonte e il vero soggetto dell'immagine. Sol Invictus si svela allora come una meditazione sulle leggi della natura, la rappresentazione di un passaggio da uno stato all'altro: il corpo dell'uomo è una membrana che connette macro e microcosmo, da cui passano morte e rinascita. Insomma, un rituale alchemico di resurrezione.
A guardare meglio, l'uomo disteso che si abbandona al flusso della vita è sempre lo stesso. Benché sia nudo, non è chiunque. Ha le sembianze di un individuo specifico: Kiefer. È ripreso da una fotografia di parecchi anni prima che lo raffigura mentre medita nella posizione yoga del "cadavere". L'informazione aiuta a decifrare le sue intenzioni, poiché Kiefer maneggia la filosofia e la letteratura con la stessa perizia con cui cauterizza i supporti e sceglie pigmenti, materiali, e dimensioni (spesso, come in questo caso, monumentali, gigantesche). Ma nello stesso tempo è pleonastica. In età moderna, per i pittori - ne fossero consapevoli o ignari - il girasole è un'immagine dell'artista. Il fascino misterioso dei girasoli di Van Gogh (idolatrato da Kiefer nella sua adolescenza), o di quelli macilenti di Schiele, nasce anche da questo. Fiore non ornamentale, ma agricolo, utile come un albero da frutto, il girasole ha radici nella terra, eppure si muove inseguendo la luce. Non è prigioniero del luogo in cui sboccia, ma usa il suolo e l'atmosfera che lo circonda per crescere. Fuor di metafora, partecipa della storia, del tempo in cui gli è dato vivere. Ruota su se stesso, per nutrirsi di sole, e tutto lo aumenta. Si dissecca, ma anche il suo annientamento genera forza creatrice: diventa seme da cui nasceranno altri fiori, liquido, vita. Per me nessuno ha saputo come Kiefer esprimere questa fiera visione del ruolo dell'artista e dell'essere umano con un'immagine così naturale e così potente. Chiamatela pure poesia, o magia.
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