Cristina Taglietti, "Corriere della Sera", 15 maggio 2016
L’italiano cambia, anche attraverso le traduzioni dei romanzi. È uno dei temi che l’«Autore Invisibile», il ciclo di seminari curato da Ilide Carmignani, ispanista e traduttrice di autori come Gabriel García Márquez, Roberto Bolaño, Luis Sepúlveda, in questi giorni sta affrontando. Questa mattina il linguista Gianluigi Beccaria parlerà di «Italiano che va e italiano che viene» e in questi cambiamenti della lingua ha un ruolo anche quello che leggiamo, considerato che più del 60 per cento della narrativa viene dall’estero. «L’italiano è una lingua ancora vitale — dice Beccaria — che magari per strada perde pezzi ma ne acquista di nuovi. Una volta venivano dal basso, oggi vengono soprattutto dalla lingua imperiale, l’inglese. In generale, un tempo la nostra narrativa poggiava su basi molto tradizionali, oggi anche la lingua si va globalizzando, forse anche si appiattisce un po’. Lo sanno bene i nostri narratori, che infatti scrivono in un italiano già pronto per essere tradotto. Diciamo che, forse, oggi, un Gadda non potrebbe esserci nella nostra letteratura».
Quando si parla di italiano letterario la traduzione è un punto di riferimento fondamentale, anche se spesso sottostimata. «Quindi — dice Ilide Carmignani — la domanda è: quando traduco La gabbianella e il gatto di Sepúlveda a quale italiano faccio riferimento? All’italiano dell’uso? Ma io sono toscana e ogni casa editrice ha una sua idea di italiano letterario. Per esempio: come traduco cool? Per la casa editrice romana dovrei usare fico, per quella milanese figo. Io metterei ganzo. Se faccio una traduzione fedele e letterale, non uso un buon italiano, ma un incrocio tra la mia e l’altra lingua». Le regole di revisione delle case editrici e la loro provenienza contano più di quanto si creda. «Il passato remoto si sta indebolendo per esempio — continua Carmignani —. Contribuiscono le traduzioni da una lingua come l’inglese che ha una sola forma di passato e l’editing di molte case editrici del Nord, dove è usato molto meno rispetto ad altre zone d’Italia. Per me è un impoverimento, si perdono sfumature».
A cambiare l’italiano non sono solo le traduzioni dei romanzi, ma anche quelle delle serie tv. Lo spiega Stefano Arduini, docente di Linguistica generale all’Università di Urbino dove organizza, con Carmignani, le Giornate di traduzione: «L’italiano che usiamo passa anche da lì. Anzi, sui giovani è forse quello che ha più influenza. Ora sta andando in onda Il Trono di Spade, in contemporanea con l’America. È chiaro che la traduzione dei sottotitoli e del doppiaggio non può essere così accurata e infatti si nota la differenza con le precedenti serie. Oltretutto parliamo di un programma che ha creato un suo sistema linguistico. Comunque, è certo che la letteratura non ha più la funzione di riferimento culturale che aveva in passato».
Le serie, ma anche i romanzi di genere, soprattutto i noir, sono alla base di certi calchi dall’inglese. «“Assolutamente”, “rilassati”, “dacci un taglio”, “fottuto”, “dannato” — aggiunge Ilide Carmignani — provengono da lì. Così come l’uso di frasi molto brevi, paratattiche. Si ritrovano nei testi di molti scrittori italiani, da Ammaniti a De Carlo. Una semplificazione che non è necessariamente un male, dipende da quanto l’autore la integra in uno stile personale». Quando viene male, il linguista Giuseppe Antonelli la chiama «traduttese»: «Era molto diffusa una decina di anni fa, adesso mi sembra che sia un po’ diminuita». Antonelli ieri ha parlato di punteggiatura ai partecipanti del seminario di traduzione. Perché anche in quel settore la lingua dei romanzi ha esportato qualcosa: «Come l’uso del trattino che non si chiude. In italiano se ne usano due a indicare un inciso. È curioso che il primo ad accorgersene sia stato Leopardi che se la prende con il traduttore di Byron, paragonandolo a un ciarlatano di piazza che, in quel modo, vuole dirci: guardate quanto sono bravo. D’altronde anche Sandro Veronesi, in un libro del 2001 tutto dedicato alla punteggiatura, ha scelto il trattino. La grammatica italiana non lo accetta, ma lui ne fa un manifesto». Certo non si può parlare di un’unica lingua. «L’ultimo bestseller — aggiunge Arduini — non può avere lo stesso tipo di traduzione di un lavoro autoriale. Si va dal linguaggio sofisticato dei grandi traduttori, attenti a riprodurre la voce degli scrittori, a quello rivolto a un mercato di consumo più immediato e veloce, su cui, magari, lo stesso editore non investe molto. Lo scrittore interessante è quello che prende i materiali, anche più bassi, di una lingua e li tempra, cambiandone il valore».
Paolo Nori, che ieri ha animato uno degli incontri dell’«Autore Invisibile», è diventato traduttore, dal russo, dopo aver pubblicato i suoi primi romanzi. È convinto che la traduzione debba parlare ai lettori di oggi con il loro linguaggio, per cui i contadini delle Anime morte di Gogol imprecano in dialetto modenese. «Molti amici russi mi dicono: ma perché traduci Tolstoj? L’hanno già fatto molti altri. È vero, però se un russo lo legge trova una lingua contemporanea, invece la traduzione di Landolfi, per esempio, è datata. Ma questa è proprio una caratteristica della nostra lingua. Se un bambino russo legge il romanzo in versi di Puškin Evgenij Onegin, capisce tutto. Io ho letto a mia figlia il 5 maggio di Manzoni e lei ha capito che qualcuno giocava a memory respirando».
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