lunedì 7 luglio 2014

Filosofia del camminare


Quei passi rispecchiano l'anima
Per Balzac i pensieri più segreti, le emozioni più nascoste 
si rivelano osservando il modo di muoversi delle persone 

Chiara Pasetti


"Il Sole 24 ore", 6 luglio 2014 

«Non si può pensare e scrivere se non seduti», affermava Flaubert. Nietzsche prenderà spunto da questa affermazione per criticare aspramente il padre di Emma Bovary, che definisce "nichilista", per il mancato (a suo avviso) riconoscimento del legame fra corpo-movimento e pensiero-scrittura: "Restare seduti è esattamente il peccato contro lo spirito santo. Solo i pensieri nati camminando hanno valore", scriverà nel Crepuscolo degli idoli. 
Questa diatriba sarebbe piaciuta molto a Honoré de Balzac, che prima di loro non solo aveva riflettuto sull'argomento del movimento umano, ma ne aveva addirittura composto un piccolo saggio psico-sociologico in cui, vestendo i panni dell'antropologo, si interroga sul significato profondo e, secondo lui, mai sondato, del camminare. La sua Théorie de la démarche, ora pubblicata dalle edizioni Elliot col titolo Teoria del camminare, comparve per la prima volta in cinque puntate, fra l'agosto e il settembre del 1833, sulle pagine de "L'Europe Littéraire", non casualmente nello stesso momento in cui Balzac stava lavorando a una delle sue opere d'elezione, la storia intellettuale di Louis Lambert, romanzo mistico, filosofico e profondamente rivelatore del pensiero più nascosto dell'autore, in cui il suo realismo visionario tocca le vette più alte, e che egli riprenderà ancora nel 1836 e nel 1842. Forse per distrarsi dagli incubi e dalle visioni del geniale e infelice Lambert, che farà sprofondare al termine della sua avventura nelle tenebre della follia (e nella Teoria del camminare, a un certo punto, scrive che egli si trova esattamente "nel punto in cui la scienza collima con la follia", e che soltanto un uomo sufficientemente audace, che senza timore sfiora "la follia e la scienza", poteva elaborare teorie sulle andature umane), forse per liberarsi dagli spiriti evocati da Swedenborg, genio (maligno) ispiratore del romanzo, Balzac passeggiava... e come tutti i grandi maestri dell'Ottocento francese, di cui lui fu il primo, osservava, per poi trarre dalle sue osservazioni materia di studio e di scrittura. Abituato a non vedere nella gente altro che "dei libri da scrivere", egli, aspettando una carrozza, guardava "spensierato" le varie scene che gli passavano davanti agli occhi, quando vide un uomo che cadde a terra e per mantenere l'equilibrio si appoggiò a un muro. 
Questo pretesto apparentemente banale, che lo induce anche a riflettere sul riso che genera sempre "un uomo che cade", accende in Balzac quella che definisce una sua "scoperta immortale", un "tesoro" in cui si è imbattuto e che prima di lui nessuno aveva visto, ossia la sua teoria del camminare. Preso dall'esaltazione febbrile che consegue ogni grande scoperta, tra l'ironico e l'enfatico dichiara che questa è davvero la sua scienza, e che per quanto si tratti in fondo dell'arte di "alzare e abbassare il piede", essa richiede un tono "epico", poiché "la dignità delle cose è inversamente proporzionale alla loro utilità": "non è davvero incredibile il fatto che, da quando l'uomo ha iniziato a camminare, nessuno si sia chiesto perché cammina, come lo fa, se potrebbe forse farlo meglio, cosa avviene mentre passeggia, se non esiste un modo per impostare, modificare e studiare la sua andatura? Domande che sono alla base di tutti i sistemi filosofici, psicologici e politici di cui il mondo si sia occupato". 
Domande alle quali lui decide di dare risposta, partendo dall'assioma per cui "la camminata è la fisionomia del corpo". Secondo questa formula i pensieri più segreti, le emozioni più nascoste, si rivelano all'occhio esperto di chi sa osservare il modo di camminare; non si tratta solo di rintracciare le leggi che presiedono a una bella andatura o i difetti delle andature sgraziate, ma di elaborare una semiotica del movimento che sappia differenziare l'andatura dei "tipi umani" a seconda delle classi sociali, dei mestieri, delle abitudini. 
La camminata è dunque articolazione espressiva, e attraverso i segni esteriori nasconde qualcosa che si cela nell'anima del marcheur. Questo breve saggio, a tratti ironico a tratti serissimo, è ancora una volta rivelatore del grande talento di Balzac, e gli fornisce anche l'occasione per sottolineare le caratteristiche del genio, del grande scopritore, di colui che, segretario della sua epoca, come Omero, Aristotele, Shakespeare, Tacito, e altri che egli cita, inventa e tramanda. Deve essere, insieme, un grande osservatore e un grande scrittore, deve possedere non solo la "vista morale", ma anche "un'eminente perfezione dei sensi e una memoria quasi divina", deve sapere guardare, come diceva Flaubert, "fin nei pori delle cose", e poi deve sapersi esprimere, deve sapere raccontare ciò che ha visto. E se qualche volta incontra momenti di sconforto, di noia o di scarsa ispirazione... può sempre camminare, per poi tornare, da seduto, a "vedere l'abisso e penetrare nei suoi segreti".


Nessun commento:

Posta un commento