sabato 5 luglio 2014

Francesca da Rimini surclassa Beatrice nel cuore degli italiani


Così attraverso i secoli l’eroina dell’Inferno di Dante 
perde la connotazione di peccatrice
Lo racconta a Rimini “Divina Passione”, mostra sulla Commedia

Michele Brambilla

"La Stampa", 4 luglio 2014

Chi volesse compiere uno straordinario viaggio nel tempo può andare - da oggi pomeriggio fino al 28 settembre - a Rimini, al Museo della Città, a visitare la mostra «Divina Passione». Sono esposte oltre sessanta rarissime edizioni della Divina Commedia stampate dal XV secolo ai giorni nostri, e appartenenti alla più grande collezione del mondo, quella del torinese Livio Ambrogio.
Non c’è bisogno di essere bibliofili per emozionarsi già all’inizio della mostra, quando ci si imbatte nelle prime parole mai stampate della Commedia: «Nel mezo delcamin dinrã vita mi trovai p.una selva oscura...». È l’editio princeps, la prima edizione assoluta della Commedia: un volume realizzato l’11 aprile 1472 a Foligno da Johann Numeister, tipografo di Magonza formatosi nell’officina di un altro Johann, il celeberrimo Gutemberg. Sotto l’ultima riga, «lamor chemuovel sole et laltre stelle», si può leggere uno dei primi colophon della storia: «Nel mille quatro cento septe et due nel quarto mese adi cinque et sei questa opera gentile impressa fue. Io maestro Johanni Numeister opera dei alla decta impressione et meco fue. Elfulginato Evangelista mei».
È in assoluto il primo libro stampato in lingua italiana: ne esistono una trentina di copie in tutto il mondo, dieci in Italia. 
E perfino più raro (sedici nel mondo, sei in Italia) è il secondo volume che si incontra: la Commedia stampata a Mantova nello stesso 1472 da Georg di Augusta e Paul di Butzbach. C’è poi la prima edizione tascabile, intitolata «Le terze rime» e stampata a Venezia da Aldo Manuzio nell’agosto 1502: una specie di Oscar Mondadori ante litteram. E ancora, «La traducion del Dante de lengua toscana en verso castellano», prima traduzione in spagnolo dell’Inferno, stampata a Burgos il 2 aprile del 1515 e commissionata da Giovanna d’Aragona, figlia del re don Ferdinando il Cattolico e di Isabella di Castiglia. Piccolissima è poi «La Visione. Poema di Dante Alighieri», stampata a Vicenza nel 1613: è una delle appena tre edizioni della Commedia stampate in tutto il Seicento.
Questa straordinaria mostra è l’evento più importante fra quelli che accompagnano «Italian Passion», cioè l’ottava edizione del Convegno internazionale su Francesca da Rimini, che si tiene oggi e domani, sempre al museo della Città, con la collaborazione dell’Università di Los Angeles. Perché Los Angeles? Perché fu proprio là che, sentendo lo storico riminese Ferruccio Farina tenere una conferenza su Dante, agli americani venne l’idea di istituire ogni anno un convegno internazionale su una delle storie d’amore più conosciute nel mondo. Quella appunto dell’episodio narrato nel quinto canto dell’Inferno, la sventurata passione fra Paolo e Francesca. «Francesca da Rimini», dice il sindaco Andrea Gnassi, «è senz’altro il personaggio più amato della Commedia, riconosciuta universalmente come simbolo della bellezza, dell’amore eterno. Francesca, che porta il nome della mia città, è la straordinaria ambasciatrice del Paese più bello del mondo».
E attraverso il mito di Francesca di Rimini, o meglio attraverso la sua raffigurazione nella letteratura e nell’iconografia, si può cogliere com’è cambiato nel corso dei secoli il costume, il senso della morale, l’idea di peccato. Le sessanta Commedie esposte a Rimini - che sono solo una parte della collezione torinese di Livio Ambrogio, composta da più di mille volumi - raccontano infatti una storia nella storia: quella del riscatto dell’amante maledetta che Dante pone all’inferno, con il suo Paolo, nel girone dei lussuriosi.
Imperdonabile fu considerato dai contemporanei il bacio galeotto di Paolo e Francesca. Imperdonabile perché conseguenza di un adulterio - tutti e due erano già sposati - e addirittura incestuoso, perché i due amanti erano anche cognati. Così nelle prime edizioni illustrate della Commedia (in mostra c’è la prima in assoluto, quella del 1487 con il commento di Cristoforo Landino) per gli adulteri ci sono fiamme e sofferenza, senza alcuna indulgenza o pietà.
«È solo alla fine del Settecento, con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, che Francesca comincia a essere guardata con occhi nuovi», dice Ferruccio Farina, coordinatore del Convegno internazionale e curatore di questa mostra insieme con Livio Ambrogio. «Da peccatrice, comincia a essere considerata vittima di un inganno, costretta a sposare il disgustoso Gianciotto dopo che le avevano fatto credere che avrebbe sposato il fratello, Paolo. Qui in mostra abbiamo la prima opera che, dopo secoli, in qualche modo riabilita la mia concittadina, e cioè “Francesca di Arimino” di Francesco Gianni, del 1795».
All’inizio dell’Ottocento Dante, dopo un lungo periodo di oblio, viene riscoperto e riletto con una diversa sensibilità. E così la figura di Francesca: «La colpa è purificata dall’ardore della passione, e la verecondia abbellisce la confessione della libidine; e in tutti questi versi la compassione pare l’unica Musa», scrive Ugo Foscolo. Nel 1831 Mazzini pone Francesca e il suo anelito di libertà come esempio dei valori di un vero italiano. Francesco De Sanctis scriverà: «Beatrice non ha potuto divenire popolare ed è rimasta materia inesausta di dispute e di arzigogoli. Francesca al contrario acquistò un’immensa popolarità... Non ha Francesca alcuna qualità volgare o malvagia, come odio, o rancore, o dispetto, e neppure alcuna speciale qualità buona: sembra che nel suo animo non possa farsi adito ad altro sentimento che l’amore. Amore, Amore, Amore!».
Più che la lussuria c’è il segno dell’amore eterno nella Francesca raffigurata da Gustave Doré, presente in questa mostra con la sua prima tiratura, del 1861. Nella Divina Commedia illustrata a cura degli Alinari (1922-’23) «Francesca, nella piena bellezza del suo corpo nudo, più che soffrire sembra bearsi del dolce abbraccio dell’amato». L’edizione del 1921 illustrata dall’austriaco Franz von Bayros ci mostra poi una Francesca sensuale, erotica. La mostra arriva alle 56 tavole di Renato Guttuso, 1970. 

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