Quando la passione aspettava il postino
Da Cicerone a Lutero, da Marx a Joyce,
in un’antologia le lettere scritte da “uomini e donne straordinari”
Massimiliano Panarari
"La Stampa", 5 febbraio 2015
Cosa dicono, quando scrivono d’amore, i grandi della cultura, dell’arte e della politica? Il genere epistolare, si sa, ha risentito fortemente del passaggio dalla missiva vergata a mano a quella spedita con un clic. Se non nella intensità dei sentimenti che viaggiano attraverso le parole (chissà, però, se donne e uomini provano esattamente le medesime emozioni al cambiare di tempi e generazioni…), di sicuro nella lunghezza dei testi con cui li declamano. La turbo-mail via posta elettronica è perciò assai differente dalle arzigogolate Lettere d’amore di uomini e donne straordinari, autentici esempi di trattatistica sentimentale, tra sospiri, battiti del cuore, dolori lancinanti e spasimi, raccolte da Alessandro Miliotti per i tipi di Piano B edizioni (pp. 191).
Epistole dall’esilio sono quelle della classicità romana, con Marco Tullio Cicerone e Publio Ovidio Nasone intenti a consolare le mogli (rispettivamente la ricca patrizia Terenzia, poi ripudiata, e la perennemente amata Fabia), dopo essere stati allontanati dal potere di turno. Un bel po’ di secoli dopo, nell’Europa delle guerre di religione, Martin Lutero corrispondeva con Katharina von Bora, la monaca che aveva aiutato a fuggire dal monastero e che aveva sposato (madre dei suoi 6 figli), di cui si definisce «suddito», informandola, da animo un po’ grossier quale era, del fatto che «divoro come un boemo e sbevazzo come un tedesco».
Amori tormentati quelli dei filosofi del razionalismo e dell’Illuminismo francese, con pochi Lumi e molti struggimenti (nel privato amoroso, dunque, più dei romantici che degli alfieri della Ragione…). Cartesio ebbe una intensa relazione platonica (per scomodare un altro pensatore illustre), da confidente molto affettuoso, con la principessa di Boemia Elisabetta, rara poliglotta che parlava sei lingue. Una corrispondenza così intensa da costituire la base del trattato cartesiano su Le passioni dell’anima del 1649; e tante furono le cosiddette «pensatrici cartesiane» (a partire dalla regina Cristina di Svezia), vale a dire le donne che, in età barocca, si avvicinarono al filosofare sotto l’impulso di Descartes. Voltaire diede invece scandalo non solo per le sue posizioni ideologiche, ma anche per la relazione con una giovane ugonotta, Catherine Olympe Dunoyer, che aveva conosciuto all’Aia da segretario dell’ambasciatore francese. E se ne dovette ritornare in patria di gran carriera, costretto dalla famiglia di lei, per evitare la galera, anche se poi non la scampò a casa, dove nel 1716 venne incarcerato per quasi un anno per i suoi scritti «sovversivi».
Laceratissimo era Jean-Jacques Rousseau, gran teorico della bontà della natura umana, mentre le donne lo fanno molto soffrire: come la contessa Sophie d’Houdetot, di cui si era innamorato follemente nel 1757. Le scrive allora chiaro e tondo che è «senza pietà» e ha un «cuore ingiusto» perché, dopo tre mesi di passione travolgente, fa ritorno tra le braccia dell’amante di sempre, il poeta Saint Lambert.
Venendo ai romantici veri e propri, il filosofo e poeta Friedrich von Schiller, dopo lunga esitazione e altrettanto prolungata meditazione riguardo le due sorelle Carlotte e Carolina von Longefeld, si risolve per la prima, la più timida Lotte. E lo dice, naturalmente per lettera, richiedendo la sua mano. Precorritrice di certa temperie romantica è anche una figura notevolissima quale la filosofa settecentesca Mary Wollstonecraft, fondatrice de facto del femminismo e madre di Mary (l’autrice di Frankenstein e seconda moglie di Percy B. Shelley), che per amore di un gaglioffo americano tenta ripetutamente il suicidio.
Non precisamente fortunati in amore furono vari pensatori e artisti comunisti, a partire da Marx stesso con la sua Jenny von Westphalen, coppia contro la quale si accanirono le incertezze economiche (la dura legge della «struttura»), per arrivare sino a Gramsci. Per non dire dell’impetuoso aedo della rivoluzione d’ottobre Vladimir Majakovskij, tra le ragioni del cui suicidio, nel 1930, pare ci fosse stato anche l’amore non pienamente corrisposto da parte di Lilja Brik, giovane attrice, moglie del critico letterario Osip Brik (con conseguente complicatissimo ménage à trois). Ma nel libro ci sono anche lettere a mogli o amanti di Washington, Baudelaire, Wagner, Joyce, Pessoa, Svevo, e molti altri. Tutti umani, fin troppo umani. E questo, a ben pensarci, era anche il loro bello…
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