Ecco un vademecum concettuale minimo per discutere sulla questione della blasfemia in una società laica
Roberto Casati
"Il Sole 24 ore", 15 febbraio 2015
1. In primo luogo, attenzione agli «argomenti-ma», denunciati da più parti, in particolare da Salman Rushdie, nonché dai redattori nell’editoriale del primo numero di «Charlie Hebdo» dopo gli attentati. «Io non sono razzista, ma...», «Sono d’accordo sulla libertà di stampa, ma...», «Non ho niente contro i mussulmani, ma...». Tipicamente gli «argomenti-ma» vengono presentati come espressione di una leggera sfumatura di dissenso rispetto a una tesi che si suppone condivisa, quando in realtà sottintendono il contrario della tesi.
2. Veicolo o contenuto? Chi difende la libertà di espressione difende un veicolo, l’esistenza di organi di espressione, indipendentemente dalla difesa del suo contenuto. Chi sottoscrive «JeSuisCharlie» può aderire a quanto «Charlie Hebdo» pubblica, o vuole invece soltanto dire che è d’accordo che «Charlie Hebdo» pubblichi qualsiasi cosa intenda pubblicare, anche se poi non aderisce ad alcuni o a nessuno dei contenuti pubblicati. Uno potrebbe dire senza contraddirsi «JeNeSuisPasCharlie, quindi JeSuisCharlie», non sono d’accordo con i tuoi contenuti, ma proprio per questo accetto il principio superiore della libertà della loro espressione.
Se poi si vuole discutere di contenuti e non soltanto del veicolo, si devono tenere presenti ancora altri aspetti.
3. Blasfemia o incitazione all’odio (razziale o religioso)? Irridere un certo X, considerato come sacro dal gruppo Y, è cosa diversa dall’irridere gli Y, dal dire che gli Y sono esecrabili in quanto credono in X; o che gli Y vanno sanzionati – privati di diritti, espulsi, sterminati eccetera – in quanto credono in X. Se si irride l’X considerato come sacro dagli Y non si prendono di mira esplicitamente gli Y che credono in X. L’incitazione all’odio ha forme ed espressioni diverse dalla blasfemia, che vengono giustamente sanzionate.
4. Offesa o danno? La legge francese non prevede il reato di blasfemia; negli Stati Uniti sarebbe inconstituzionale perseguire un blasfemo.
In Italia la blasfemia è un illecito amministrativo; in Pakistan è punibile con la pena di morte.
A fondamento della visione laica, che non considera sanzionabile la blasfemia, c’è un’idea di John Stuart Mill secondo il quale si deve distinguere tra offesa e danno. La blasfemia può anche offendere una persona, ma non può arrecarle alcun torto. Se viene impedito agli Y l’accesso a un luogo di culto, o se gli Y vengono calunniati, viene arrecato loro un torto, ma se viene irriso un X considerato sacro dagli Y, non viene arrecato alcun danno agli Y. Il danno deve essere quantificabile, mentre la nozione di offesa è eminentemente soggettiva e sostanzialmente imponderabile.
5. Desacralizzazione offensiva o sacralizzazione offensiva? A questo proposito, vorrei spendere una parola su una sottile asimmetria che sembra far parte del discorso comune e di quello dei media. Viene dato per scontato che vi sia un solo tipo di offesa in gioco, quella di chi crede nella sacralità di X, quando X viene dissacrato. Sarebbero solo i credenti (di qualsiasi religione) ad albergare sentimenti che verrebbero offesi da certi comportamenti o immagini dissacranti. Ma dovrebbe venir tenuto presente che anche i non-credenti hanno tutti i diritti di sentirsi offesi dalla sacralizzazione di comportamenti o immagini, ovvero dal fenomeno inverso.
Non c’è nessuna ragione di accettar e l’asimmetria, ovvero di pensare che un non-credente non possa e non debba sentirsi offeso dall’ostentazione di un simbolo religioso in un luogo pubblico. Se la questione della blasfemia è, come dovrebbe essere, una questione di sensibilità alle offese, allora tutte le sensibilità devono venir prese in considerazione, anche quella dei non-credenti. Per restaurare la simmetria abbiamo dunque bisogno di un concetto di “offesa ideologica” che include come sottoconcetto sia la blasfemia sia la sacralizzazione offensiva. Chiunque volesse sanzionare la dissacrazione offensiva, dovrebbe però anche accettare una sanzione nei confronti della sacralizzazione offensiva.
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