Ben prima dei Savoia furono diversi i tentativi di unificare la Penisola, ma le sorti delle armi furono avverse. Le cocenti sconfitte militari del Regno a partire dal 1866, poi, alimentarono il falso mito dell’italiano pessimo soldato
Andrea Santangelo, "Il Fatto", 30 novembre 2017
Gli italiani vengono spesso accusati di avere scarso senso civico, poco amor di Patria e di essere pessimi soldati. Una delle spiegazioni che va per la maggiore è quella della nazione unita da troppo poco tempo. E controvoglia. L’unione fu imposta dalle élite e mai realmente accettata da ampi strati della popolazione. Per questo non ci fidiamo dello Stato e non siamo disposti a sacrificarci per esso, in primis militarmente. In realtà, ben prima dei Savoia ci furono tentativi di unificare politicamente la penisola, solo che la sorte delle armi fu avversa. Quelle battaglie sono diventate dei veri e propri turning point storico militari (o delle sliding doors se preferite la metafora cinematografica).
Dopo l’esperienza unificatrice dell’Impero romano, i primi ad avere un’idea di dominio dell’intera penisola furono quasi certamente i Longobardi. Il Papato glielo impedì, chiamando in Italia i Franchi di Carlo Magno che sconfissero i Longobardi, nel 773, nella battaglia delle Chiuse di San Michele. Il re dei Franchi divise saggiamente in due il suo esercito ed entrò in Italia da differenti percorsi (Moncenisio e Gran San Bernardo), mettendo in difficoltà il sistema difensivo longobardo, imperniato sulle Chiuse della Val di Susa. Dopo un rapido scontro, i Longobardi si ritirarono nella fortificata Pavia, dove poi si arresero. Se re Desiderio avesse sconfitto Carlo, la storia d’Italia avrebbe preso tutta un’altra piega e il Papato sarebbe divenuto un docile strumento al servizio della corona longobarda. Non andò così e lo Stato della Chiesa fu per tutto il Medioevo il principale ostacolo alle mire unionistiche italiane, chiamando spesso a suo supporto potenze estere. Anche diversi pontefici ebbero ambiziosi progetti di espansione, ma senza mai realmente possedere le forze militari per metterli in pratica.
Occorre attendere fino al Rinascimento per avere nuove possibilità di unificazione, seppur quasi virtuali e utopicamente effimere. Nel 1494, con la calata in Italia del re francese Carlo VIII, i litigiosi staterelli italiani misero da parte le loro rivalità fondendosi in una Lega militare. Il 6 luglio 1495, a Fornovo nel parmense, francesi e italiani si scontrarono lungo il Taro. La pioggia rese difficili le operazioni della Lega italiana, alzando il livello del fiume e rendendo pesante il terreno; il piano troppo complesso di Francesco II Gonzaga si rivelò un fallimento e Carlo VIII riuscì a ritornare in Francia. Agli italiani sembrò di aver vinto, in realtà le loro divisioni politiche e militari (ma soprattutto le loro ricchezze) attirarono l’attenzione di francesi e spagnoli che trasformarono l’Italia nel loro campo di battaglia. Se la Lega avesse distrutto l’esercito francese, forse avrebbe potuto dare agio a qualche stato italiano (Venezia? Una lega di più stati?) di unificare prima o poi il Paese.
Cinque anni dopo il turning point di Fornovo, il figlio di papa Alessandro VI, Cesare Borgia, costituì un suo ducato in centro Italia grazie ai soldi del padre e all’aiuto militare del re francese Luigi XII. In breve tempo si distaccò dai suoi due ingombranti sponsor e cominciò a guerreggiare di testa sua, attaccando chi gli pareva emettendo insieme anche eserciti assai innovativi tatticamente e in cui l’elemento italiano, e in particolar modo quello romagnolo, era predominante. L’improvvisa scomparsa di Alessandro VI mise in grave difficoltà economica “il Valentino”, che non riuscì più a mantenere sotto le armi tutti i soldati di cui aveva bisogno. E che questi piani contemplassero la gran parte d’Italia ce lo dice un cronista coevo del Borgia, il cesenate Giuliano Fantaguzzi: “volea fare a Cesena: palazo, canale, rota, studio, piaza in forteza, agrandare Cesena, fontana in piaza, duchessa, corte a Cesena, fare el porto Cesenatico et finalmente farse re de Toschana et poi imperator de Roma con castello santo Angello”. Un’Italia unita sotto Cesare Borgia avrebbe dato un bello scossone alla geopolitica del tempo, ma la morte di Rodrigo Borgia è stata la sliding door che l’ha evitata.
Il dominio spagnolo su gran parte delle penisola sedò ogni ulteriore tentativo di italianità. Tralasciando la folcloristica Disfida di Barletta, bisognò attendere le guerre napoleoniche per avere un nuovo paladino della nazione e una battaglia turning point. Gioacchino Murat re di Napoli e cognato di Napoleone, un progetto di unificazione raffazzonato e vago ma con tanto di proclama agli Italiani letto pubblicamente a Rimini. Si combatté una sanguinosa battaglia a Tolentino, che vide però la netta vittoria degli austriaci. Un’altra sliding door chiusa.
Fu solo con il Risorgimento di Vittorio Emanuele II, Cavour, Garibaldi e Mazzini che la porta fu finalmente tenuta aperta e si ebbe l’Italia unita.
Le prime cocenti sconfitte militari del Regno d’Italia furono il motivo per cui il nostro Paese perse per sempre la possibilità di essere una potenza militare rispettata e temuta e si dovette poi accontentare di ruoli subalterni in politica estera. La battaglia di Custoza del 1866 e quella navale di Lissa, pur combattute in netta superiorità numerica, sancirono l’incapacità italiana di fare la guerra. Il disastro coloniale di Adua, del 1896, ne fu solo l’inevitabile epilogo. Da quel momento, il cosiddetto “mondo civilizzato” ci ha sempre guardato quantomeno con malcelato disprezzo. Ed è nata la storiella che gli italiani non sanno fare la guerra perché troppo occupati a far l’amore, mangiare pizza e pasta, giocare a calcio e fare casino.