Dalla matematica ai grandi artisti il rettangolo “magico” che definisce le forme perfette La divina proporzione
Piergiorgio Odifreddi
“la Repubblica“, 6 marzo 2014
La “sezione aurea” ha colpito ancora. L’editore inglese GraphicDesign& ha infatti appena pubblicato un libro intitolato Golden Meaning che contiene, come annuncia il sottotitolo, “55 esperimenti grafici” da parte di altrettanti top designer mondiali. Essi effettuano le loro variazioni sul tema aureo del numero più famoso e chiacchierato della storia: quello chiamato appunto “sezione aurea” o “divina proporzione”, e di cui la copertina del libro ricorda e riporta le prime cifre decimali, cioè 1,618.
Il formato delle pagine dell’opera è lo stesso già usato da Piero della Francesca nella Flagellazione di Cristo, le cui due scene illustrano la proprietà caratteristica del cosiddetto “rettangolo aureo”: il fatto che, togliendo il quadrato costruito sul lato minore, rimane un rettangolo che è simile a quello di partenza. Nel libro, due pagine riportano la scritta «la sezione aurea è una cassetta degli attrezzi per i caratteri tipografici», composta doverosamente con caratteri costruiti a partire da rettangoli aurei di varie dimensioni, alla maniera delle scritte digitali.
Poiché il rettangolino che si ottiene da un rettangolo aureo per sottrazione del quadrato è anch’esso aureo, gli si può a sua volta sottrarre il quadratino costruito sul suo lato minore, e così via, innescando un inarrestabile processo, che costituisce una delle prime immagini storiche dell’infinito. Inserendo dei quarti di cerchio nei vari quadrati, via via sottratti ai vari rettangoli, si ottengono poi delle “spirali auree”. E l’immagine più geniale del libro è forse un “sedere d’oro”, le cui due natiche sono semplicemente due spirali auree accostate fra loro, perfette a un grado che può solo essere sognato da attrici e modelle.
Altre immagini rappresentano bottiglie, bicchieri, termometri e altri oggetti, nei quali il contenuto è in proporzione aurea con il vuoto rimanente. Altre ancora riformattano oggetti di uso comune in modo da far loro assumere proporzioni auree. E una pagina rappresenta gli immancabili conigli, che ricordano il fatto che la sezione aurea è approssimata dal rapporto fra due qualunque termini successivi della famosa “successione di Fibonacci”. Questa prende il nome da Leonardo da Pisa, detto Fibonacci, che la pubblicò nel 1202 nel suo Libro dell’abaco, appunto come soluzione di un problema relativo alla riproduzione dei conigli.
La successione parte da 0 e 1, e a ogni passo procede sommando i due numeri precedenti: la sequenza continua dunque con 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, eccetera, il che spiega il motivo della scelta delle 55 variazioni effettuate dai 55 designer. Conigli a parte, le apparizioni, spesso inaspettate e insospettate, della sequenza di Fibonacci in natura sono talmente ubique, da riempire da anni i numeri della rivista quadrimestrale The Fibonacci Quaterly.
E altrettanto vale per le manifestazioni della sezione aurea, descritte nei classici Crescita e forma di D’Arcy Thompson e Le curve della vita di Theodore Cook, e compendiate più recentemente da La sezione aurea di Mario Livio.
L’attrazione estetica della sezione aurea è rimasta immutata nei secoli. Il primo campo in cui essa si è manifestata è stata la matematica: dagli Elementi di Euclide alla Divina proporzione di Luca Pacioli, gli addetti ai lavori si sono estasiati di fronte alla bellezza delle figure e dei solidi in cui essa compare.
Il “poligono aureo” per eccellenza è il pentagono, le cui diagonali stanno in rapporto aureo con i lati, e formano una figura nota come “stella pitagorica”. E un’altra immagine dell’infinito, ancora più evidente di quella telescopica dei rettangoli aurei, si ottiene notando che i lati della stella pitagorica formano al centro una figura che non è altro che un nuovo pentagono regolare, dentro al quale si può costruire un’altra stella pitagorica, e così via. La successione telescopica alternata di pentagoni e stelle, simile a un esercito senza fine di bambole russe contenute una nell’altra, suggerisce che la diagonale e il lato del pentagono siano grandezze fra loro incommensurabili.
Pochi simboli hanno avuto, nella storia, il potere d’attrazione della stella pitagorica a cinque punte. In Italia oggi noi l’associamo automaticamente alle Brigate Rosse, ma il suo utilizzo rivoluzionario ha radici lontane: essa non è infatti altro che la famosa Stella rossa sulla Cina dell’omonimo libro di Edgar Snow, ed è stata adottata in periodi diversi dall’Armata Rossa, dalle Brigate Garibaldi, dai Vietcong e dai Tupamaros.
Leggendo le loro memorie, si scopre che i primi brigatisti non riuscivano mai a disegnarla bene: veniva sempre un po’ squilibrata verso l’alto, quando addirittura non ci scappava una stella di David a sei punte, come in un sequestro compiuto da Mario Moretti. Perché la costruzione di un pentagono regolare non è immediata come quella di un triangolo, un quadrato o un esagono regolari, e coinvolge, implicitamente o esplicitamente, la “divisione aurea” di un segmento.
Quanto ai “solidi aurei”, i due più noti sono il dodecaedro e l’icosaedro. Il primo si ottiene mettendo insieme dodici facce pentagonali. E il secondo si può costruire congiungendo i dodici vertici di tre rettangoli aurei (o di tre carte di credito, meglio se scadute) incastrati perpendicolarmente fra loro. Questi oggetti hanno affascinato non soltanto i matematici, ma anche gli artisti, da Leonardo a Dalí.
Le illustrazioni del primo per il libro di Luca Pacioli hanno fatto storia, nelle loro versioni piene e vacue. E nei Cinquanta segreti dell’artigianato magico il secondo ha discusso non soltanto i disegni di Leonardo, ma anche il proprio personale uso della stella pitagorica nell’impianto della Leda atomica, e del dodecaedro nella struttura de L’ultima cena.
Se in pittura la sezione aurea si presenta come paradigma di proporzione estetica, non stupisce ritrovarla anche in scultura e architettura, da Fidia a Le Corbusier. Addirittura, spesso il rapporto numerico tra diagonale e lato del pentagono viene appunto indicato con Phi, in onore del primo, oltre che di Fibonacci. Quanto al secondo, il suo Modulor prende significativamente il nome da “module d’or”, e utilizza la sezione aurea per determinare due serie, una rossa e una blu, di dimensioni armoniche a misura d’uomo, da utilizzare nella progettazione non solo degli edifici, ma anche dei mobili e degli oggetti di casa.
Anche in musica la sezione aurea ha giocato un certo ruolo, da Bach a Béla Bartók. Il primo popolarizzò nei 48 preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato il sistema di temperamento equabile tuttora in uso, che consiste nella divisione dell’ottava in dodici semitoni uguali fra loro, e matematicamente corrisponde a una “spirale aurea”. Il secondo invece era così affascinato dalla sezione aurea, che la usò ripetutamente per equilibrare le parti della Musica per archi, percussioni e celesta e della Sonata per due pianoforti e percussioni.
Naturalmente, i roboanti aggettivi usati al riguardo suggeriscono che nella sezione aurea sia coinvolto qualcosa di sublimemente estetico, e infatti così pensavano i pitagorici che la scoprirono, due millenni e mezzo fa. Cosa ci sia di divino, o di aureo, nella stella pitagorica, è difficile da intuire a prima vista: certo non il fatto che essa, avendo tante punte quante sono le lettere del nome Jesus, possa impaurire il demonio, come succede a Mefistofele nel Faust di Goethe.
Ma una volta che si impari ad apprezzare l’equilibrio di questo rapporto, si scoperchia una vera cornucopia. E si comincia a dubitare pitagoricamente che si tratti forse dell’unico essere per il quale l’aggettivo “divino” non suoni ridicolo o sacrilego, e cioè un numero.
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