Una riscrittura marchia come traditore l’eroe di Virgilio
Luciano Canfora
"Corriere della Sera - La Lettura", 20 aprile 2014
Nel mondo greco e romano, cristiano e bizantino, la continuazione di un’opera storiografica precedente fu la norma. Così si venne costituendo un vero e proprio «ciclo» storico, di cui sono giunti a noi soltanto singoli spezzoni. Ma in realtà tutto incomincia con Omero. Nel caso dell’Iliade i problemi si complicano. Intorno al grande poema — che tratta di un periodo brevissimo, e neanche conclusivo, della guerra dei Greci contro la grande potenza microasiatica di Troia (XI secolo a.C.) — fiorì, ben più tardi, una serie di poemi che ne completavano il racconto: ad esempio con l’arrivo di Pentesilea e delle sue Amazzoni sopraggiunte in aiuto dei Troiani dopo la morte di Ettore. Altri poemi raccontavano altri «ritorni» meno famosi di quello di Odisseo.
Non ci si avventurava però a raccontare con pari ampiezza i presupposti dell’Iliade, che infatti comincia in medias res, quando ormai i Greci hanno alle spalle ben nove anni di guerra logorante. A ricostruire l’intera vicenda, risalendo addirittura a una prima guerra di Troia condotta dai Greci contro il padre di Priamo e seguitando oltre l’Iliade fino alla cattura proditoria e alla distruzione di Troia, provvide un simpatico falsario (forse databile all’inizio della nostra era) che si celò dietro il nome di Darete Frigio. Darete, sacerdote di Efesto e padre di due combattenti troiani sgominati dal greco Diomede all’inizio del V libro dell’Iliade , costituiva un’ottima «copertura» per suggerire ai lettori che questa narrazione proveniva addirittura da un contemporaneo, testimone diretto dei fatti narrati, diversamente da Omero, vissuto secoli dopo.
Un altro celebre falsario, Tolomeo Chenno (I d.C.), è il primo a far cenno a una «Iliade Frigia». A noi è giunta in versione latina una Daretis Phrygii De excidio Troiae historia , citata per la prima volta da Isidoro di Siviglia (VI d.C.) e forse nata non molto prima. Per gabellarsi come antica, l’opera è preceduta da una lettera di Cornelio Nepote a Sallustio, recante l’inverosimile notizia della scoperta dell’autografo di Darete! Nel Medioevo latino ebbe un successo enorme, a giudicare dai molti manoscritti del X secolo. Nel XIII secolo fa capolino addirittura una versione più ampia, scoperta da Courtney nel 1955. Ora, per Castelvecchi editore, l’opera appare ritradotta con brillantezza e qua e là compendiata da Luca Canali (Storia della distruzione di Troia); segue un ottimo corredo di note a cura di Nicoletta Canzio.
Naturalmente il cosiddetto Darete non sa nulla dei nove anni non narrati da Omero. Perciò il suo racconto è straripante di dettagli per quel che attiene agli antefatti della guerra, è poverissimo sui nove anni che precedono l’Iliade, è rapido nel riassumere quanto narrato nell’Iliade ed è invece originalissimo, oltre che fantasioso, per quel che riguarda il finale della vicenda, antitetico rispetto a quanto racconta Virgilio nel II libro dell’Eneide .
L’originalità del libro di Darete, a suo modo un antenato del romanzo storico, consiste nell’andare controcorrente rispetto alla tradizione. Per lui, le ragioni dei Troiani sono molto forti; il ratto di Elena era ben poca cosa rispetto ai torti dei Greci, già responsabili di una prima devastazione di Troia; Priamo non fu per nulla scontento dell’arrivo a corte di Elena (di cui l’autore segnala le bellissime gambe); spiritosi i vari ritratti dei personaggi femminili (Briseide era «deliziosa, ma pudica», Andromaca era «alta, casta, ma gradevole», Cassandra «di statura media e bocca alquanto rotonda», Polissena, figlia di Priamo, della quale si invaghirà Achille con esiti fatali, era «la più attraente di tutte le sorelle e di tutte le amiche»); strabico invece e anche balbuziente era Ettore, così come balbuziente era Neottolemo, figlio di Achille. Agamennone buono e saggio, Menelao un mediocre. Inverosimilmente le riunioni decisive dei Greci si tengono ad Atene.
Priamo è un bellicista: ostile a ogni compromesso, egli si ostina nel protrarre una guerra ormai perdente. Di qui discende il prodursi del fatto più clamoroso e palesemente anti-virgiliano del racconto di Darete: il tradimento di Enea. Enea, coadiuvato dal padre e da Antenore, decide, per porre termine alle guerra, di aprire le porte al nemico: tutti e tre in combutta con Sinone agli ordini di Agamennone. Persino la leggenda del cavallo viene fatta a pezzi. Per Darete si trattava di una protome equina, scolpita sulle porte Scee, attraverso le quali Enea e i suoi complici fanno entrare i Greci. E non basta. Enea vorrebbe restare nella città vinta e ridotta a poche migliaia di abitanti, ma ha chiesto con insistenza ad Agamennone la salvezza di Ecuba e di Elena; Agamennone gliela concede, ma gli ordina di togliersi dai piedi e di andarsi a cercare un’altra terra dove sopravvivere. Così l’Eneide viene annichilita.
Ci si può interrogare sul senso di questo strano racconto. In assenza di qualunque plausibile notizia sul vero autore, si possono solo formulare ipotesi. L’intento appare parodico, i ritratti dei personaggi sembrano confermarlo e fanno pensare ad un’altra celebre parodia storiografica, la Storia vera di Luciano di Samosata. Si può inoltre pensare — e le due ipotesi non sono in contrasto — a una consapevole dissacrazione dell’epopea romana, incentrata sul pio Enea, antico progenitore. Qui Enea diventa il traditore incallito e consapevole, alla fine maltrattato dallo stesso nemico al cui servizio si è posto. Nella temperie augustea e post-augustea, impregnata di rivendicazione occidentalistica e anti-ellenistica, si levarono voci di dissenso: ad esempio Timagene di Alessandria, che Augusto scacciò dalla sua casa, in quanto maldicente antiromano. Dopo Azio e la fine dell’ultimo regno ellenistico, questi Greci sollevavano ad esempio la questione: se Alessandro Magno si fosse rivolto a Occidente che brutta fine avrebbe fatto Roma. E Livio, intellettuale organico augusteo, si affrettò a scrivere pagine e pagine per dimostrare che Roma avrebbe sconfitto Alessandro, perché disponeva di validi consoli! In questo clima di insofferenza verso l’asfissiante conformismo augusteo, il cui prodotto più indigesto è il VI libro dell’Eneide, forse bene si inquadra l’impennata iconoclastica dell’altrimenti ignoto Darete Frigio.
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