Albert Einstein ha affermato che c'è qualcosa di musicale nella meccanica quantistica
Anna Li Vigni
"Il Sole 24 ore - Domenica", 13 aprile 2014
Albert Einstein ha affermato che c'è qualcosa di musicale nella meccanica quantistica. Cosa volesse intendere ce lo spiegano Maria Luisa Dalla Chiara, Roberto Giuntini, Eleonora Negri e Riccardo Luciani in un saggio tanto coraggioso quanto affascinante intitolato Dall'informazione quantistica alla musica. La fisica quantistica, si sa, ha operato una vera e propria rivoluzione di natura epistemologica e gnoseologica con la mutazione di alcuni concetti-chiave della fisica classica.
Incertezza, ambiguità e indeterminazione caratterizzano il comportamento delle micro-particelle (fotoni, elettroni, protoni, ecc.): nel celeberrimo esperimento delle due fessure, si è reso evidente come una stessa particella possa passare attraverso entrambe le fessure verso cui è stata sparata, e ciò in virtù di un fenomeno di sovrapposizione o di interferenza (entanglement) tale per cui, in assenza di un osservatore che ne determina il comportamento in un senso o in un altro, l'informazione relativa alla particella resta incerta e aperta a tutte le possibilità d'azione. Un fenomeno che Feynman ha definito «molto misterioso e più lo si osserva e più appare misterioso». Di fronte a fenomeni del genere, non ha senso utilizzare gli strumenti della fisica classica, della logica classica, della semantica classica: non si può compiere un'analisi di natura composizionale, attribuendo un significato a ogni singola parte, per pervenire al significato dell'insieme e nemmeno si può ragionare in termini di vero/falso. Nella fisica quantistica, al contrario, l'oggetto deve essere pensato in termini di relazioni contestuali e in termini di ambiguità, ovvero di apertura a tutte le possibilità (vero e falso). E se questo modello fosse applicabile anche alla musica?
Il mondo dei suoni, come quello dei quanti, si basa essenzialmente su relazioni, giacché le note sono entità semantiche che assumono un significato solo in un contesto. Gli spartiti musicali, inoltre, sono esempi di un linguaggio simbolico spesso ambiguo, per analizzare il quale la semantica classica si rivela fallace. Spesso in musica, come nella fisica quantistica, ci troviamo di fronte a fenomeni di sovrapposizione (entanglement), tali per cui il senso globale di un brano musicale deriva dalla percezione complessa di più melodie sovrapposte. Il che non vale per il linguaggio verbale, dove siamo costretti ad ascoltare un discorso alla volta, perché se ascoltassimo quattro discorsi contemporaneamente, non riusciremmo a capire nulla. Nell'incipit del lieder di Schubert Kennst du das Land, la presenza di una forte ambiguità tonale fa coesistere diverse emozioni in conflitto tra loro la gioia d'amore e la dolorosa nostalgia della protagonista Mignon: si tratta di un brano che richiede un ascolto aperto e disponibile verso incertezza e instabilità. Altro esempio è il Preludio del Tristano e Isotta di Wagner. In genere, nella musica romantica, le ambiguità tonali corrispondono a momenti di transizione narrativa; nel Preludio, invece, l'ambiguità non si risolve mai, conferendo al testo un andamento di estrema instabilità, come se ogni nota – come ogni microparticella fisica – restasse sempre aperta verso ogni potenziale sviluppo senza mai realizzarlo. Quello dell'ambiguità, d'altra parte, ha affermato il neuroscienziato Semir Zeki, è l'approccio cognitivo privilegiato dal nostro cervello nei confronti delle opere d'arte. Nel Preludio – afferma Daniel Baremboin – «la mancanza di una risoluzione finale ci permette di immaginare differenti soluzioni possibili, mentre non ne viene proposta nessuna. (…) Lo studio di Tristano e Isotta ha cambiato la nostra visione delle cose, la nostra cornice teorica di riferimento, il che non riguarda solo la musica, ma la vita stessa».
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