Paolo Matthiae indaga fatti e motivazioni che hanno portato ciclicamente l’umanità ad assalire e distruggere il patrimonio altrui
Marco Carminati
"Il Sole 24 ore - Domenica", 3 gennaio 2016
Nell’osservare il pericolo in cui si trovano oggi i siti archeologici dell’Africa del Nord e del Medio Oriente, molti di noi sono dispiaciuti e sconcertati. Ma c’è chi sta soffrendo enormemente, come ad esempio Paolo Matthiae, uno dei più grandi archeologi italiani, l’uomo che ha scoperto la città e la civiltà di Ebla in Siria, e che in quella nazione ha compiuto dal 1964 al 2010 ben 47 missioni di scavo, ogni anno, a settembre, senza alcuna interruzione. E ora, bloccato in Italia, è costretto a osservare impotente le belve dell’Isis che si accaniscono contro il patrimonio archeologico di quelle amate regioni e soprattutto che uccidono con efferata crudeltà i suoi più cari amici, come il collega Khalid al-Asaad, il conservatore degli scavi di Palmira, che Matthiae definisce con un’unica, potente parola: un giusto.
Il dolore e la costernazione di Paolo Matthiae sono sfociati in un libro che - pur non nascondendo il tumulto interiore che lo ha ispirato - riesce a offrirci un quadro razionale e oggettivo dei motivi che hanno spinto l’umanità, sin dalla notte dei tempi, ad accanirsi contro il patrimonio artistico e monumentale per trasformarlo - nella migliore delle ipotesi – in sublimi rovine, e - nella peggiore - per annientarlo del tutto.
Nell’incipit del libro, Matthiae confessa che «mai avrebbe pensato di affrontare» questo tema se non fosse divenuto di «angosciante attualità» e «di agghiacciante rilievo» dopo i fatti legati al dilagare del fondamentalismo islamico. Anche Matthiae, infatti, era tra quelli che pensavano che dopo l’ecatombe vissuta dall’Europa durante la Seconda Guerra mondiale l’umanità avesse imparato la lezione. Invece si sbagliava, perché l’argomento degli attacchi al patrimonio artistico dell’umanità è tornato drammaticamente all’ordine del giorno.
Allora è diventato urgente per il nostro autore studiare e capire perché si è di nuovo arrivati a tanto, mettendosi ad indagare il tema nel più vasto arco cronologico possibile (dalle civiltà della Mesopotamia ai nostri giorni) e abbracciando la maggior estensione geografica possibile, dalle civiltà mesoamericane alla Cina, passando per l’Europa, il Medio Oriente e l’India.
Da navigato archeologo, Matthiae sa che il primo “nemico” che assedia città e complessi monumentali è il tempo, un agente micidiale capace di annientare metropoli come Babilonia e Ur. Poi, sa che subentrano cause diverse, quali l’abbandono dei siti (e Matthiae elenca e discute tutte le possibili motivazioni), le distruzioni provocate da cause naturali (terremoti, inondazioni, eruzioni vulcaniche, eccetera) e le distruzioni provocate direttamente dall’uomo (guerre, assedi, saccheggi, eccetera).
Dagli schianti provocati da tempo, abbandono, calamità e guerre, alcune realtà urbane sono sopravvissute in forma di rovine inserite in paesaggi sorti spontaneamente attorno a esse. Oggi siamo consapevoli che le rovine inserite nel paesaggio abbiano un fascino e un valore culturale incomparabile, e come tali vadano gelosamente protette e conservate. Ma se si osserva la storia, molti dei nostri antenati sarebbe andati perfettamente a braccetto dell’Isis nel condividere l’odio, il disprezzo e l’indifferenza per le venerande rovine del passato, soprattutto se espressione di civiltà diverse dalla propria.
Per secoli si guardò e meditò (spesso con le lacrime agli occhi), le condizioni di rovina in cui erano cadute Atene o Roma, e si tentò di perpetuarne la grandezza estirpando da esse statue, bassorilievi, marmi e cimeli da riutilizzare come manufatti o come modelli di ispirazione. Ma, ad esempio, davanti alle immani architetture rinvenute dopo la scoperta dell’America gli stessi europei che piangevano sulle ruinae di Roma espressero il più sovrano disprezzo per quelle mirabili antichità (l’archeologia mesoamericana si attivò, di fatto, solo nel Novecento).
Il “disprezzo per gli altri” è stato certamente uno dei motori più potenti per attivare le distruzioni. Ma non lo sono stati da meno l’invidia per il patrimonio altrui, la sete di possesso e la damnatio memoriae di civiltà sgradite. Matthiae svolge questi tre temi in tre possenti capitoli centrali, accompagnando il lettore in un’eccezionale cavalcata nello spazio e nel tempo. Roma depreda la Grecia per impossessarsi del suo patrimonio e della sua cultura, e così faranno le truppe di Napoleone con i paesi europei “liberati” dalle antiche tirannie. Ma c’è chi saccheggia città, siti e tombe per impossessarsi semplicemente della refurtiva. E si fanno gli esempi: dai tombaroli dell’antico Egitto alla conquista di Gerusalemme da parte di Tito, dal sacco di Roma di Alarico a quello di Costantinopoli perpetrato dai Crociati, dall’assalto al patrimonio artistico mesoamericano da parte degli spagnoli agli attualissimi furti d’arte su commissione compiuti durante la guerra del Golfo contro Saddam Hussein. E in mezzo a questi drammatici racconti trovano posto gli inenarrabili guai provocati dalle guerre di religione in Europa ma anche dall’impeto iconoclasta della Rivoluzione francese.
Tuttavia, anche Matthiae deve ammettere che non tutto il male è venuto per nuocere. Da tante “rimozioni” di opere d’arte dai loro contesti originari sarebbero sorti scrigni di civiltà come i grandi musei occidentali, avrebbe preso vita la miglior tradizione degli studi archeologici, e sarebbe sorta la coscienza del valore assoluto delle rovine e dell'eredità del passato.
Davanti all’insorgere di una nuova barbarie, il nostro compito – conclude Matthiae – è di quello di ammonire, ricordare e indicare una via. Per ammonire, l’autore revoca ciò che accadde a Coventry, Amburgo, Dresda, Montecassino e Hiroshima settanta anni fa. Per ricordare, riporta le parole dell’abate Henri Gregoire rivolte ai rivoluzionari francesi: «I barbari distruggono il patrimonio artistico… gli uomini liberi lo conservano». E per indicare la via, evoca una bellissima immagine di “viandanti”: quella dei carovanieri musulmani che, percorrendo la Via della Seta, passavano davanti alle statue colossali dei Buddha e si fermavano ad osservarle pieni di venerazione e ammirazione. Questo per sottolineare che il patrimonio artistico di “ogni” civiltà appartiene davvero a “ogni” uomo. Picasso diceva: «Non giudicare sbagliato ciò che non conosci. Cogli l'occasione per comprendere». E Matthiae ci invita a fare altrettanto.
Paolo Matthiae, Distruzioni, saccheggi e rinascite. Gli attacchi al patrimonio artistico dall’antichità all’Isis, Electa, Milano, 2015
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