lunedì 4 gennaio 2016

I romantici. I pittori che scoprirono il senso dell’infinito


Cesare De Seta

"La Repubblica", 3 gennaio 2016

I fondamenti del Romanticismo sono radicati nell’estetica tedesca: a Jena i fratelli August Wilhelm e Friedrich Schlegel diedero impulso a un vasto movimento. Nel 1798 fondano la rivista Athenaeum, a Dresda s’incontrarono con il poeta Novalis e con il filosofo Friedrich W. Schelling. Gli effetti della compagine romantica furono dirompenti anche nelle arti e gli echi giunsero a Vienna. Un’onda lunga che travolse i modelli classicisti dell’era napoleonica. La mostra Welten der Romantik, a cura di Cornelia Reiter e Klaus A. Schröder, all’Albertina (fino al 21 febbraio) ce ne offre una vasta panoramica: mondi declinati al plurale con oltre 160 opere tra cui figurano i maggiori protagonisti di questa stagione. Molti pezzi sono attinti dalla stessa Albertina che ci accoglie col non gratificante ingresso di Hans Hollein: la mostra è scandita in sezioni, distinte dal verde e blu delle pareti: con alcuni picchi e dando equilibrato rilievo al ritratto, alla pittura di storia e al paesaggio. Quindi si va dal mar Baltico di Caspar David Friedrich alle campagne romane. Intenso il rapporto di fratellanza in Germania e Italia nella tela di Friedrich Overbeck (1828) che simbolicamente raffigura due fanciulle una bruna l’altra bionda; paesi frantumati politicamente e distinti tra un nord protestante e un sud cattolico. La radice cristiana è comune — Overbeck nell’Autoritratto (1809) ci guarda con la Bibbia in mano — ma ciascuno la interpreta a modo suo. Friedrich condusse una vita monacale alla ricerca di paesaggi montani e marini di una natura incontaminata, con poche figure di spalle e crocefissi su cime di montagne: il paesaggio è una simbolizzazione della fede. Gli stessi titoli sono enigmatici: Le tappe della vita (1834) mostra una spiaggia scura con un gruppo in primo piano e al largo, in una rada, cinque velieri immersi in una striscia azzurrina di mare dietro cui si scorge un orizzonte dorato. Rocce e boschi deserti, da cui talvolta emergono sottili sagome di cattedrali gotiche tra alti abeti. Carl Blechen dipinge La costruzione del ponte del diavolo (1830) ed è rilevante la lezione di Friedrich. Questi con Otto Runge ha posto di gran rilievo: ma all’ascetismo pietista del primo, corrisponde la religiosità mite del secondo. Runge ebbe una fitta corrispondenza con Goethe e condivise le ricerche sul colore, ma il suo testo teorico
La sfera del colore è in competizione col poeta. I disegni e le incisioni di piante e fiori sono di una sottile finezza per la qualità del tratto, il sereno mondo di Runge prelude all’intimità di una vita estranea ai conflitti dell’animo: Le epoche del giorno (1803) illustrano fiori da cui sbocciano putti (il mattino), scene di maternità (il giorno, la sera), o visioni celestiali con angeli (la notte) e sono contraltare al sentimento della natura di Friedrich. Dal mondo botanico sono attratti Ferdinand Olivier, Franz Theobald Horny e molti altri.
Di assoluto rilievo le cesure in mostra dei contemporanei Francisco Goya e Johann Heinrich Fussli: essi hanno la funzione di offrirci la faccia opposta della temperie romantica. Il pittore aragonese con incisioni tratte dai Disastri della guerra fino al Sogno della ragione genera mostri: immagini strazianti e feroci. Di Goya sgomenta Il colosso, dove la figura giganteggia e scompiglia una carovana terrorizzata. Della tela (116 x 105 cm) del Prado è stata posta in dubbio l’autografia: ma chi che sia il pittore resta un’opera di possente impatto. Di Fussli basta Il Silenzio (1799-1801): una tela dove una figura accovacciata ha il capo reclinato in avanti, incassato tra le ginocchia e le braccia abbandonate. Il corpo e la lunga capigliatura è bianca e spicca sul buio del fondo: il pittore tedesco così perlustra il mistero.
Si diceva della doppia anima del Romanticismo germanico: all’Accademia di Vienna nel 1806 si forma la “Confraternita di San Luca” che si oppone al classicismo accademico e resuscita il mondo medievale e il cristianesimo delle origini: ne sono capofila Franz Pforr e Overbeck che si trasferiscono a Roma nel 1809. Portano capelli lunghi e di qui il nome di Nazareni. I loro ideali di vita sono una religiosa frugalità, studiano il mondo antico e l’arte medievale d’Italia. Vivono nel convento abbandonato di Sant’Isidoro al Pincio. Ad essi si aggiungono Peter Cornelius, Friedrich Shadow, Julius Veit Hans Schnorr von Carolsfeld ed altri. La pittura di storia ha un suo suggello con
L’entrata di Rodolfo d’Asburgo a Basilea (1808-10) e Franz Pforr mostra quale dimestichezza abbia con i grandi cicli affrescati toscani e con quale perizia sappia reinterpretarli. I miti medievali vengono evocati da Carl Philipp Fhor. Friedrich Schinkel, futuro grande costruttore di Berlino, è affascinato dal mondo medievale e dipinge luoghi immaginari con Cattedrale gotica sul mare (1815), mentre i Nazareni perlustrano i dintorni di Roma: a Olevano scoprono la vita campestre e la bellezza muliebre a mo’ di Raffaello, o dipingono temi tratti dal Vecchio e Nuovo Testamento.
La morte di Cecilia (1820) di Johann E. Scheffer von Leonhardshoff, è omaggio al Sanzio. Dunque questi mondi romantici sono molto frastagliati e vanno dal severo pietismo di Friedrich tra montagne, marine e boschi alla rivisitazione del mito asburgico di Fohr, all’arcadia romana.

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