lunedì 4 gennaio 2016

Ritratto di una nazione


Per una mostra in corso a Londra lo storico inglese Simon Schama 
ha curato la galleria di personaggi che fecero grande la Gran Bretagna 
Da Elisabetta I a Winston Churchill qui ne commenta alcuni

Anna Lombardi

"La Repubblica", 3 gennaio 2016

SEMBRA L’INCIPIT di un romanzo ma la storia è tutta vera. E che storia: la biografia di una nazione, il ritratto — o in questo caso l’autoritratto — di un intero popolo. “Ogni mattina, per tutti gli anni 30 del 1700, Jonathan Richardson si levò presto e alla luce del giorno nascente, o a quella di una candela o di una lampada, inseguì sul suo stesso volto le tracce del progresso, o del ripiego, della sua condizione morale…”. Avete mai letto una rappresentazione più plastica del significato di un ritratto? Ecco: Simon Schama, cioè lo studioso britannico che giocando sul suo nome ha sempre rivendicato lo “shameless eclecticism”, l’eclettismo senza scrupoli della ricerca storica, di questi ritratti ne ha sfogliati e commentati a decine per inseguire — lui stesso — il progresso e il ripiego, appunto, di un intero popolo: il suo. È così che è nata una curiosa storia d’Inghilterra attraverso i ritratti, quelli conservati nella collezione della National Portrait Gallery. Un’operazione monumentale, che sotto il titolo The Face of Britain — Il volto d’Inghilterra — è declinata con l’eclettismo, anche mediatico, di Schama. Perché non si tratta solo della grande mostra alla Gallery, ma anche di una serie tv in cinque puntate sulla Bbc, oltre che di un enorme libro-catalogo edito da Penguin. Nell’era dei selfie, Schama propone un faccia a faccia con il passato perché — scrive — «i ritratti sono sempre stati realizzati con un occhio alla posterità».
Per visitare la mostra, divisa com’è in cinque sezioni — Potere, Fama, Amore, allo Specchio e Gente comune, ci vuole tempo. Qui Schama ci mostra lo schiavo senegalese Ayuba Suleiman Diallo, il primo africano ad avere un ritratto da “pari”. E ci racconta di quando il fotografo Yousuf Karsh, nel 1941, strappò il sigaro di mano a Winston Churchill: provocandogli quel ghigno ringhioso che lo trasformò nell’icona della lotta al nazismo. Perché il potere, si sa, ha sempre provato ad avere controllo sulla sua immagine: ma solo le immagini meno consuete hanno fatto la storia. Come il ritratto di Margaret Thatcher “rubato” da Helmut Newton: la lady di ferro voleva sorridere a tutti i costi, il maestro la fotografò fino a sfinirla — per ottenere quell’immagine a bocca stretta, così veritiera, che lei detestò sempre.
E come ritrarre invece l’amore? Dopo l’improvvisa morte della moglie Venetia, nel 1633 Sir Kenelm Digby chiamò l’amico pittore Anthony Van Dyck per immortalarla come fosse addormentata: un’abitudine tramandatasi fino a inizio Novecento, quando gli album venivano riempiti di putti cadavere, abbigliati a festa e fintamente dormienti, affinché restassero nel cuore della famiglia. Perché spesso, rincara Schama, il ritratto altro non è che la storia di un’ossessione. Come nei dagherrotipi di Lewis Carroll scattati alla piccola Alice Liddell — la bimba che ispirò il suo Alice nel Paese delle Meraviglie, e che l’autore non avrebbe voluto veder crescere mai. E poi c’è la gente: la gente comune e spesso senza nome. Come le coraggiose coppie miste fotografate negli anni Sessanta da Charlie Phillips a Notting Hill, ma anche i popolani dipinti da William Hogarth a metà Settecento.
«C’è un aspetto della ritrattistica, la storia del suo farsi, la fissità di un certo sguardo raccolto» scrive Schama «che non potrà mai essere ridotta a semplici dati». E che ritrovare oggi, nell’epoca dei selfie e di Snapchat, l’app dove le immagini scompaiono subito dopo essere state viste, forse diventa più importante che mai.

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