Paolo Di Paolo
“La Stampa” , 12 agosto 2013
Quanta energia è necessaria per resistere al peggio? Quanto slancio, quanta passione, quanta imprudenza servono per resistere? Questa è una storia di settant’anni fa, una storia di notti lunghe, elettriche: «La notte è amica della libertà» dice Sophie. Ed è di notte che suo fratello Hans sveglia gli amici, piomba a casa di un libraio per parlare di Kleist o della bozza di un volantino antinazista.
Hans e Sophie Scholl, nel 1943, hanno poco più di vent’anni: dieci anni prima erano entrati a far parte della Gioventù hitleriana, uscendone presto, in conflitto con lo spirito conformista e
oppressivo dell’organizzazione. La loro è una storia di scritte coraggiose – «Abbasso Hitler» a
caratteri cubitali sulla Ludwigstrasse – e di volantini che invadono a migliaia l’Università: «Ogni
individuo è stato chiuso in una prigione spirituale mediante una violenza lenta, ingannatrice e
sistematica… Fate resistenza passiva, resistenza; ovunque vi troviate; impedite che questa atea macchina da guerra continui a funzionare». E ancora – nell’ultimo volantino prima dell’arresto e della condanna a morte – «Studentesse! Studenti! Il popolo tedesco ci guarda! Da noi esso si aspetta, oggi nel 1943, come già accadde nel 1813 con la distruzione del terrore napoleonico, la distruzione del terrore nazionalsocialista mediante la potenza dello spirito».
La vicenda coraggiosa e sfortunata di Hans e Sophie Scholl, del movimento giovanile antinazista della Rosa Bianca - già al centro di un film del 2005 diretto da Marc Rothemund (La Rosa Bianca – Sophie Scholl) - viene rievocata, a settant’anni dalla morte dei due protagonisti, con una mostra fino al 22 agosto alla University of Nevada Las Vegas e più avanti alla Michigan Tech University.
D’altra parte questa è una storia di studenti, della rete appassionata e non violenta costruita giorno per giorno, ora per ora, da un drappello di ragazzi e ragazze convinti di non potere arrendersi al male del nazismo. Ma è tra i libri, nelle discussioni appassionate che tutto questo nasce, alimentato dalle lezioni e dall’esempio di professori come Kurt Huber: «Sarà nostro compito – diceva – proclamare il più chiaramente possibile la verità, nella notte in cui è immersa la Germania».
Dopo avere terminato il servizio di leva, Hans si era iscritto a Medicina a Monaco. Segue i corsi di botanica («la lezione più bella tra quelle con obbligo di frequenza»), studia il greco. «Conoscere è potere» scrive ai genitori e chiede di mandargli, insieme a un giaccone («di sera in camera fa ancora piuttosto freddo»), un’edizione completa delle opere di Nietzsche. Annota di giorno in giorno le spese, cerca di risparmiare il più possibile, l’unico grande desiderio sarebbe avere una lampada da tavolo: «Non è un bene di lusso; gli occhi necessitano di buona luce. Per me la lampada è importante, perché di notte leggo molto. Scoppia la guerra, viene ripetutamente chiamato al fronte; nel ’42 la Studentenkompanie a cui Hans appartiene viene destinata a un servizio in Russia di «tirocinio al fronte». «Scrivetemi tanto!» chiede per lettera alla mamma e alle sorelle: «Le vostre lettere mi rassicurano molto. Poiché l’amore si eleva al quadrato della distanza, provate a immaginare quanto spesso i miei pensieri vadano a tutti voi, soprattutto di sera, quando sulla pianura russa d’improvviso cala la notte, e ci si mette a sedere, al buio. L’autunno ha già colorato di giallo le foglie delle chiome, e le betulle, sì, le betulle, se ne stanno fra gli abeti alti e solenni come fanciulle, e tremano per il freddo». Vive a fondo la nostalgia, l’ansia, la paura, la pietà. Legge Dostoevskij nella penombra, sforzando gli occhi, e scopre di poterlo comprendere appieno solo là, nella grande pianura russa. «Ogni giorno, ogni ora, quasi tutte le persone vivono la stessa cosa; un burrone inaspettato si apre davanti ai loro passi incuranti». Tornato a Monaco, verso la fine del ’42, ritrova gli amici e la vita quasi come l’aveva lasciata, torna a studiare, ad ascoltare Bach, a leggere Verlaine, a discutere di politica e di futuro. L’aria di Monaco lo elettrizza, lo fa restare sveglio fino a notte fonda. Sente che gli studi di medicina cominciano a stargli stretti, se non si legano all’essere anche «un filosofo e un politico». La sorella Sophie, con cui vive in due stanze in affitto al numero 13 della Franz-JosephStrasse, studia biologia e filosofia, si ferma a bere il tè insieme ai professori.
«Sono felice – scrive a un’amica – quando posso assimilare. Anche se sono ancora su un terreno oscillante». Chiede ai genitori di farle avere una bicicletta, sui tram si perdono un sacco di soldi e di tempo. Alle pagine del diario confida i dubbi e le paure; si rivolge direttamente a Dio: «Non posso fare altro che balbettare con Te. Non posso fare altro che tendere verso di Te il mio cuore». Teme i pensieri frivoli e la volontà egoista, di concedere troppo spazio alle proprie sofferenze e poco alle altrui. A volte desidera di non essere altro che un albero, o soltanto la sua corteccia. Ma a riportarla nel vortice del presente è l’impegno nel tenere le fila della “Rosa Bianca” insieme ad Hans e tutti gli altri, Christoph, Alexander, Willi. «Uno spirito forte, un cuore tenero» è il suo motto. Dopo l’atto di volantinaggio del 18 febbraio ’43, Hans e Sophie vengono arrestati dalla Gestapo, con l’accusa di avere incitato al sabotaggio dello sforzo bellico e propagandato idee disfattiste. Saranno ghigliottinati dopo quattro giorni. Pare che Hans, in faccia agli ufficiali colpiti dal suo coraggio, abbia gridato «Viva la libertà!».
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