Pietro Citati
Corriere della Sera, 1 agosto 2013
Charles Baudelaire parlò molto spesso di Infinito, come lo aveva conosciuto attraverso i libri di Rousseau, nelle Fleurs du mal e nei Paradisi artificiali. Il testo più straordinario è il Confiteor dell'artista, il terzo tra i piccoli poemi in prosa dello Spleen de Paris. In apparenza, quella di Baudelaire sembrava un'esaltazione dell'Infinito romantico: «è una grande delizia annegare il proprio sguardo nell'immensità del cielo e della terra»: «solitudine, silenzio, incomparabile castità dell'azzurro»: «una piccola vela freme all'orizzonte», e colla sua piccolezza e col suo isolamento «imita la irrimediabile esistenza» di Baudelaire, solitario ed estraneo a qualsiasi cosa; «melodiosa monotonia dell'onda». Tutte queste cose - cielo azzurro, mare, vela, solitudine, fantasticherie del poeta - pensavano attraverso Baudelaire, e Baudelaire pensava attraverso di loro: ma pensava in modo puramente musicale, senza il peso astratto di un sillogismo, di una deduzione o di un'arguzia.
Baudelaire non conquistò l'infinito per espansione, dilatazione, estasi, grido erotico di ebbrezza, come Rousseau nei suoi libri. Egli penetrava fisicamente ognuno di questi pensieri: li rendeva acuti ed intensi; suscitava in loro un'energia voluttuosa, che creava malessere e sofferenza. I pensieri acquistavano la sostanza di nervi troppo tesi, che producevano delle vibrazioni stridule e dolorose. «Non c'è punta più affilata - insisteva Baudelaire - di quella dell'infinito»: infinito che ferisce, taglia le sensazioni, i sentimenti, le immagini, i pensieri, le anime, i corpi, e fa soffrire atrocemente. Allora la profondità del cielo costernava il poeta, la sua limpidezza lo esasperava, l'insensibilità del mare lo rivoltava, l'immobilità dell'universo lo offendeva. La natura è una incantatrice spietata: una rivale sempre vittoriosa. Leggendo l'apertura del Confiteor dell'artista, avevamo creduto che la natura e il poeta collaborassero, e da questa collaborazione di sensazioni e di desideri nascesse il bello sovrano, silenzioso e incomparabilmente casto. Ci eravamo sbagliati. Tra la natura e l'artista non c'è nessuna collaborazione, nessuna armonia, nessuna quiete. Il loro è un duello terribile: sempre di continuo, davanti ai nostri occhi, l'acume affilato della punta lacera la morbida espansione dell'infinito. L'artista sta per venire sopraffatto dalla natura spietata, e grida di spavento e di terrore. Ma questo grido è la bellezza, che Baudelaire offre ai tempi moderni: questo grido è lo studio, che egli trae dalla sua esistenza irrimediabile. La dolcezza morbida di Rousseau viene dimenticata. L'infinito moderno è la tensione, il duello, il fallimento, la ferita.
Il Confiteor dell’artista
Come sono penetranti – penetranti fino al dolore! – le giornate d’autunno al tramonto! La delizia indefinita di certe sensazioni non esclude affatto l’intensità: e non c’è punta più acuminata di quella dell’infinito.
Gran delizia sprofondare il proprio sguardo nell’immensità del cielo e del mare! Solitudine, silenzio, incomparabile castità dell’azzurro! Una minuscola vela che rabbrividisce all’orizzonte, e con la sua piccolezza e il suo isolamento imita la mia esistenza irrimediabile, melodia monotona dell’onda: tutte queste cose pensano in me, o io penso in loro (perché nella grandezza del fantasticare il me si perde presto!). E pensano, come ho detto, ma musicalmente e pittorescamente, senza arguzie, né sillogismi, né deduzioni.
E tuttavia questi pensieri, sia che provengano da me o si sprigionino dalle cose, diventano ben presto troppo intensi. Nella voluttà l’energia crea un malessere, una vera e propria sofferenza. I miei nervi troppo tesi non danno che vibrazioni stridule e dolorose.
E ora la profondità del cielo mi costerna, la sua limpidezza mi esaspera. L’insensibilità del mare, l’immobilità di questo spettacolo, mi ripugna… Si deve eternamente soffrire, o fuggire eternamente il bello? O Natura, incantatrice spietata, rivale invincibile, lasciami! Smetti di tentare i miei desideri e il mio orgoglio! Lo studio della bellezza è un duello in cui l’artista grida di sgomento, prima di essere vinto.
Charles Baudelaire, Le Spleen de Paris
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