Gli anni romani della femme fatale che portò l’Egitto nell’Urbe
E influenzò il potere e i costumi
Lauretta Colonnelli
"Corriere della Sera", 13 ottobre 2013
Il ritratto di Cleopatra, che accoglie il visitatore all’ingresso della mostra dedicata all’ultima regina d’Egitto, presenta un bel volto ovale dai tratti regolari, l’incarnato fresco, gli occhi allungati, le labbra piene, i capelli acconciati in file geometriche di boccoli. Scolpito da un artista greco in marmo pentelico, probabilmente tra il II e il I secolo a. C., e ritrovato nel 1887 nei pressi della chiesa dei Santi Pietro e Marcellino sulla via Labicana a Roma, ha una somiglianza con la regina tolemaica, ma potrebbe essere anche la raffigurazione della dea Iside.
Per avere maggiore certezza della fisionomia di Cleopatra bisogna arrivare al cuore della mostra, dove è esposta un’altra testa in marmo bianco, considerata come la prima identificazione di una delle più famose femme fatale dell’antichità. Proveniente dai Musei Vaticani, la scultura costituisce uno dei due ritratti più sicuri della regina, entrambi riaffiorati da scavi laziali. L’altro ritratto si trova a Berlino e non è arrivato per questa esposizione, che presenta centottanta opere concesse soprattutto da musei italiani, dai Capitolini all’Egizio di Torino e all’Archeologico di Napoli ma che si avvale anche di prestiti anche dal Louvre di Parigi e dal British Museum di Londra.
Alcuni studiosi ipotizzano che la testa dei Vaticani appartenesse alla statua fatta realizzare da Cesare nel 46 a. C., quando Cleopatra era ospite nella sua villa trasteverina. Secondo Dione Cassio, la statua fu collocata con grande scandalo dei romani nel tempio di Venere Genitrice, accanto a quella della dea. La regina ha il volto pieno, gli occhi grandi, la bocca piccola con il labbro superiore sottile e quello inferiore carnoso, che le regalano un’espressione risoluta e lievemente imbronciata. Manca purtroppo l’elemento fisiognomico più caratterizzante: quel naso la cui punta volgeva fatalmente verso il basso e che rendeva la sua bellezza «non del tutto incomparabile», come ci ricorda Plutarco. Ma che non riuscì ad intaccare il suo «fascino irresistibile». Un naso, quello, che si può osservare in tutta la sua antiestetica lunghezza, accentuata dal profilo, nelle monete coniate durante i vent’anni del suo regno, dal 51 al 30 a. C., quando la sconfitta di Antonio ad Anzio la indusse al suicidio e il vincitore Ottaviano Augusto diede il via alla sua «damnatio memoriae».
La mostra racconta anche l’ascesa e il declino della regina, indaga i suoi anni romani e l’influenza esercitata sui costumi e sulla religione dell’Urbe, con gli dei egizi che irruppero nel Pantheon capitolino e le matrone che la vollero imitare indossando vesti raffinate e monili realizzati dagli artisti alessandrini arrivati al suo seguito. Tra i pezzi di oreficeria spicca il bracciale a corpo di serpente ritrovato tra i beni di una matrona di Pompei. Da altre domus della città vesuviana e da ville romane arrivano pitture, mosaici e sculture ispirate al magico regno egizio. In una sezione sono riuniti i protagonisti che a fianco di Cleopatra determinarono gli avvenimenti dell’epoca, ridisegnando la storia e la geografia del Mediterraneo: Pompeo e Cesare, Antonio e Ottaviano, il figlio Cesarione avuto dal dittatore romano e i gemelli Alessandro Helios e Cleopatra Selene avuti da Antonio.
In un’altra sfilano i sovrani che fecero grande l’Egitto, da Alessandro Magno (del quale si può vedere la «Testa idealizzata», proveniente dal Louvre e detta anche di Alexandre Guimet dal nome del collezionista che l’acquistò al Cairo) ai volti dei suoi successori, i re tolemaici che regnarono su Alessandria per trecento anni. Ma la parte più suggestiva del percorso è forse quella che descrive l’ambiente fluviale del Nilo, con affreschi e finissimi mosaici popolati di ippopotami e coccodrilli, rane e anatre selvatiche che si muovono tra fiori di loto, cespugli di papiro e pesci di ogni genere.
Sulle sponde del fiume giocano i bagnanti e in lontananza si delinea il profilo della città. In una statua del I secolo a.C. proveniente da Londra un acrobata fa evoluzioni sul dorso di un coccodrillo.
Farinelli: «Arrivando qui Mosè inventò nuove leggi»
«Così dal Nilo nacque lo stato-nazione»
Roberta Scorranese
«Quell’immagine di Cleopatra che si presenta a Cesare “srotolandosi” insieme a un tappeto nel quale si era nascosta. Ecco, comincia qui l’avventura moderna dell’Egitto: la regina si slega dal suo mondo e si consegna alla romanità, aprendosi a leggi e consuetudini completamente diverse».
Con la solita, affascinante capacità visionaria, Franco Farinelli, presidente dell’Associazione geografi italiani (nonché ordinario di geografia all’università di Bologna), lega a doppio filo la vita della leggendaria regina al destino del suo Paese. «Un Paese che, sin dagli inizi, è stato un laboratorio culturale e politico strategico tra Oriente e Occidente — continua — e che, come giustamente ha scritto Erodoto, è un dono del Nilo».
Il Nilo, appunto: l’arteria di quel mondo sospeso tra altissima cultura e cataclismi estremi, quella cerniera d’acqua che con i suoi oltre seimila chilometri se la gioca con il Rio delle Amazzoni e che buca l’Africa fino a morire proprio in Egitto, Paese per il quale è stato (ed è) fonte di vita. «Con le inondazioni — spiega Farinelli —: come tutti sanno, tra luglio e ottobre il Nilo ricopriva le zone circostanti di fango. Il limo che fertilizza la terra, donando sostentamento. Ma non tutti sanno che è da questa veemenza fluviale che nacque la geometria. Dopo ogni inondazione, il Faraone inviava dei tecnici che misuravano di nuovo i confini dei terreni, per stabilire un equo programma fiscale. Quindi, dal fiume scaturì una parte importantissima della scienza, anche moderna». Si pensi solo al concetto di «misura», fondamentale nelle ricerche filosofiche e sociologiche.
In quel misterioso trattato noto come Corpus hermeticum (oggi si pensa risalga all’anno Mille) c’è un passo in cui Asclepio definisce il Nilo «una copia del cielo». E Farinelli nota: «Indubbiamente a questo fiume sono stati attribuiti molti significati cosmologici». Plutarco, nel suo De Iside , scrive che Osiride è il Nilo che si unisce con Iside, ossia la terra, per renderla feconda. Una divinità, appunto, ed è così che gli egiziani vedono il «loro» fiume.
«C’è un altro aspetto socio-politico da ricordare: Mosè. Mosè e il suo distacco dalla cosmogonia delle civiltà millenarie come gli Assiri o i Babilonesi. Lui intraprende un viaggio con il suo popolo, propone un dio non più “locale”, bensì che si sposta insieme alla sua gente. Opera una frattura con il passato e si potrebbe così dire, parlando per metafore, che lo Stato-Nazione come lo conosciamo nasce qui». Dalla legge locale a una legge nazionale, dunque, con la coscienza di appartenere a uno Stato. E l’apertura a nuovi mondi, come nella scena di Cleopatra che esce da un tappeto srotolato davanti a Roma.
Ma quando è cominciata la decadenza del Nilo quale divinità gloriosa per diventare quello che è oggi, un grande fiume con molti aspetti turistici? «Per metafora, con la costruzione della diga di Assuan — dice Farinelli —: la diga è nata come protezione per la popolazione circostante, in quanto le inondazioni del Nilo erano imprevedibili e potenzialmente mortali. Però, al tempo stesso, è stato come imbrigliare una potenza che per millenni non si è lasciata prendere e ha dettato legge. E c’è il lato simbolico: nei pressi di Assuan il fiume si gonfiava in modo archetipico, simulando un ritorno alla vita».
Il Nilo, dunque, oggi è un vestigio di quello che fu. Le feluche che lo attraversano dolcemente parlano di un mondo fatto di vacanze e tensioni politiche, letteratura gialla, film d’avventura in voga negli anni Sessanta. Di una mitologia ben diversa. «Per l’economia — conclude il geografo — il Nilo è tuttora essenziale. Credo però che il ricordo di quell’antico dio che fu e la leggenda della regina Cleopatra, vivano ancora».
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