sabato 5 gennaio 2013

L’overdose tecnologica che ci cambia il cervello



"La Repubblica",  5 gennaio 2013

OGGI la differenza culturale sopravvive nelle prese elettriche delle diverse zone del mondo, che ci costringono a munirci di curiosi adattatori prima di partire. Una volta superato questo ostacolo e ricaricato il nostro computer o tablet o telefonino, ci troviamo di fronte al più grande standard che mai l’umanità abbia conosciuto, ossia il web, l’anti-Babele per eccellenza.
PRIMA di preoccuparci della minaccia di un pensiero unico dovremmo considerare che con la standardizzazione del web abbiamo a che fare con una delle più grandi realizzazioni dell’umanità, in cui convergono due aspetti.
Il primo è che il pensiero ha al proprio interno un principio di universalizzazione, visto che l’uomo è un animale sociale, anche se non necessariamente socievole.
Dopotutto non è un caso se “idiota” indica originariamente chi vive per conto suo. Il secondo è che, tra tutti i sistemi di universalizzazione, il più potente è proprio quello che ci viene dalla tecnica. E che la tecnica delle tecniche, quella che non per caso trionfa nel web, è la scrittura, che intrattiene un legame particolarissimo con il pensiero, a cui fornisce non solo sostanza ma forma.
Quando si dice che un pensiero è “lineare” gli si fa un complimento, quando si dice che è “tortuoso” lo si critica. Bene, la “linearità” allude proprio al modo in cui si organizza la scrittura. In Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola (un libro di 30 anni fa, tradotto dal Mulino) Walter J. Ong ha mostrato che la scrittura rende il pensiero più astratto, più analitico, meno ridondante. E Rousseau diceva che prima dell’invenzione della scrittura il tempo passava ma l’umanità restava bambina. Senza scrittura, banalmente, non ci sarebbe scienza, e ogni generazione dovrebbe più o meno inventare le stesse cose.
Ci sono dei rischi? Indubbiamente sì. Ma sono gli stessi che si paventano a ogni svolta tecnologica. Se davvero la tv avesse avuto gli effetti nefasti che gli attribuivano gli educatori degli anni ‘60 (a partire dalla minaccia di un immane analfabetismo di ritorno), il fatto che qualcuno in questo momento stia leggendo questo giornale avrebbe del miracoloso. E buona parte delle accuse che vengono rivolte alle tecnologie informatiche, dal depotenziamento della memoria alla perdita dell’interiorità, sono identiche alle accuse che il faraone Thamus rivolge contro la scrittura nel Fedro di Platone. Ce l’abbiamo fatta allora, ce la faremo anche adesso.

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