Hawking, la beautiful mind
“Vi racconto il mio universo”
Il più famoso scienziato del nostro tempo ha da poco finito di scrivere
la sua autobiografia e apre le porte di studio e casa all’amico e collega
Ecco il racconto di un incontro molto speciale
José Edelstein
"La Repubblica", 6 ottobre 2013
STEPHEN Hawking soffre di una malattia neurodegenerativa che ha immobilizzato il suo corpo quasi interamente. Comunica grazie a un computer: «Il futuro dell’umanità e della vita sulla Terra è molto incerto. Rischiamo di distruggerci a causa della nostra avidità e della nostra stupidità ».
I corridoi delle moderne pagode che formano il Centro di scienze matematiche dell’Università di Cambridge invitano allo stupore. Una struttura di anelli intrecciati, al piano terra, contribuisce ad aumentare il disorientamento. Al primo piano spicca una porta nella coreografia confusa da un’infinità di uffici tutti uguali. Vi si notano ancora quattro piccoli fori nei quali, fino a poco tempo fa, altrettante viti sostenevano una discreta targa dorata con diciassette caratteri neri: “Lucasian Professor”. La stessa targa era stata avvitata nel 1669 presso lo studio di un giovane professore di appena ventisei anni che rispondeva al nome di Isaac Newton. Da allora, essere titolare della cattedra lucasiana è diventato un lustro superlativo, leggendario, condiviso con giganti della storia della scienza come Paul Dirac, o come colui che mi aspetta dall’altra parte della porta dell’ufficio B1.07. Stephen Hawking.
Se un incontro con Hawking è un evento che si attende con ansia, questo lo è stato doppiamente dopo che è fallito il primo tenta-tivo. In principio avevamo fissato l’appuntamento a casa sua, ma all’ultimo momento era sorto un problema e si era dovuto annullare. Così mi sono armato di pazienza, ho scelto una nuova bottiglia di vino (la porto sempre con me quando vado a trovarlo) e ho rinunciato all’ambiente accogliente e sobrio di casa sua per quello del suo ufficio, moderno e luminoso. L’ultima volta che mi aveva invitato a cena a casa lo avevo trovato intento a rilassarsi davanti alla libreria in legno su cui i libri convivono con decine di disegni che gli mandano i bambini di tutto il mondo. Stava ascoltava Wagner: «Nessuno, né prima né dopo, è riuscito a trasmettere delle emozioni con la musica come lui».
Stephen Hawking soffre di una malattia neurodegenerativa che ha immobilizzato il suo corpo quasi interamente. Nonostante questa grave disabilità, i cui primi sintomi apparvero quando compì ventuno anni, è stato in grado di sviluppare una carriera scientifica che lo colloca tra i più grandi fisici della seconda metà del XX secolo. I più importanti aspetti teorici di cui siamo a conoscenza circa l’origine del tempo e i buchi neri, la cui attrazione gravitazionale è così forte che nemmeno la luce può sfuggire loro, sono stati opera sua.
A causa della sua difficoltà a comunicare, di solito i giornalisti che vogliono intervistarlo devono inviargli le domande con un mese di anticipo. Lui ne sceglie alcune, prepara le risposte e poi di fronte all’intervistatore si stabilisce una conversazione fluente, ma programmata. Il mio incontro con Hawking ha il valore aggiunto e la difficoltà che comporta il fatto eccezionale di poter parlare con lui senza un copione, non essendo io un giornalista bensì un fisico teorico.
Quando entro nel suo studio lo trovo alla scrivania. Il più famoso scienziato del nostro tempo porta occhiali dalle lenti molto scure. Jonathan Wood, l’assistente tecnico che custodisce con grande cura il suo sistema di comunicazione, spiega: «Ne ha bisogno per poter usare il sistema quando c’è molta luce». Hawking comunica grazie a un computer inserito nella sua sedia a rotelle e a un programma speciale con il quale compone le frasi che un sintetizzatore trasforma poi in una voce metallica dall’accento americano. Non ne vuole sapere di migliorare la qualità del sintetizzatore, né di cambiare accento. «Questa è la mia voce», sostiene con logica schiacciante.
Lo conobbi a Santiago del Cile nel 1997. Come succede a tutti quelli che lo vedono per la prima volta, rimasi impressionato dalla dignità e dalla forza di volontà con cui portava avanti la sua vita. «Voglio fare le cose nel miglior modo possibile. Ovviamente, a causa della mia disabilità, ho bisogno di assistenza, ma ho sempre cercato di superare i limiti della mia condizione e di vivere il più possibile una vita piena. Sono più felice ora che prima della mia infermità». Il suo rapporto con la disabilità è cambiato in modo significativo nel corso degli anni. Per molto tempo è stato contrario a farsi identificare con essa. Poi, con atteggiamento di sfida, si può dire che le ha voltato le spalle e ha scelto di ignorarla. «Non ho mai voluto compatirmi». Lo incontrai di nuovo in Cile, a dieci anni da quella prima volta, navigando sui fiumi di Valdivia, un viaggio che poi lui proseguì fino all’Isola di Pasqua. E poi al faro di Finisterre: «Sono felice di aver raggiunto la fine del mondo» mi disse. Con il passare degli anni, e con la crescente dipendenza da badanti e infermiere e la consapevolezza della sua posizione privilegiata, è diventata una voce di riferimento nella lotta per l’inserimento delle persone disabili. Ha accettato con orgoglio di partecipare all’inaugurazione delle Paraolimpiadi di Londra. «Il loro grande successo ha dimostrato che gli atleti disabili sono come qualsiasi altro atleta e dovrebbero aiutare a far sì che le persone disabili siano accettate dalla società. Penso che la scienza debba fare tutto il possibile per prevenire o curare le disabilità. Nessuno vuole essere disabile, se può evitarlo. Spero che il mio esempio incoraggi e dia speranza ad altri che si trovano in situazioni simili perché non si arrendano mai».
Fino all’inizio dell’ultimo decennio Hawking era in grado di muovere le dita della mano destra con un’agilità sufficiente per usare un mouse. Con la perdita della mobilità si è dovuto ricorrere al riconoscimento facciale. Un sensore che sporge dai suoi occhiali, come una minuscola lampada flessibile, registra i movimenti della sua guancia. Il nuovo sistema dipende da una singola azione e gli impedisce di navigare sullo schermo come faceva prima. La velocità di scrittura è crollata a picco: una parola al minuto. Pur avendo trascorso anche un’intera settimana con lui, a Santiago di Compostela, cinque anni fa, la prospettiva di affrontare un colloquio così pieno di silenzi mi turba sempre. Mi siedo accanto a lui, e lui mi osserva attentamente. Soprattutto quando gli dico che Maria, una bella ragazza che lo aveva avvicinato quando venne in Galizia, e alla quale avevano diagnosticato una malattia simile alla sua, sta molto bene e mi scrive regolarmente ricordandomi di quell’incontro per lei indimenticabile. L’effetto che fa lo sguardo dei suoi occhi chiari quando si posa sui nostri, moltiplicato dall’immobilità del resto del corpo, è fortissimo. In quel momento si è certi che sta comunicando con te. È un breve istante di comunione, di intensa connessione.
Quando venne a Santiago, viaggiando con una compagnia low cost per ricevere il Premio Fonseca per la divulgazione scientifica, assaggiò ogni genere di frutti di mare nonostante la difficoltà che comporta per lui il mangiare, dimostrando anche in questo la caparbia determinazione che tutti gli riconoscono. Mangiò polpo e crostacei a volontà. Gli ricordo ora che in quell’occasione mi confessò, sapendo che sono argentino, la sua passione per la carne (che ho potuto condividere a cena a casa sua) e per il tango. Ora aggiunge anche quella «per il Papa. Sono membro della Pontificia Accademia delle Scienze e spero di vederlo alla prossima riunione». E non so se sorprendermi più del fatto che abbia presente la nazionalità del nuovo pontefice o che un agnostico come lui faccia questo tipo di commento.
Si è scritto già molto sulla sua vita ed era ora che lo facesse lui stesso. Qualche settimana fa ha presentato My Brief History, le sue memorie (in arrivo per Mondadori nella versione italiana, ndr), e poco dopo è comparso al Festival del cinema di
Cambridge per la prima diHawking, un biopic alla cui sceneggiatura ha collaborato lui stesso. Già trent’anni fa si propose di scrivere un libro, ma quella volta fu per spiegare la fisica di frontiera al grande pubblico. Il processo di scrittura fu lento e reso ancor più difficile da un terribile contrattempo. A metà del 1985, durante una visita al Cern, una polmonite lo ridusse in fin di vita e fu necessaria una tracheotomia per salvarlo. Da allora è rimasto muto. Nonostante questo, nel 1988 uscìUna breve storia del tempo, libro che ha catapultato la divulgazione scientifica nella categoria dei bestseller.
Anche se Hawking ha contribuito, insieme a Roger Penrose, a trasformare l’ipotesi del Big Bang in una teoria scientifica, i suoi contributi piùspecifici hanno a che fare con i buchi neri. Già costretto su una sedia a rotelle, scoprì che questi dovevano avere un’entropia, una sorta di disordine interno. I contributi di Hawking hanno dato corpo a queste creature che, nell’emettere radiazioni, evaporerebbero portando con sé tutto ciò che hanno inghiottito. Nessuna di queste previsioni ha potuto essere verificata: più freddi dello spazio esterno, è impossibile rilevare l’emissione termica dei buchi neri. Questo non significa che non vi siano solide prove della loro esistenza, ma questo è il motivo per cui non ha vinto il Nobel. È stato premiato nel 2006, tuttavia, con un riconoscimento ancor più prestigioso, la medaglia Copley, il più antico premio scientifico. Mentre il Nobel premia ogni anno tra i sei e i nove scienziati, la Copley si concede a una sola persona. L’hanno ottenuta Charles Darwin, Benjamin Franklin, Albert Einstein e Louis Pasteur. E anche Giovanni Plana e Alessandro Volta.
Se la sua connessione con l’universo astratto della fisica teorica è miracolosa, non lo è di meno la sua preoccupazione per questioni sociali che ci si potrebbe immaginare distanti da lui. Hawking è un ferreo sostenitore dell’assistenza sanitaria pubblica e della necessità di investire nella ricerca scientifica. Si definisce ideologicamente un socialista, ma questo non gli ha impedito di esprimere il suo fermo rifiuto rispetto alla guerra in Iraq voluta da Tony Blair. Dice: «Il futuro dell’umanità e della vita sulla Terra è molto incerto. Rischiamo di distruggerci a causa della nostra avidità e della nostra stupidità». La sua sensibilità ideologica traspare anche quando affronta questioni diverse e apparentemente esotiche: «La scoperta di vita intelligente extraterrestre sarebbe la più importante scoperta scientifica della storia, ma sarebbe rischioso tentare di comunicare con civiltà extraterrestri. Se decidessero di farci visita, il risultato potrebbe essere simile a quello che si verificò quando gli europei giunsero in America. Una vicenda che non andò a finire molto bene per i nativi». Ai primi di maggio aveva accettato l’invito a partecipare a una conferenza organizzata sotto l’egida di Shimon Peres, a Gerusalemme, ma un mese e mezzo prima ha scritto agli organizzatori che rinunciava. «Stavo per andare in Israele a condizione di poter tenere una conferenza in Cisgiordania, perché sento che le università palestinesi hanno bisogno di contatti con il mondo esterno. Ma tutti gli accademici palestinesi mi hanno detto che avrei dovuto sostenere il boicottaggio. Mi è dispiaciuto molto non andarci. Se lo avessi fatto, avrei detto che Israele deve parlare con i palestinesi e con Hamas, come ha fatto la Gran Bretagna con l’Ira. Non fai la pace parlando con gli amici, la fai parlando ma con i nemici. Sono felice che ora stiano riprendendo i colloqui. Se questo fosse accaduto prima sarei andato in Israele».
Come spiegavo all’inizio, quando si parla con Hawking è consuetudine sederglisi accanto per poter vedere lo schermo del computer. Nell’angolo in alto a destra, ci sono due piccoli riquadri. In quello superiore ha le lettere dell’alfabeto, in quattro gruppi di sette lettere. In quello inferiore, i numeri e alcuni tasti funzione. Un cursore lampeggia eseguendo una danza perpetua su quei riquadri. Quando il sensore flessibile rileva un movimento della guancia, attiva un clic. Il cursore rimane nel riquadro selezionato e inizia a scorrere le diverse righe. Scelta una riga, si sposta su ogni lettera o segno. Quando comincia a scrivere si apre una finestra, attaccata alle altre, che suggerisce dieci parole. Se sbaglia, deve aspettare che il cursore ricominci la sua danza incessante per dirigerlo verso l’icona del cestino. Spesso la lettura della prima metà di una frase preannuncia la fine della stessa senza possibilità di equivoci. Tuttavia, continua il suo sforzo titanico per portarla a termine. Senza errori di ortografia o segni di punteggiatura mancanti. Forse per una questione di fatica muscolare gli si socchiudono le palpebre, in un movimento involontario che interferisce con il suo sistema di comunicazione e lo induce in errore. Hawking sfrutta la sua gestualità limitata a sottili movimenti, impercettibili a coloro che non vi sono abituati, per comunicare, per assentire o dissentire rapidamente. La rigidità del suo volto scompare in modo esplosivo quando ride. Chi conosce il suo senso dell’umorismo riesce a suscitare la sua risata con insolita facilità. In quei momenti, come quando sostiene lo sguardo, si affaccia in tutta la sua pienezza l’essere umano che giace nelle profondità del suo corpo immobile.
Il suo spirito ludico è straordinario. Nelle sue conferenze non mancano mai momenti divertenti e lui si gode le risate del pubblico prolungando il proprio silenzio. Sembra molto orgoglioso della sua presenza neI Simpson, a giudicare dai pupazzetti che ha nel suo studio. E anche della sua partecipazione aStar Trek e a The Big Bang Theory. Poche settimane fa ha partecipato in videoconferenza alla Comic-Con di San Diego. La sua presenza nella cultura popolare lo ha reso un’icona. Appese alle pareti ci sono le foto di lui con Barack Obama o Steven Spielberg, ma la vista si perde facilmente su una sensuale Marilyn Monroe avvolta in una pelliccia bianca come la neve. Ma è Galileo Galilei a occupare, con Albert Einstein, l’altare personale di Stephen Hawking. «Galileo è stato il primo scienziato moderno, capì l’importanza dell’osservazione, ed Einstein è stato il più grande, ma per nostro sollievo si trovò in diversi vicoli ciechi come la meccanica quantistica e il collasso gravitazionale». Sente che c’è qualche tipo di causalità nel fatto di essere nato esattamente trecento anni dopo l’8 gennaio del 1642, l’ultimo giorno della vita di Galileo.
È facile scordarsi quanti anni abbia. L’uomo che doveva morire prima di compierne venticinque ha festeggiato i suoi settanta lo scorso anno. Circa duecentocinquanta persone ricevettero l’invito per la cena nella splendida sala da pranzo del Trinity College, il più illustre di Cambridge. Ero tra quelli, ma l’unico a cui lo smoking di rigore stesse con la naturalezza del vestito di tutti i giorni era l’attore Daniel Craig. Ci fu anche un grande assente alla cena, e fu lo stesso Hawking. Problemi di salute. Venne invece sua madre Isabel, con la quale ha mantenuto un rapporto molto stretto fino alla sua scomparsa, avvenuta pochi mesi fa, all’età di novantotto anni.
Prima di salutarci ci trasferiamo nella Potter Room, luogo nevralgico del Dipartimento di matematica applicata e fisica teorica, per scattare qualche foto — anche se la presenza di Hawking in questo salone è già stata immortalata in un busto. Un gioco di luci e ombre fanno apparire reale la statua e irreale il vero Hawking. Sembra contento di stare in posa e di rispondere alle frasi di simpatia con la sua risata e il suo sguardo attento. Poi le voci si spengono, gli sguardi si incrociano e i nostri passi tornano a perdersi nello stupore di quel labirinto di corridoi.
Traduzione di Luis E. Moriones
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