domenica 6 ottobre 2013

Il fascino di perdersi senza spiegazioni nelle costellazioni dipinte da Mirò

Joan Miró, Femmes encercleés par par le vol d’un oiseau, 1941,
46x38, tempera su carta. Collezione privata
Melania Mazzucco


"La Repubblica",
 6 ottobre 2013



Il cielo brulicante di stelle è la consolazione dei solitari e dei vagabondi. Le costellazioni indicano la direzione a quelli che brancolano nell’oscurità. Le Costellazioni di Miró sono una serie di 23 tempere: un ciclo di opere dello stesso formato, che rimano fra loro combinando gli stessi elementi come note musicali, e infatti paragonate alle Variazioni Goldberg. Miró dipinse la prima il 21 gennaio del 1940, nella casa che aveva preso in affitto a Varengeville sur Mer, in Normandia. Dagli anni ’20 aveva trovato un equilibrio fra le sue due patrie: quella d’origine e quella che si era scelto. Come Persefone, fluttuava tra il sole e la notte: l’estate in Catalogna, l’inverno a Parigi. Dal 1937, però, era un esule, e aveva perso i mesi di luce. La guerra lo braccava, anche se aveva partecipato a quella civile spagnola solo da pittore: esponendo l’enorme El Segador — il contadino in rivolta — nel padiglione della Repubblica all’Expo di Parigi del 1937, insieme a Guernica di Picasso. Nel 1939, la guerra — mondiale ormai — lo aveva raggiunto. A Varengeville Miró trascorse mesi di solitudine e sgomento, ascoltando musica, leggendo poesie e osservando gli acquitrini, le nuvole, il silenzio. Le stelle lenivano l’orrore, gli restituivano la bellezza dell’universo e il passato che temeva perso per sempre. Da bambino, a Mont-roig, il padre, orefice, orologiaio e astronomo dilettante, gli aveva insegnato a decifrare il firmamento col telescopio.
Riprese i pennelli. Frappose fra sé e la guerra l’infinito del cielo dipinto. Scelse come supporto la carta (raschiandola, sfregandola e torturandola), e come medium l’acqua e il fuoco (colori ad acqua e benzina). Poi, astraendosi da tutto, come in sogno, iniziò a cartografare le sue costellazioni su fogli di 46 cm x 38 (più o meno due volte un A4). Intitolò la prima Le lever du soleil. Con pazienza e cura maniacale del contrappunto di forme e colori, ne realizzò dieci. Alcune erano rade di segni, come il cielo pallido nella notte di plenilunio; altre fittissime, come nel cielo buio di luna nuova. Nel maggio del 1940 i nazisti bombardarono la Normandia, e Miró salì sull’ultimo treno per Parigi — da cui gli abitanti fuggivano, in attesa della catastrofe. Stretto fra Hitler e Franco, scelse la geografia degli affetti. Si rifugiò a Palma di Maiorca, isola-madre (lì era nato il nonno materno). Nascosto per timore di ritorsioni dei falangisti, anonimo, oppresso dalla sensazione che non ci fosse un futuro. «Mi dicevo» ha raccontato dopo «vecchio mio, sei fregato. Ti sdraierai sulla spiaggia e disegnerai sulla sabbia con un bastone. Oppure farai dei disegni col fumo di una sigaretta. Non potrai fare nient’altro». Ma gli restava la libertà di dipingere. In agosto riprese le Costellazioni. Femmes encerlées par le vol d’un oiseau, la diciannovesima, è del 26 aprile 1941.
Miró — considerato il rappresentante più giocoso di una pittura automatica e onirica che attinge all’inconscio — si nutriva di tutto e tutto inseriva nella sua creazione. Non attribuiva alle opere d’arte un ruolo gerarchicamente superiore a quello degli oggetti, fosse pure il laccio di una scarpa. Trovava le aringhe affumicate arrotolate in una scatola di metallo belle come un rosone di Chartres. Era questa democrazia combinatoria delle cose il suo “surrealismo”. Ma non lasciava nulla al caso. Minuzioso come un artigiano, sperimentava tecniche, materie. Dal 1931 dava sempre un titolo (in francese) alle sue composizioni, e ne annotava scrupolosamente la data (giorno, mese, anno). Dunque considerava importanti l’uno e l’altra. Per questo non separo le Costellazioni dalla Storia che le assedia, né dalla narrativa che lui voleva evocare coi titoli: sognava opere che abbagliassero come una donna e rapissero l’immaginazione come una poesia. «Il titolo è una realtà esatta», diceva: e solo una volta trovato il titolo l’opera diventava reale per lui.
Questo associa le due parole magiche di Miró, la donna (qui al plurale, les femmes) e l’uccello (l’oiseau):già apparsi insieme in svariate pitture, in seguito (specie negli anni ‘60 e ‘70), sarebbero stati onnipresenti, declinandosi in un’infinità di varianti. La donna terrestre, dea madre mediterranea pagana ed eterna, simboleggia la materia; l’uccello aereo, l’artista — il volo, il canto e la libertà. (L’uomo invece non è mai menzionato da Miró, sempre solo ridotto a ‘personaggio’). Nelle opere ‘selvagge’ degli anni ‘30 la donna è ancora riconoscibile — dalle curve, da un triangolo con la punta in alto, vago ricordo di una gonna svasata, dall’on-da doppia dei seni. Ma nelle Costellazioni le forme sono pure, sono diventate pittografie, lettere di un alfabeto misterioso. E a spiegarle si corre il rischio di fare la fine di Éluard, che ammirò “un simbolo solare” e si sentì rispondere da Miró che era invece una patata. Bisogna abbandonarsi alla lirica astratta di questa fantasmagoria in giallo, rosso, verde e nero, quasi un graffito sulla cenere. Immagini scaturite dalla memoria di quadri già dipinti o visione di quelli futuri. Forme zoomorfe e vegetali, linee spezzate. Globi, stelle, pupille, lumaconi, spermatozoi, asterischi, occhi, triangoli e farfalle — come un geroglifico. Che ha la magica leggerezza della calligrafia orientale e degli ideogrammi dei bambini, ma forse riecheggia le incisioni rupestri che Miró aveva ammirato a otto anni al Museo d’Arte Catalana: gli uomini preistorici inventarono l’arte per dialogare con l’invisibile. Deponevano nelle grotte i simulacri degli animali che avrebbero cacciato o che li avrebbero uccisi. Era un rito,una preghiera e uno scongiuro. Chiedevano la fortuna, l’abbondanza, la vita: rappresentandola. Trasmettono lo stesso incantesimo leCostellazioni di Mirò. Trovate da soli l’uccello in volo, in questo scintillio cosmico. Io mi azzardo a identificare la donna nella nera clessidra — forma ricorrente del quadro. Miró ci era arrivato per semplificare visivamente il seno (si veda Une étoile caresse le sein d’une negresse, 1938). Ma l’associazione della donna al tempo è antica.
L’ultima costellazione, il Passage de l’oiseau divin, Miró la dipinse il 12 settembre 1941: nella casa del padre, a Mont-roig, vicino Tarragona. L’esilio era finito, le stelle lo avevano riportato a casa. I 23 acquerelli di questo poema siderale, oggi dispersi in tutto il mondo, formavano invece un’unica scrittura. Privatissima e impersonale, come ogni opera d’arte. La sola che potesse, e può, guidare fuori dal labirinto della guerra e della storia verso l’armonia — e la bellezza.

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