sabato 8 febbraio 2014

Il Memoir di Cardano, star del Cinquecento


Ritorna “Il libro della mia vita”, autobiografia del medico e astrologo


Franco Marcoaldi

“La Repubblica“, 7 febbraio 2014

Un farmaco che la mamma si era procurata per abortire non fece effetto: fu così che io nacqui il 24 settembre 1501». Girolamo Cardano non ha nessuna intenzione di imbellettare la propria vicenda biografica, e a partire da una nascita tanto rocambolesca enumera le sue mille disgrazie e malformazioni con bruschezza e sprezzatura: lo tirano fuori dal ventre materno che sembra morto e per farlo respirare lo tuffano in un bagno di vino caldo; a soli due mesi contrae la peste per la prima volta e un’anomalia ai genitali lo renderà impotente fino ai trentun anni.
Basso di statura, la mano destra con le dita storte, ha gli occhi minuscoli e perennemente semichiusi: a parte gli infiniti guai fisici (palpitazioni cardiache, cronici disturbi di stomaco, ernie intestinali) è un nevrastenico conclamato. E sul dolore ha una sua teoria piuttosto curiosa: essendo il piacere nient’altro che un dolore placato, meglio avere sempre qualche disturbo a portata di mano. Se necessario, procurandoselo in proprio. Come? Mordendosi le labbra, torcendosi le dita, strizzando «l’esile braccino sinistro» sino a lacrimare.
Non si tratta né della prima né della più rilevante bizzarria di un uomo geniale e stravagantissimo, che offre una testarda e minuziosa auto-analisi nel celebre Il libro della mia vita, riuscito ora in un’edizione curata da Serafino Balduzzi per Luni editrice (pagg. 208). Si dice sempre che l’Io entra a pieno titolo sulla scena letteraria della modernità con Michel de Montaigne, ma ci si dimentica questa autobiografia di Cardano, che viene stesa a un anno dalla morte, nel 1575, dunque in leggero anticipo sulla stessa pubblicazione degli Essais.
L’epoca è segnata dai prodigi dell’arte tipografica, dall’uso della bussola, dalla diffusione della polvere da sparo e prima ancora dalle scoperte geografiche: «certo ci si può aspettare che dividere fra noi un bottino di queste dimensioni ci provocherà disastri a non finire: ciascuno farà di testa sua, si butteranno via arte e cultura, si scambierà il certo per l’incerto. Queste cose se le vedranno i posteri; per il momento noi stiamo ancora nel prato fiorito e godiamo».
Cardano è medico, filosofo e matematico e oggi, quando si pensa a lui, il primo pensiero va al giunto cardanico delle automobili, ma la sua gigantesca opera ha spaziato in lungo e in largo, malgrado la fama postuma non sia pari allo straordinario talento. Questa autobiografia, considerata dall’autore come “ombelico” del proprio lavoro, è il modo migliore offerto al lettore comune per tornare a riaccostare la sua strabordante personalità. Il godimento è assicurato: l’acume incrocia di continuo un ingenuo candore, l’acribia dialettica sfocia sovente nella magia. Senza contare l’ininterrotto fuoco d’artificio immaginativo cui assistiamo: la passione per il gioco dei dadi lo spingerà ad azzardare l’abbozzo di una teoria sul calcolo della probabilità, quella per l’astrologia a disegnare l’oroscopo di Gesù Cristo, con conseguenti, gravissimi guai con Santa Romana Chiesa (ivi compreso il carcere).
Nell’Europa del Cinquecento, Cardano è una star: gli uomini potenti si contendono i suoi servigi. Eppure il tragitto biografico resta accidentato, doloroso (per dirne una, il figlio Giovanni Battista verrà condannato a morte gettandolo in uno stato di assoluta prostrazione), né per certo lo aiuta il suo pessimo carattere: iroso, attaccabrighe,paranoico. Il Nostro ripete a ogni pie’ sospinto di voler rifuggire dagli onori e dal potere, l’unico suo cruccio è rimanere nella memoria dei posteri. Per questo lavora come un matto, sorretto da doni naturali che enumera con precisione certosina. Si va dalla stregonesca capacità di predire gli eventi alla forza di carattere nel sostenere le peggiori avversità. Ma il dono più importante è quello che lui chiama «il lampo di luce nella mente», «una fusione di ragionamento esperto e di folgorazione intuitiva: l’uno radicato nel mestiere e l’altro vagante in totale libertà». Cardano non ha dubbi: questo modo di procedere rappresenta «la vetta suprema della natura umana», qualcosa che rasenta la perfezione divina. Solo così si può infondere l’opera di vera gioia, solidità, leggerezza. Però ci vuole tempo, molto tempo prima che questo dono affiori nella mente: i pochi che ne sono toccati, lo riconoscono solo in vecchiaia.
Antesignano del pensiero libertino, Cardano – come ha scritto Alfonso Ingegno, uno dei suoi massimi studiosi – individua nella longevità e nella tranquillità d’animo le precondizioni di quel misticismo sapienziale, benefico per le sorti dell’umanità, a cui figure eccezionali come la sua sono destinate.

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