L’Egitto di età romana come l’Italia d’oggi: secondo una storica americana non fu l’incendio a distruggere la più ricca raccolta di libri dell’antichità ma la decisione dell’imperatore Marco Aurelio di sospendere i finanziamenti
Vittorio Sabadin
“La Stampa - TuttoScienze“, 26 febbraio 2014
La Biblioteca di Alessandria, il luogo che custodiva la conoscenza nell’antichità, non ha finito eroicamente i suoi giorni in un incendio come i miti e i film di Hollywood ci hanno fatto credere. È deperita lentamente, quasi in modo meschino, distrutta come una qualunque biblioteca comunale dai tagli dei finanziamenti statali, dall’incompetenza e dall’instabilità politica. A rileggerne la storia, riscritta con argomenti convincenti in un saggio della storica Heather Phillips pubblicato dall’Università del Nebraska, sembra di guardare un ritratto dell’Italia di oggi, che è riuscita a fare in pochi decenni i danni che ad Alessandria hanno però impiegato secoli a produrre.
Realizzata intorno al 280 a.C. sotto il regno di Tolomeo II Filadelfo, figlio del capostipite della dinastia tolemaica ellenistica che governò l’Egitto alla morte di Alessandro Magno, la più famosa biblioteca del mondo rappresentava l’ideale greco della conoscenza universale. Poco tempo dopo l’apertura custodiva già 490.000 rotoli in pergamena e papiro di ogni lingua e cultura, e ospitava in modo permanente 100 studiosi di varie nazionalità, a cui offriva, oltre allo stipendio, anche ospitalità e esenzione fiscale. Erano tra i più eminenti professori dell’epoca, che si avvalevano dell’aiuto di decine di dipendenti statali assunti a tempo pieno per catalogare, tradurre, copiare, riscrivere, acquisire nuovi testi per la Biblioteca e per il vicino tempio delle Muse, il Museo.
L’edificio era aperto al pubblico, ma non tutti potevano accedervi: bisogna dimostrare di possedere una buona conoscenza delle cose e una attitudine a impararne altre prima di esservi ammessi. La Biblioteca non era solo un deposito di volumi ben catalogati. Era un centro di cultura e di diffusione del sapere unico nel mondo antico, che attirava a sé il meglio dell’intelligenza umana. Ma la sua epoca d’oro non durò che un paio di secoli, e i guai cominciarono come di solito cominciano per la cultura, con un cambio di governo e con l’instabilità politica.
Nel 48 a.C., quando Giulio Cesare impose Cleopatra come regina dell’Egitto, la popolazione di Alessandria non approvò la decisione e lo costrinse a bruciare le navi nel porto per evitare che cadessero nelle mani degli egiziani ribelli. L’incendio si propagò a 40.000 rotoli custoditi nei magazzini sul molo, appena arrivati per nave o destinati a essere spediti da qualche parte. È con queste fiamme che è nata la leggenda dell’incendio che ha distrutto la Biblioteca, che in quella occasione non patì invece alcun danno serio. Nemmeno Aureliano, che bruciò nel 270 parte di Alessandria nella sua battaglia contro la regina Zenobia, causò danni rilevanti ai testi. Sicuramente meno dell’imperatore Teodosio I, che nel 391 ordinò di mandare al rogo la «saggezza pagana» e fu in parte accontentato. Nel 639, il generale arabo Amr ibn al-As pose fine, in base alle ricostruzioni finora accreditate, all’opera di demolizione.
«Siamo abituati a pensare a un singolo evento catastrofico – scrive Heather Phillips – ma il declino è stato parallelo a quello della stessa città: è stato graduale, burocratico, per nulla eroico». La storica americana sostiene che un danno significativo venne fatto dall’imperatore Marco Aurelio Antonino (121-180), quello che nella finzione del film Il gladiatore viene ucciso dal figlio Commodo nell’accampamento di Vindobona, l’attuale Vienna. Marco Aurelio ordinò di sospendere i finanziamenti al tempio delle Muse, di bloccare gli stipendi dei docenti e di cacciare gli studiosi stranieri, operando il primo importante taglio alla cultura della storia deciso nei palazzi romani.
Di fronte alla prospettiva di uno stipendio risicato e incerto, e a una situazione politica instabile che vedeva la città al centro di continui scontri e lotte di potere, i migliori ricercatori dell’epoca si sono in seguito tenuti ben lontani da Alessandria, dai suoi libri e dai suoi studenti, determinando il progressivo degrado della Biblioteca.
Sembra strano che un imperatore come Marco Aurelio, il saggio filosofo autore dei Colloqui con se stesso, abbia deciso tagli alla cultura pur se in una provincia del regno. Forse è stato qualche suo zelante funzionario. Forse, in mancanza di controlli e nell’inerzia generale, anche ad Alessandria molti professori avevano ormai il doppio lavoro e alcuni dipendenti statali andavano sul molo a pescare, dopo avere timbrato la pergamena di presenza.
Quando nel 639 le truppe del califfo Omar entrarono nella Biblioteca, ha scritto lo storico Luciano Canfora nel libro La biblioteca scomparsa, negli scaffali c’era solo l’ombra della conoscenza di un tempo: i vecchi preziosi manoscritti erano stati distrutti dall’incuria e dal tempo, e restavano solo atti burocratici, letteratura «sacra» e testi di poco conto. Nessuno parlava più il greco, l’ideale della conoscenza universale era di nuovo svanito. Gli arabi alimentarono con i rotoli e i libri il fuoco dei loro bagni termali. Anche dopo secoli di decadenza, ci vollero sei mesi per bruciarli tutti.
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