Facebook oggi compie dieci anni.
Pensate che abbia arricchito il circolo delle vostre conoscenze? Sono vere amicizie? La socialità obbedisce a regole (e numeri) ben precisi
Luca Pani
''Il Sole 24 ore - Domenica'', 2 febbraio 2014
Buon compleanno Facebook. Era il 4 febbraio di dieci anni fa quando Mark Elliott Zuckerberg lanciava il sito allora noto come thefacebook.com e riservato a poche università scelte degli Stati Uniti: Harvard dapprima, Stanford, Columbia e Yale dopo. La strategia di diffusione inizialmente esclusiva per un prodotto che sarebbe dovuto diventare globale ha ben pagato se oggi quella creatura tecnologica si alimenta di oltre un miliardo e duecento milioni di utenti. Facebook è attualmente la nazione più abitata del pianeta ma il geniale marketing che la sostiene non sarebbe bastato se il suo funzionamento non affondasse radici profondissime nel nostro cervello sociale. La numerosità dei gruppi sociali nei primati – umani compresi – sembra essere governata da alcuni limiti cognitivi intrinseci (numero di cellule e di connessioni) del Sistema Nervoso Centrale e consente di predire quante relazioni interpersonali può facilmente avere un adulto normale prima di non amministrarle più in modo significativo per ottenere un vantaggio evolutivo. L'equazione che mette insieme le dimensioni della nostra neocorteccia con quelle del gruppo sociale che può ragionevolmente gestire è composta, come tutte le equazioni che si rispettino, di pochi numeri. Il primo numero è l'unità. Gli esseri umani evolvono verso immensi agglomerati sociali (l'area metropolitana di Tokyo ha oggi oltre trentasette milioni di abitanti) partendo dalla solitudine ancestrale di una caverna.
Il secondo numero da ricordare è 3,5 che rappresenta, più o meno, il coefficiente fisso e mediano di moltiplicazione dei possibili sei livelli di stratificazione della prossimità umana (indice di Horton-Strahler). Moltiplicando l'individuo per questo coefficiente una prima volta si giunge al nucleo più semplice che è quello familiare: padre, madre e un fratello e/o una sorella. Moltiplicando questo iniziale nucleo familiare per lo stesso coefficiente si ottiene il numero dodici che è la quantità di parenti di primo grado o di rapporti assimilabili che la corteccia prefrontale umana può tenere costruendo facilmente rapporti affettivi molto rilevanti e comunemente definiti d'amore. Moltiplicando ancora il numero ottenuto per la stessa costante si ottiene una cifra di poco superiore a 40 che è la quota di parenti di secondo grado e affini che possono essere definiti un clan o il primo nucleo di una tribù come quelle dei cacciatori-raccoglitori da cui proveniamo. Andando avanti di questo passo si generano altri numeri interessanti che sono rispettivamente 130 che equivale al numero massimo di amici che possiamo gestire in modo efficace nella vita reale e 450 che corrisponde al minimo di abitanti in un villaggio perfettamente funzionante anche per evitare eccessive riproduzioni tra consanguinei e abbattere il rischio di pericolose, sul piano evolutivo, concentrazioni genetiche. Altro numero interessante è 1575, che è il limite superiore di persone che riusciamo a "conoscere", intendendo con questo termine persone di cui siamo in grado esclusivamente di associare in modo corretto faccia e nome.
Dato che gli strati sono inclusivi uno dell'altro questo significa che nell'ultimo siamo contenuti anche noi e la nostra famiglia d'origine e ciò si traduce in centocinquanta "amici" e 1350 "conoscenze". Niente più di questo: decina più, decina meno.
Ora contate i vostri "amici" su Facebook, i followers su Twitter, o i contatti di Skype e chiedetevi onestamente con quanti di loro avete dei rapporti davvero significativi e via via meno importanti e scoprirete che i numeri sopra tornano con straordinaria precisione. E, infatti, i programmi si sono a loro volta evoluti per creare Gruppi e #hashtag che sin dal 2007 nelle Internet Relay Chats sono stati utilizzati proprio per tentare di agglomerare "amici" almeno su alcuni argomenti. Per venire incontro a queste esigenze sono state create comunità molto più esclusive come quelle di path.com oppure asmallworld.com, ma anche in questo caso non riescono a imitare la vera amicizia umana. Se serve ricordarlo la differenza tra un amico e un conoscente non è solo definita dalla profondità della relazione reciproca ma anche da quanto due persone sono disposte a fare una per l'altra e in cambio di cosa. Avere amici è strutturale e funzionale a una normale salute psichica e fisica, aumenta la resistenza del sistema immunitario e la sopravvivenza.
In accordo con queste osservazioni le informazioni sociali attivano delle aree cerebrali che governano il nostro senso del piacere e della ricompensa, inclusa la corteccia anteriore del cingolo, quella orbito-frontale, il nucleo caudato e l'accumbens e sono controllate da neurotrasmettitori e modulatori come – tra gli altri – la serotonina, l'ossitocina e le endorfine che, ad esempio, vengono rilasciate in maniera molto maggiore se eseguiamo uno stesso compito o uno sforzo fisico in compagnia. Forse, anche per questo, è molto più piacevole allenarsi in squadra (o in compagnia), mentre non avere amici è spesso sintomatico del l'inizio o dell'aggravarsi di qualunque disturbo mentale che, in alcuni casi, può essere gravissimo.
A fronte di qualche piccola certezza emergono però molte domande. Quali aspetti della nostra cognitività e del comportamento delimitano esattamente una rete sociale e – se tali limiti esistono – la tecnologia sarà in grado di superarli? Per portarci dove? Il World Wide Web è come un enorme esperimento naturale che valuta se le costrizioni imposte dalle interazioni fisiche reali possano essere sorpassate da quelle virtuali e immagina un possibile futuro nello sviluppo dei prossimi programmi che disegnano le reti sociali che verranno; ma a che prezzo?
Come verranno modificate, se mai lo saranno, la forza e la densità delle stratificazioni umane passando da quelle proprie delle comunità reali a quelle elettroniche? Alcune ricerche suggeriscono che i rapporti di sangue restano solidi e immuni all'assenza fisica sino a diciotto mesi dall'ultimo abbraccio mentre con i semplici conoscenti dopo meno di dieci mesi di silenzio la relazione è già ampiamente deteriorata. Che succederà di queste necessità quando le relazioni saranno nodi che non si sono mai incontrati davvero perché solo parte di una rete virtuale? Le risposte dipendono dal fatto che siate "cyberottimisti" o "cyberpessimisti". Nel primo caso gli effetti di questa espansione sociale, tecnicamente infinita, non può che aumentare le capacità del nostro cervello e le sfumature dei nostri comportamenti portandoci dove non possiamo neppure immaginare; nel secondo caso, nello scenario migliore, il mondo online non ha nessun effetto sulla nostra socialità reale e, anzi, potrebbe persino peggiorarla. Studi sistematici e scientifici sull'amicizia sono appena iniziati ed è forse presto per trarre delle conclusioni ma un primo risultato sembra emergere. Dato che il tempo è una delle poche variabili non comprimibili, investire ore e ore sui social media le sottrae alle relazioni reali soprattutto in famiglia e quindi "corrompe" il primo anello della catena sociale che porta sino alla partecipazione "politica" e alla vita della grande tribù umana. Paradossalmente nel mare delle relazioni e delle informazioni che viaggiano alla velocità della luce raggomitolate intorno alla Terra gli uomini del domani potrebbero ritrovarsi nel buio della caverna da cui eravamo partiti.
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