Ricostruite le vicende dell'esodo verso Roma gestito dai tedeschi delle opere e dei cimeli dell'Abbazia
Un documento inedito rivela che il vero salvatore fu Frido von Senger
Marco Carminati
'Il Sole 24 ore - Domenica'', 23 febbraio 2014
Mentre nelle sale cinematografiche impazza il film Monuments Men di George Clooney (gran successo di pubblico, un po' meno di critica), gli editori italiani cavalcano l'onda mediatica e sfornano libri sulle peripezie delle opere d'arte durante l'ultima guerra mondiale.
Uno dei libri più avvincenti e originali è senz'altro quello scritto da Benedetta Gentile e Francesco Bianchini per la casa editrice Le Lettere di Firenze. Il volume ha un titolo e sottotitolo da feuilleton («I Misteri dell'Abbazia. La verità sul tesoro di Montecassino») che nascondono, in realtà, un rigoroso saggio storico di brillantissima scrittura il quale ribalta addirittura, con nuove prove alla mano, la versione dei fatti fin qui generalmente accettata riguardo al salvataggio delle opere d'arte conservate nell'Abbazia di Montecassino prima dei bombardamenti alleati che la rasero al suolo il 18 febbraio 1944, settant'anni fa esatti.
Secondo una vulgata più o meno consolidata la salvezza dei cimeli e delle opere d'arte conservate nell'Abbazia fu opera di due nazisti "buoni", il tenente colonnello Julius Schlegel e il capitano Maximilian Becker, entrambi appartenenti alla famigerata Divisione Hermann Göring. Sarebbero stati loro a organizzare l'esodo dei tesori conservati nell'Abbazia per portarli al sicuro in Vaticano, poco prima che i "barbari alleati" radessero al suolo il faro della civiltà benedettina.
Le cose andarono veramente così? In verità, da decenni si dubita di questa sommaria versione dei fatti, anche se il tenente colonnello Schlegel è stato ufficialmente celebrato come il "salvatore" dei tesori di Montecassino. Quando morì, nel 1958, tutte le campane dei monasteri benedettini d'Europa suonarono contemporaneamente in suo onore, e Vienna, la sua città natale, gli dedicò un monumento in un parco, una targa sulla casa di residenza e addirittura una via. A Montecassino, invece, gli anziani monaci testimoni diretti degli avvenimenti, pur avvallando la versione ufficiale del salvataggio, si opposero sempre all'affissione sui muri dell'abbazia ricostruita di una targa a ricordo del "salvatore Schlegel".
Ma allora, che cosa accadde veramente attorno al tesoro di Montecassino? E a chi si deve la sua salvezza dalla furia della guerra?
Come già hanno sospettato storici attenti quali Sergio Romano e Carlo Gustavo di Groppello, il merito del salvataggio dei tesori di Montecassino non poteva essere ascritto a Julius Schlegel e a Maxilimian Becker, per il semplice fatto che essi appartenevano alla Divisione Göring, cioè erano alle dirette dipendenze dell'avido e potentissimo Feldmaresciallo, uno dei più famigerati ladri di opere d'arte attivi in quegli anni in Europa. Anche se i due ufficiali trascorsero la vita a mentire sui fatti e cogliere gli allori dei «salvatori dei tesori di Montecassino», sia Schlegel che Becker (che, detto per inciso, fornirono sempre due diverse versioni dei fatti), in realtà evacuarono Montecassino con l'intento sottaciuto di spedire in Germania il meglio dei "capolavori salvati" presso il loro famelico Feldmaresciallo.
Chi sventò questo piano di furto? Un altro tedesco. Fu il comandante del XIV Corpo d'Armata corazzato tedesco in Italia, il barone Frido von Senger und Etterlin. Costui era un signore d'altri tempi, un nobiluomo poliglotta che aveva studiato ad Oxford, che proveniva dalla cavalleria ed avversava i nazisti. Era inoltre cattolicissimo e vestiva le insegne dell'ordine terziario benedettino. Appena giunto in Italia, nell'autunno del 1943, sventò il piano di Göring accorgendosi che le 180 casse di opere prelevate con autocarri a Montecassino da Schlegel e Becker tra l'ottobre e il novembre del 1943 avevano già oltrepassato Roma per essere nascoste in un deposito della Divisione Göring a Spoleto, pronte per venir spedite "al sicuro" a casa del Feldmaresciallo a Carinhall in Germania. Fu dunque Frido von Senger und Etterlin il vero salvatore di Montecassino perché intimò perentoriamente a Schlegel di consegnare a Roma e al Vaticano il tesoro di Montecassino, secondo i piani stabiliti.
Senger ha sempre taciuto sul reale andamento dei fatti. Da nobile e anziano militare, volle forse evitare di gettare altro fango sulle truppe tedesche, tendendo conto che l'esito della vicenda fu comunque positiva e fu forse l'unico punto a favore dei tedeschi in Italia: il fatto di aver oggettivamente svuotato Montecassino per tempo, evitando che tutto andasse distrutto del disastro del bombardamento alleato.
La figlia di Frido von Senger ha consegnato pochi anni fa all'Imperial War Museum di Londra le carte appartenute a suo padre, e in una di esse è contenuta la prova scritta di quanto già si sospettava: che fu il barone von Senger il responsabile del salvataggio del tesoro di Montecassino.
Sottoposto nell'immediato dopoguerra al processo di "denazificazione", von Senger poté contare su numerose testimonianze che confermarono il suo corretto operato durante la guerra. Una di queste testimonianze, rilasciata da Achim Oster (un oppositore del nazismo, la cui famiglia era stata decimata da Hitler), parla senza mezzi termini del ruolo diretto rivestito da von Senger nello sventare la rapina dei tesori di Montecassino, e dell'ordine impartito da lui stesso a Schlegel di consegnare la maggior parte degli oggetti artistici dell'Abbazia ai Musei Vaticani.
Così, in effetti, avvenne. Anzi, Schlegel, vistosi costretto a obbedire a von Senger, volle che – tra il dicembre '43 e il gennaio '44 – le consegne avvenissero platealmente, davanti a fotografi e cineoperatori, in modo da pubblicizzare al massimo il "nobile gesto" sul quale poi l'ufficiale austriaco costruirà la sua fama abusiva di "buon nazista salvatore dell'arte".
In realtà, sappiamo che Schlegel riuscì egualmente a spedire in Germania una quindicina di casse per la gioia del suo comandante-collezionista. Sì, perché il tesoro di Montecassino era in realtà un insieme di molti, mirabolanti tesori. Quando Schlegel bussò alle porte dell'Abbazia nell'ottobre del 1943, il Cenobio non custodiva solo la propria mirabile Biblioteca, il proprio fantastico Archivio con documenti e codici millenari, le reliquie di San Benedetto, le opere d'arte e gli arredi liturgici. Montecassino era diventato un "deposito" (ritenuto sicurissimo fino all'8 settembre 1943) di altri strepitosi "tesori". Come ad esempio, il Tesoro di San Gennaro di Napoli, i principali capolavori della Pinacoteca di Capodimonte, le statue più celebri del Museo Archeologico di Napoli, emerse dagli scavi di Pompei ed Ercolano. Vi erano persino due cassette con i cimeli di Keats e di Shelley.
Quando i tedeschi convinsero l'abate Gregorio Diamare a consegnare loro tutte le opere presenti nell'Abbazia per salvarle dalla possibile distruzione del cenobio riparandole in Vaticano, l'abate e i monaci si fidarono, ma fino a un certo punto. Ad esempio nascosero ai tedeschi la presenza del Tesoro di San Gennaro e delle cassette con i cimeli di Keats e di Shelley. Queste meraviglie vennero portate direttamente dai monaci a Roma, celate tra i loro effetti personali. E fecero bene, perché, come s'è visto, i piani di Schlegel erano diversi, e se non fosse intervenuto pesantemente von Senger, i tesori di Montecassino, già ammassati a Spoleto, avrebbe probabilmente preso in gran parte la via del Brennero.
Sedici casse in realtà giunsero in Germania. Nella sua residenza di Carinhall, Göring fece in tempo ad aprirne alcune e a mangiarsi con gli occhi («quasi turbato», dirà al processo di Norimberga) alcuni capolavori di Capodimonte (come la Danae di Tiziano o la Parabola dei ciechi di Brueghel) e i cervi ercolanensi del Museo Archeologico di Napoli.
Poco dopo, gli eventi militari precipitarono e la Germania nazista tracollò. Le casse provenienti da Montecassino con i tesori dei musei di Napoli, finirono nell'ultimo nascondiglio del Terzo Reich, la miniera di Altausee vicino a Salisburgo. E lì verranno ritrovati, per fortuna intatti, da due mitici Monuments Men: Ernest De Wald e Ward Perkins.
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