Carlo Ossola, Dante, chi riesce a professarlo, "Il Sole 24 Ore", 22 maggio 2011
«Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate». Osserva opportunamente Gian Luigi Beccaria nella sua lezione Mia lingua italiana (appena pubblicata da Einaudi) che Dante non è solo artefice di mondi eterni, ma anche responsabile delle nostre immagini ed espressioni più quotidiane, come se noi ci rifugiassimo nella Commedia per dar linfa ai nostri giudizi: così «il natio loco, le dolenti note, il discendere per li rami, perdere il ben dell'intelletto, senza infamia e senza lode, ma guarda e passa, mi fa tremare le vene e i polsi».
A questi, altri «detti memorabili» potrebbero essere aggiunti, che punteggiano il nostro dire, enfatico o dolente, malinconico o fervido: «Per me si va ne la città dolente», «e caddi come corpo morto cade», «Era già l'ora che volge il disio / ai navicanti e 'ntenerisce il core», «Siena mi fe', disfecemi Maremma», «trattando l'ombre come cosa salda», «L'aiuola che ci fa tanto feroci», «A l'alta fantasia qui mancò possa», e così camminando e con lui il mondo misurando.
La Commedia, è commedia: è il poema più dialogico di tutta la nostra letteratura; sfilano comparse, protagonisti, papi e liutai, parlano dal basso, rasoterra, infitti in ghiaccio e pece, oppure a petto erto d'orgoglio («"Vedi là Farinata che s'è dritto: / da la cintola in su tutto 'l vedrai". / I' avea già il mio viso nel suo fitto; / ed el s'ergea col petto e con la fronte / com'avesse l'inferno in gran dispitto»; Inferno, X, 31-36); o dall'alto, «regalmente ne l'atto ancor proterva», tale Beatrice al suo apparire (Purgatorio, XXX, 70). Come a teatro, ci sono dialoghi e monologhi, duetti serrati, ma anche straordinari "a parte": così Beatrice stessa che, discosta, finge sorridendo un colpo di tosse per metter fine al troppo caldo autoelogio di Dante e Cacciaguida, e della lor famiglia: «onde Beatrice, ch'era un poco scevra, / ridendo parve quella che tossio / al primo fallo scritto di Ginevra» (Paradiso, XVI, 13-15); e pensare che la fonte è niente meno che il Lancelot, ma Dante tutto curva e fa convergere al proprio spazio! Giustamente Sanguineti, Luzi, Giudici, fecero della Commedia un'azione scenica, e Benigni ora la prosegue.Questa familiarità con Dante, più che dai critici ci è stata restituita negli ultimi anni da Roberto Benigni: le sue letture in piazza Santa Croce (2006), la sua recente interpretazione del canto VI del Purgatorio, lo scorso 13 aprile, a Torino al PalaOlimpico, per la «Biennale Democrazia 2011», davanti a novemila giovani attenti e come contratti in un silenzio vivido, hanno fatto di Dante veramente il nostro «maggiore»; severo sì, titanico talvolta, ma anche – nella lettura piana e sofferta di Benigni – un giusto al quale si può affidare il dolore per l'Italia presente, per la corruzione sguaiata che la domina. È bastato che Benigni lasciasse il registro dell'ironia sul "qui e ora", e sùbito un'altra realtà, di passione altrettanto, ma di dignità antica e nuova, si imponeva dalla scena a tutte le gradinate, col gesto, con la voce, con i silenzi e le pause: «Ella non ci dicea alcuna cosa; / ma lasciavane gir, solo sguardando / a guisa di leon quando si posa» (Purgatorio, VI, 64-66).
Dante è teatro, e anche danza, che salta i versi e divide le parole: «Così quelle carole, differente-/ mente danzando, de la sua ricchezza / mi facieno stimar, veloci e lente» (Paradiso, XXIV, 16-18). E la «teodia» del Paradiso, lungi dall'essere squadrato sillogismo, è luce, lume e folgore, abbacinante incendio e cristallo; vorrebbe coreografi-teologi, capaci di star dietro a quelle terzine.
E invece Dante non è qui. Mentre nel mondo anglosassone più che il Rinascimento, è proprio l'autore della Commedia il focus degli studi universitari di italianistica e crescono dipartimenti e riviste, scemano, invece, nelle università italiane le cattedre dedicate a Dante: non solo esse rimangono sparute eccezioni, ma mancano addirittura in sedi che sono state culla degli studi danteschi. Sebbene non sia agevole sapere esattamente quante siano oggi le cattedre di Filologia dantesca, poiché con Dm 4/10/2000, tutto il settore è stato "accorpato" nella categoria Filologia della letteratura italiana che comprende Letteratura medievale, umanistica, rinascimentale e altre discipline filologiche; non è tuttavia difficile constatare che con la scomparsa di studiosi come Francesco Mazzoni, di Guglielmo Gorni e il collocamento a riposo di Anna Maria Chiavacci Leonardi, gli insegnamenti specifici dedicati a Dante si sono contratti. A fronte di questo impoverimento, trovano vivo successo iniziative che partono da benemeriti docenti liceali come le «Settimane di studi danteschi» di Palermo, animate da un decennio da Giuseppe Lo Manto, che hanno riunito negli anni studiosi indimenticati quali Edoardo Sanguineti, e gli «Esperimenti danteschi», una fervida lectura Dantis proposta dai giovani dell'Università statale di Milano. Dante dunque vive – più che nelle aule accademiche – nella diaspora e nel partage delle vie della speranza. È anche questo il suo inesauribile fascino.
Certo va letta come incoraggiante la serie di edizioni e commenti che in Italia (si vedano in questa pagina alcuni dei più significativi apporti recenti) e in Francia sono dedicati al De vulgari eloquentia e alla Vita nova, che completano nei Meridiani il benemerito commento alla Commedia di Anna Maria Chiavacci Leonardi, e in Francia la bella traduzione di Jacqueline Risset (ora riedita con nuova ispirata introduzione). E quando si aggiunga il prezioso repertorio dei commenti on line del Dartmouth Dante Project (Ddp) e delle edizioni Salerno, non si può dire che manchino gli strumenti.
Ma ciò che manca è il professare Dante, nel senso forte del termine, quell'aderire alla sua parola che fa – e questo solo ci fa – professori. Quella sera di aprile, quando Benigni – con una parola che veniva dall'interno e dal sempre – esordì dicendo: «Stasera, per comprendere Dante, dobbiamo credere ciò ch'egli ha creduto» mi sono detto, questo è insegnare, tale è la poesia. In quell'«esser testimone contro il tempo» Dante, nel Novecento, è stato meglio interpretato e compreso dai poeti: Pound e Eliot, e Mandel'štam, poeta di esilio e di riscatto, di dignità e povertà, senz'altra patria che il cielo, in sé chiudendo e pregando «Il mio bel san Giovanni», come lo riscrive Anna Achmatova (1889 - 1966): «Neanche dopo morto è tornato / Nella sua Firenze d'un tempo. / Era partito, lui, senza volgersi indietro, / Per lui canto questo poema. / Fiaccola, notte, ultimo abbraccio, / Il destino selvaggio urla varcata la soglia. / Dal fondo dell'inferno l'ha maledetta, / E nel paradiso non ha potuto scordarla. / Non lo si è visto, a piedi nudi / In camicia, con un cero acceso, / Traversare la sua Firenze desiderata / Infedele essa, e vile, e così a lungo attesa» (Dante, estate 1936). Ecco, è tornato il tempo di Dante: nella notte che incalza, mentre ciò che abbiamo amato è sfigurato e lacerato, a un tratto torna a mente una terzina (neanche un canto o una cantica), e questo basta, come giaculatoria o talismano, e intercessione: «Così la circulata melodia / si sigillava, e tutti li altri lumi / facean sonare il nome di Maria».
Il mio bel San Giovanni.(*)
Dante
Neppure dopo morto ritornò
nella sua vecchia Firenze.
Partendo non si volse indietro,
ed io a lui canto questo canto.
Fiaccole, notte, ultimo abbraccio,
oltre la soglia, selvaggio il grido del destino.
Le scagliò dall’inferno il suo anatema,
non la poté scordare in paradiso.
Ma scalzo, in panni da penitente
e cero acceso, non passò mai
per la sua Firenze agognata,
perfida, vile, attesa così a lungo...
1936
(*) In italiano nel testo
LIBRI CITATI
DANTE, OPERE. RIME, VITA NOVA, DE VULGARI ELOQUENTIA
a cura di C. Giunta, G. Gorni, M. Tavoni, cronologia a cura di V. Pacca, introduzione di M. Santagata
I Meridiani, Mondadori, Milano
pagg. 1.694 | € 65,00
Anna Achmatova, Dante
Dante
Neppure dopo morto ritornò
nella sua vecchia Firenze.
Partendo non si volse indietro,
ed io a lui canto questo canto.
Fiaccole, notte, ultimo abbraccio,
oltre la soglia, selvaggio il grido del destino.
Le scagliò dall’inferno il suo anatema,
non la poté scordare in paradiso.
Ma scalzo, in panni da penitente
e cero acceso, non passò mai
per la sua Firenze agognata,
perfida, vile, attesa così a lungo...
1936
LIBRI CITATI
DANTE, OPERE. RIME, VITA NOVA, DE VULGARI ELOQUENTIA
a cura di C. Giunta, G. Gorni, M. Tavoni, cronologia a cura di V. Pacca, introduzione di M. Santagata
I Meridiani, Mondadori, Milano
pagg. 1.694 | € 65,00
DANTE, DE L'ÉLOQUENCE EN VULGAIRE
traduction et commentaires sous la direction d'Irène Rosier-Catach, traductions de R. Imbach, A. Grondeux, I. Rosier-Catach
Fayard, Paris
pagg. 416 | € 22,50
traduction et commentaires sous la direction d'Irène Rosier-Catach, traductions de R. Imbach, A. Grondeux, I. Rosier-Catach
Fayard, Paris
pagg. 416 | € 22,50
DANTE, LA DIVINE COMÉDIE
traduction, préface et notes par Jacqueline Risset, Flammarion, Paris
pagg. 628 | € 10,00
DANTE, VIE NOUVELLE
par Jean-Charles Vegliante, avec Marina Marietti et Cristiana Tullio Altan
Classiques Garnier, Paris
traduction, préface et notes par Jacqueline Risset, Flammarion, Paris
pagg. 628 | € 10,00
DANTE, VIE NOUVELLE
par Jean-Charles Vegliante, avec Marina Marietti et Cristiana Tullio Altan
Classiques Garnier, Paris
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