«Non mi sono mai divertita tanto a scrivere — dice sorridendo —. Mi alzavo e cominciavo a tradurre. Una pausa per mangiare e poi ancora al tavolo, con il fido dizionario Sansoni. In un lampo erano le tre di notte. E il giorno dopo daccapo. Con gli amici ormai parlavo solo di Dante. Direi che era diventata una gioiosa ossessione, se non proprio una forma di dipendenza». E per forza: come può non divertirsi una poetessa americana che dipinge l’Inferno come la prigione di Alcatraz e la Danimarca di Amleto, che mette in bocca a Virgilio una canzone di Bob Dylan, dà al diavolo Libicocco la faccia di Gheddafi e ha l’ardire di paragonare le Arpie alla famiglia Addams.
Una premiata poetessa di Saint Louis, autrice di sei libri, che insegna scrittura creativa alla Washington University, folgorata «in età matura» (è del 1946) dalla Commedia dell’Alighieri. E dalla voglia di farla leggere di nuovo ai conterranei/contemporanei. Sei anni di lavoro, dal 2006 al 2012, ed ecco l’ultima versione dell’Inferno anglicizzato nella traduzione di Mary Jo Bang con le illustrazioni di Henrik Drescher, alcune piacevolmente fuorvianti: la tavola che introduce il canto XII, per esempio, mostra i dannati che bollono nel Flegetonte, la «riviera di sangue» dove Dante ha immerso i violenti contro il prossimo. Drescher ci mette le figurine di Mao, Stalin, Hitler, il tiranno ugandese Idi Amin... In realtà l’Inferno di Mary Jo non è popolato da «nuovi» peccatori. «Ho scelto di mantenere i personaggi originali, che generazioni di lettori hanno imparato a conoscere. Farinata è una figura universale, il simbolo dell’arroganza. Mi sono chiesta: ha senso sostituirlo, che so, con un presidente della storia americana recente? E chi se lo ricorderà tra qualche anno?».
Mary Jo Bang non sta al gioco delle new entry infernali, del «chi sbatto oggi tra i cattivi». Con un paio di eccezioni (giustificate). I Malebranche, la compagnia di demoni che controllano i fraudolenti nella quinta bolgia dell’ottavo cerchio, sono comicamente «attualizzati» secondo un criterio di assonanza più che di sostanza: così Draghignazzo diventa Dragan Nikolic, comandante di un campo di concentramento durante la guerra di Bosnia, Barbariccia è Barbie, il boia di Lione, al posto di Libicocco ecco il libico e stranito Muhammar Gheddafi mentre «Rubicante pazzo» viene modernizzato in Rummy, il soprannome di Donald Rumsfeld (ministro della guerra di George Bush). «Mi sono concessa questa libertà per il carattere quasi burlesco della situazione, e anche tenendo conto del fatto che inventando e storpiando i nomi dei diavoli di Malebolge molto probabilmente Dante aveva in mente qualcuno dei suoi nemici politici». La seconda eccezione è il goloso Ciacco, canto sesto: «Non essendo chiara l’identificazione con una figura realmente esistita — dice Mary Jo — ho osato una soluzione aggiornata. Chi potrebbe essere per noi americani di oggi Ciacco, il porco? Il nome che si avvicinava di più per sonorità era Jacko, ovvero Michael Jackson, che però era tutto tranne che un ghiottone. Allora mi è venuto in mente Cartman, il personaggio di South Park. Ho chiesto il permesso agli autori. Avete presente Cartman? In qualche puntata lo chiamano anche Little Piggy. Non è perfetto?».
A filologi e dantologi che forse arricciano il naso, Mary Jo Bang chiede perdono. «Voi italiani siete assolutamente autorizzati a considerare Dante una ricchezza da proteggere e preservare contro le possibili adulterazioni di una scrittrice infedele. Io ho cercato di seguire con scrupolo la narrazione dantesca ma ho scritto come se fossi una sorta di cyborg»: anziché uomo-macchina «un organismo testo-persona, un incrocio tra il mondo della Commedia e la mente di una donna che vive e scrive nel presente», con il suo volgare fatto di allitterazioni e metafore, poesie amate e linguaggio talvolta slang. Del poema («uno dei maggiori della storia, se non il più grande») esistono oltre 200 versioni in inglese. Eppure oggi già è difficile far leggere le persone, «figurarsi quando si tratta di poesia e per di più di un’opera scritta nell’Italia del XIV secolo che spesso viene resa in un linguaggio così aulico, così ostico». E allora? Tradurre, tradire, Umberto Eco: la cyborg Bang (prima laurea in sociologia, seconda in fotografia, terza in scrittura creativa) racconta che alla Columbia University rimase colpita da William Weaver («traduttore tra l’altro dei libri di Eco»), che alla prima lezione portò tre versioni del Don Chisciotte: «Sembravano scritte da tre autori diversi». E all’inizio della sua avventura dantesca c’è la lettura di un poesia di Caroline Bergvall, «Via», fatta soltanto di traduzioni della prima terzina dell’Inferno secondo le 47 edizioni depositate alla British Library nel 2000. «Mi sono chiesta: e io come la farei? Ho cominciato "Nel mezzo del cammin di nostra vita" (Stopped mid-motion in the middle / of what we call our life...) e non mi sono più fermata».
Mary Jo nei panni di Dante. «Non potrei mai immaginare cosa vuol dire vivere nell’Italia del ’300, però da poetessa posso provare a immedesimarmi con chi capisce di aver perso la strada». E come Dante «mette nella Commedia i suoi riferimenti culturali, così io ho messo quelli di una donna diventata adulta nell’America degli anni Sessanta». Che ama Dylan e i Rolling Stones, Susan Sontag e T.S. Eliot. L’Inferno raccontato con i versi di Shakespeare e degli Eagles che vengono alla mente spontaneamente: «la terra sconsolata» che Minosse mostra a Dante («non ti inganni l’ampiezza de l’intrare!») appare come l’Hotel California dell’omonimo brano (con il portiere di notte che dice: «Puoi fare il check-out quando vuoi, però non puoi andartene»). I cattivi «a Dio spiacenti e a’ nemici sui» sono coloro che avversano «sia il dottor Jekyll che mister Hyde». La Commedia di Mary Jo è assai poco divina. Il manicheismo tutto umano del romanzo di Stevenson al posto delle Sacre Scritture. Trascendente, come i Beatles. Virgilio annuncia a Dante che incontrerà il suo «dolce raggio» ovvero Beatrice: «Da lei saprai di tua vita il viaggio». Tradotto: «Where the long and winding road is meant to take you». È suggestivo immaginare il cammino del poeta (oltre la «selva oscura») sulla «lunga e tortuosa strada» che dà il titolo all’ultimo singolo di Lennon-McCartney. O Virgilio («una mia amica se lo immagina come il decano degli attori John Gielgud») che nel XVI canto avverte Dante di fare attenzione («Accio che tutta piena esperienza d’esto giron porti») usando le parole canzonatorie di Ballad of a thin man di Bob Dylan: «Così non penserai "qui sta succedendo qualcosa ma non so che cosa", vero mister Jones?».
Citazioni discrete, metafore calibrate. I dannati che battono i denti «in nota di cicogna» ricordano il tatata della mitragliatrice, le «rime aspre e chiocce» del Fiorentino suonano come «death metal» (una variante dell’heavy metal), i bordi dell’inferno «sembrano disegnati da un Frank Lloyd Wright», nel pozzo dei Giganti trovi l’Incredibile Hulk mentre i Centauri che chiedono beffardi a Dante e Virgilio a «qual martiro» siano diretti lo fanno prendendo in prestito You can’t always get what you want degli Stones: siete scesi «a prendervi la vostra razione di brutalità?».
La sua «razione» Mary Jo Bang l’ha avuta nel 2004, quando è morto suo figlio. A lui è dedicata la raccolta Elegy uscita nel 2007. Ti chiedi se sia un caso, aver intrapreso questo viaggio con Dante in un momento simile della vita. «Non è necessario che il lettore lo sappia, però in qualche modo è vero, ci sono cose che ti cambiano per sempre. E un po’ credo di sapere anch’io come ci si sente all’inferno».
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