Enrico Berlinguer
"l’Unità", 8 giugno 2014
Le forze conservatrici hanno visto e vedono nella cultura soltanto uno strumento: nel migliore dei casi, per l’acquisizione del dominio sopra la natura e, nel peggiore, per il mantenimento del privilegio e del dominio dell’uomo sull’uomo. Per le forze progressiste e rivoluzionarie, per noi comunisti, la cultura è un’altra cosa. È risorsa indispensabile per lo sviluppo ed è anche e soprattutto una finalità del vivere sociale degli uomini.
La cultura è per noi leva determinante ed essenziale non per il dominio, ma per la liberazione di ogni singolo individuo e della società nel suo complesso. Quanto più avanza la conoscenza scientifica e quanto più sofisticate si fanno le tecniche tanto più assurdo appare il ruolo marginale assegnato alle forze della cultura e del sapere.
È ormai ovunque necessaria una capacità di previsione e di programmazione e tale capacità vuol dire rapporto continuo tra politica e conoscenza, tra istituzioni democratiche e mondo della cultura e del sapere. Senza una tale razionale capacità di previsione e di programmazione le stesse conquiste della scienza e della tecnica possono rivolgersi contro l’uomo, anziché a suo vantaggio.
Il pensiero ancora oggi dominante è che la natura sia da considerare come una sorta di mezzo di produzione, da sfruttare in modo indiscriminato e quando, soprattutto fra le giovani generazioni, si diffonde un sentimento di ripulsa verso questa concezione si obietta da parte di molti che non si vuole tener conto della preminenza delle necessità economiche; ma è proprio qui l’arretratezza culturale.
Oggi, al contrario, è perfettamente concepibile uno sviluppo che non avvenga facendo irrimediabile violenza alla natura. Oggi le tecnologie offrono straordinarie possibilità tra loro alternative. E se non si sarà capaci di scegliere tra le diverse tecnologie quelle che consentono di rispettare la natura come un valore da salvaguardare con ogni sforzo, saranno alla fine negativi anche i conti economici.
L’ambiente è anch’esso una risorsa e la sua dissipazione è un danno anche economico. Deve essere messa sotto accusa la politica generale, ma anche l’ignoranza e l’incultura che l’hanno generata. Niente può giustificare l’incuria o peggio l’abbandono alla speculazione, al saccheggio, ai furti sistematici del più straordinario patrimonio culturale che esista nel mondo ereditato dalle grandi civiltà che, fatto pressoché unico, si sono succedute in Italia.
In Italia in Italia, viviamo immersi in una ricchezza di testimonianze di epoche diverse, di civiltà che si sono succedute senza uguali, rispetto a tutti gli altri paesi dell’Europa. Questa ricchezza di beni esige tutela e valorizzazione già per il fatto che essa appartiene propriamente non solo a noi italiani, ma a tutta l’umanità. L’Italia ha verso gli uomini tutti, anche verso quelli che verranno dopo di noi, la responsabilità di salvare e conservare documenti che sono indispensabili a fare non appiattite ma alte, fornite di memoria storica, dotate di molti modelli ideali, le civiltà degli uomini di oggi e di domani.
Certamente le regioni e gli enti locali più sensibili possono curare e curano questa ricchezza di valori e di testimonianze, come il comune di questo capoluogo. Ma per quanto siano efficaci gli sforzi e le iniziative loro, essi non possono bastare se manca il complessivo impegno dello Stato. Assurda appare la destinazione nel bilancio statale di somme tanto esigue ai beni culturali, zero venticinque per cento del totale: la cifra si commenta da sola.
In primo luogo i beni culturali costituiscono una risorsa per tutto il nostro popolo, che può svilupparsi a contatto con gli universi del passato e della bellezza, così naturalmente aprendosi al senso della complessiva vicenda umana, al senso critico verso il presente. La cultura di un popolo che utilizza largamente la pagina scritta, il documento, è cultura che si predispone a essere riflessione, consapevolezza scientifica, spirito critico contro le sottoculture che minacciano di diffondersi all’insegna dell’evasione, dell’irrazionale con quanto ne può derivare di smarrimento dell’identità nazionale, sociale, umana.
La nostra critica al bilancio dello Stato è fondata anche su un’altra ragione incontestabile da ogni parte. La nostra ricchezza di beni culturali rappresenta infatti la possibilità di acquisire altra ricchezza. Possiamo essere ben più che un polo del turismo internazionale e di un turismo meno frettoloso e culturalmente più qualificato. Possiamo nei diversi settori dei beni culturali porci all’avanguardia; possiamo essere una capitale internazionale della ricerca nell’architettura, nell’archeologia, nella storiografia, nella storia dell’arte, nella biblioteconomia. Il fatto è che tutta la questione della cultura, dai beni culturali alla scuola, alla ricerca scientifica, indica l’esigenza di una nuova concezione della spesa statale e della sua distribuzione; un’altra concezione, non solo della quantità, ma della qualità dell’intervento pubblico.
Il bisogno di progettualità e di programma asserito fin dall’inizio dal pensiero socialista, si fa oggi stringente e diventa un bisogno assoluto e un programma per l’Italia deve intendere la centralità della questione culturale come grande questione nazionale.
Non si rimane nell’area dello sviluppo senza un balzo in avanti nella ricerca scientifica, senza una più alta tecnologia, senza una più elevata e diffusa cultura. Noi abbiamo proposto misure specifiche in ogni settore della vita e dell’organizzazione della cultura e ci batteremo per esse, ma l’insieme di questo tema ci rimanda inevitabilmente ai problemi dell’orientamento generale della politica del paese.
Mantova, luglio 1983
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