Corrado Augias
"La Repubblica", 6 giugno 2014
Charles Dickens scriveva da Parigi nel 1847: «Da diversi giorni i quotidiani hanno trascurato le questioni politiche, artistiche ed economiche. Ogni argomento impallidisce al cospetto di un incidente assai più importante: la morte romantica di una gloria del demi-monde, la bella e famosa Marie Duplessis». La notizia sembra inverosimile; come può una donna del demi-monde, vale a dire una cortigiana, una prostituta d'alto bordo, attirare su di sé l'attenzione di un'intera città? Nel 1847?
La risposta è che quella giovane donna, era riuscita a fare un mito non solo della sua vita ma, almeno in parte, anche della sua professione. Marie Duplessis era nata con un nome più banale, Alphonsine Plessis, in un povero villaggio della Normandia. Suo padre era un venditore ambulante alcolizzato che non aveva esitato a sfruttare sessualmente la figlia. A 12 anni Alphonsine ha già imparato a guadagnarsi da vivere nel solo modo in cui una quasi analfabeta può farlo; si vende a chi capita, contadini e negozianti fino a quando, consapevole della sua acerba bellezza, non scappa a Parigi.
Nella grande città avviene il miracolo: in capo a pochi anni la piccola prostituta derelitta si trasforma in una dama capace di conversare con apparente competenza con i più brillanti uomini di Francia. La misera Alphonsine diventa Marie; al banale nome Plessis antepone quel "du" che lascia immaginare un'ascendenza nobiliare. Nasce il mito, Alexandre Dumas figlio lo consegnerà alla letteratura con il suo La dame aux camélias ( dove Marie diventa Marguerite Gautier), Giuseppe Verdi ne farà con Traviata uno dei massimi capolavori dell'opera lirica, Marie cambia ancora nome: Violetta Valéry. Al mito di Marie, Marguerite, Violetta daranno poi corpo e voce le più grandi artiste, Sarah Bernhardt ed Eleonora Duse per il teatro; nel cinema Greta Garbo; nella lirica Maria Callas che nel personaggio di Violetta si immedesima totalmente. Leggendaria la sua edizione di Traviata del 1955: regia di Luchino Visconti, direttore Carlo Maria Giulini, Milano teatro alla Scala. Nel terzo atto, morte della protagonista, Callas riusciva a emettere, con intonazione perfetta, il tono flebile di una malata di tisi in agonia.
Di Marie Duplessis, a parte le rappresentazioni sceniche, sapevamo molte cose, non tutte però. Ora la scrittrice inglese Julie Kavanagh ne svela molte altre nel suo La ragazza delle camelie (Einaudi, pagg. 230, traduzione di Fabiano Massimi) per il quale s'è avvalsa di una amplissima documentazione a cominciare dall'introvabile prima biografia scritta da un coetaneo normanno, Romain Vienne, che aveva seguito la prima giovinezza delle donna: La vérité sur la dame aux camélias.
Il ritratto che l'autrice fa della protagonista è sorprendente. Abituati come siamo a una fragile fanciulla percossa dal destino e morta di tisi a 23 anni (!), un archetipo romantico, ci troviamo di fronte al ritratto di una donna «pratica, caparbia, avida e manipolatrice ». Nessun dubbio che la Kavanagh abbia ragione. Anche se Marie doveva possedere un'intelligenza brillante, pronta a cogliere le situazioni, non si conquista una società crudele come quella borghese di metà Ottocento, se non si dispone di armi adeguate. In pochissimi anni la ragazzina che batteva i marciapiedi intorno alla chiesa di Notre-Dame-de-Lorette (le chiamavano per questo le Lorette) riesce ad accumulare un'ingente fortuna. Si dice che per mantenerla ben sette uomini si fossero in qualche modo consorziati, spartendosi evidentemente le sue prestazioni.
Alexandre Dumas figlio ha con lei una relazione di nove mesi, poi si lasciano e il giovane uomo abbandona Parigi. Al rientro viene a sapere che Marie è morta. Spinto probabilmente dalla pietà, o dal rimorso, sicuramente dallo spirito predatore dello scrittore, butta giù in poche settimane il romanzo ispirato alla loro storia. Il mito nacque da quelle pagine. La vicenda ricostruita dalla Kavanagh scava però nella vita di Marie prima che ci fosse il mito: «Le versioni mitizzate si aprono con la cortigiana all'apice del successo, non danno la minima idea di quella che fu la sua traiettoria, di ciò che dovette superare». Da questo punto di vista il libro colma effettivamente una lacuna, la descrizione dell'ascesa sociale di Marie spiega bene a quale prezzo la giovanissima donna riuscì a comprarsi la propria indipendenza «un privilegio di cui generalmente disponevano solo le dame dell'aristocrazia».
I suoi protettori sono conti, duchi, importanti giornalisti, Alexandre Dumas (padre), il celebre dandy Nestor Roqueplan, il potente Louis Vernon, il più grande pianista del tempo Franz Liszt. Uomini esigenti, abituati al comando, che bisognava intrattenere non solo sessualmente, ma anche con una conversazione scanzonata e licenziosa quando era il caso, brillante e informata in altre occasioni, comunque all'altezza delle loro esigenze. In una società in cui quasi non si concepiva una diretta relazione tra il matrimonio e l'amore, dove si riteneva che le caste spose soggiacessero poco meno che nauseate alla «rivoltante animalità dell'atto », le cortigiane rappresentavano l'altra faccia dell'amore: la sregolatezza, il capriccio, lo sfrenamento, l'eccesso.
Quando arrivò la fine, ci si rese conto che Marie aveva sperperato quasi per intero la sua fortuna. Il poco che rimaneva finì all'asta per risarcire in parte i numerosi creditori. Il romanzo che Dumas figlio trasse dalla storia con Marie vendette abbastanza bene. Il vero, travolgente successo arrivò però con la successiva versione teatrale anche per lo scandalo che suscitò. Il direttore del Louvre, Horace de Viel-Castel, disse che durante lo spettacolo «vengono squadernati davanti agli occhi della società civile i sordidi dettagli della vita di una prostituta». Il pubblico ne fu incantato. Verdi, che si trovava a Parigi in compagnia della sua Giuseppina, assistette a una delle repliche. Tempo un anno, la Traviata andava in scena alla Fenice di Venezia su libretto di Francesco Maria Piave. Quando Marcel Proust la vide commentò: «È un'opera che va dritta al mio cuore. Verdi ha dato alla Signora delle camelie lo stile che le mancava». Non è un complimento di maniera, la vicenda di Alphonsine-Marie- Marguerite-Violetta ha davvero bisogno della musica per essere interamente rivissuta e compresa. Giuseppe Verdi seppe dargliela.
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