Chiara Pasetti,
“Il Sole 24 ore”, 25 maggio 2014
La città di Rouen è una meta ideale per chi vuole scoprire alcuni itinerari insoliti ricchi di storia, arte e cultura. Qui ogni strada del centro storico parla dei personaggi celebri che l'hanno abitata o vi hanno lasciato le tracce: Flaubert e Maupassant, certamente, ma anche Corneille, Sartre e Simone de Beauvoir, Monet, e prima di loro Giovanna D'Arco, arsa viva nella piazza principale il 30 maggio 1431. Dopo aver ammirato la splendida cattedrale gotica che domina la città, costruita nel XII secolo, la cui guglia di ferro alta centocinquantuno metri era nel 1877 la più alta costruzione del mondo, si può visitare il Musée des Beaux-Arts, che vanta una collezione tra le più prestigiose della nazione, soprattutto di opere dei pittori impressionisti per le quali è il secondo museo più importante dopo quello d'Orsay di Parigi.
Il museo, fino al 31 agosto, ospita una grande mostra dal titolo «Cathédrales, 1789-1914: Un Mythe moderne», a cura di Sylvain Amic e Ségolène Le Men, che si propone di esplorare, alla luce del legame franco-tedesco, un tema affascinante e inedito: il ruolo della cattedrale nell'immaginario artistico e nel dibattito nazionale, da Goethe e Victor Hugo fino alla Prima guerra mondiale.
Riunendo due città, Rouen e Colonia, entrambe caratterizzate dalla presenza di una cattedrale gotica di fama mondiale, l'esposizione presenta circa duecentocinquanta opere (dipinti, oggetti d'arte, schizzi, disegni), realizzate in un arco temporale di ampio respiro, e fra i più fertili dal punto di vista culturale e artistico. La cattedrale gotica, che incarna per eccellenza l'architettura monumentale del Medioevo, ha conosciuto nel XIX secolo una riscoperta inattesa, diventando un emblema dell'identità nazionale; ciò che le opere presenti in mostra svelano è inoltre quanto sia stata, nel corso dell'Ottocento, un'inesauribile e complessa fonte di ispirazione non soltanto a livello pittorico, ma anche musicale, letterario, poetico, teatrale. Scegliendo la celebre serie di Monet, realizzata nell'ultimo ventennio del secolo, consacrata alla cattedrale di Rouen dipinta in differenti ore del giorno, come momento chiave di un processo di riappropriazione, da parte della Francia e della Germania, del monumento in quanto simbolo nazionale, la mostra si divide in varie sezioni, che seguono un ordine cronologico. Molti quadri di inizio Ottocento sono dedicati alle cattedrali di Reims, luogo dell'incoronamento dei re di Francia e dunque simbolo dell'alleanza tra potere spirituale e potere temporale, e di Notre-Dame di Parigi. Se dall'altra parte del Reno è Goethe, nel Faust, il primo a contribuire alla nascita del mito della cattedrale (in mostra, opere di Friedrich, Carus e Schinkel illustrano mirabilmente la fusione tra arte, spiritualità e natura, che sconfina talvolta in un sentimento quasi mistico), in Inghilterra Constable e Turner si dedicano al gusto dei "voyages illustrés" dipingendo le cattedrali di Salisbury o di Rouen, in Francia è sicuramente Notre-Dame de Paris di Victor Hugo l'opera romantica che, a partire dal titolo, ha contribuito maggiormente alla rinascita dell'arte gotica.
Il testo di Hugo, che ha ispirato molti artisti presenti in mostra, e ha conosciuto all'epoca anche numerose edizioni illustrate, aveva addirittura fatto partire una campagna di restauro della chiesa, altrimenti destinata all'abbandono e alla distruzione. Negli stessi anni i pittori paesaggisti, tra cui spicca Corot, integravano l'immagine statica della cattedrale, con le sue guglie svettanti nel cielo, all'interno delle loro rappresentazioni di paesaggi urbani o rurali. Interessante che Monet si dedichi alla serie della Cattedrale di Rouen nello stesso momento in cui dipingeva «degli interni di stazioni»: la "cattedrale della modernità", la stazione, salutata con entusiasmo da Zola (che in Le Rêve, tuttavia, ambienta alcuni passaggi nella cattedrale di Beaumont e risveglia un sentimento di fede popolare), messa a confronto con il monumento del passato e della memoria storica nazionale. Splendida la sezione dedicata ai simbolisti, con i dipinti di Redon che colorano vetrate e rosoni di sogno, e gli schizzi di Rodin per la Porte de l'enfer (iniziata nel 1880 circa), rimasta incompiuta.
Sicuramente nella celebre opera era confluito il ricordo dei portali delle cattedrali di Reims e di Parigi, dove Rodin si recava a meditare riferendo «un sincero amore» per questi monumenti, analizzati anche in un libro poco noto, Les Cathédrales de France, uscito postumo. Nelle convulsioni dei dannati di Dante scolpiti da Rodin si coglie tutta l'inquietudine del genio e l'impossibilità dell'uomo di fine secolo di assumere l'equilibrio e la serenità delle porte del rinascimento italiano di Ghiberti, cui pure si era inizialmente ispirato, e nella scultura (in mostra) intitolata proprio «La Cathédrale», due mani quasi in preghiera, si può scorgere non solo il devoto, ma anche l'artista à l'oeuvre, il costruttore, l'architetto-demiurgo, che in notti febbrili realizza la sua opera per volontà e ispirazione divina.
Sempre in quei controversi anni di fine Ottocento lo scrittore simbolista Huysmans, dopo un romanzo come À rebours, e dopo essersi appassionato alla magia e al satanismo, consapevole, come scrisse D'Aurevilly, che gli restava «o la canna della pistola o i piedi della croce», sceglierà la seconda alternativa, e a seguito della conversione nel 1898 scriverà La Cathédrale, storia della Cattedrale di Chartres. Tra le avanguardie moderne, in mostra il ciclo di Saint-Séverin di Delaunay, le cattedrali cubiste di Dumont, e altre opere del Novecento che testimoniano quanto questo soggetto, sia come simbolo dell'identità nazionale e del patrimonio artistico sia come emblema di un passato che rivaleggia faticosamente col nuovo (la Tour Eiffel, soprattutto), resti molto presente nell'immaginario e nella produzione artistica. Chiude la mostra la sezione dedicata al tema della cattedrale "en guerre": fotografie, cartoline, letteratura di propaganda accompagnata da locandine, incentrate soprattutto sul bombardamento della cattedrale di Reims all'inizio della Prima guerra mondiale (19 settembre 1914), emblema della barbarie della guerra. Sono molti gli artisti di questo periodo che scelgono di raccontare i loro monumenti religiosi, sia tedeschi che francesi, devastati e in rovina, e tra le due guerre gli espressionisti tedeschi e il Bauhaus, nella loro visione spigolosa e dinamica della città, accordano ancora molto spazio alle cattedrali (in mostra, tra gli altri, Feininger). In una sala più piccola del Musée des Beaux-Arts si è appena conclusa l'esposizione «Dans l'Atelier d'Emma: Madame Bovary illustré par Albert Fourié», dedicata ai disegni preparatori di Albert Fourié per le due edizioni (una del 1885, l'altra del 1906-1907) di Madame Bovary di Flaubert. Curiosa e intrigante la concomitanza dei due eventi. Flaubert scelse di scrivere il meraviglioso e perturbante La leggenda di San Giuliano Ospitaliere dopo aver a lungo ammirato le vetrate della cattedrale di Rouen che riproducevano la storia del santo, prestò alla sua Salomé in Erodiade la posa che figura nel bassorilievo del portale sinistro della facciata, e sono moltissime le pagine della corrispondenza in cui fa riferimento alla cattedrale, sia in senso reale che metaforico.
Tuttavia, tra tutti gli autori presenti o evocati in mostra, è anche colui che, pur scrivendo nel cuore dell'Ottocento, mostra la maggiore ironia e derisione rispetto alla cattedrale come simbolo religioso, al punto di situare il primo incontro amoroso di Emma e Léon, carico di situazioni grottesche, «alle undici, alla cattedrale». I due amanti cercano in tutti i modi di evitare le spiegazioni di un inopportuno custode sulle «bellezze della cattedrale» (che non riescono a risultare tali neanche per il lettore, trascinato in una vera e propria fuga dall'edificio religioso, troppo grande e luminoso), per rinchiudersi nello stretto e buio abitacolo di una carrozza «più ermetica di una tomba», dove consumeranno il loro amplesso. Il loro amore, «raggelato come le pietre da ormai quasi due ore nella chiesa», rischiava di dissolversi «come uno sbuffo di fumo» all'interno di quel «tubo tronco», ossia la guglia di ferro, non ancora completata dopo l'incendio di inizio secolo che ne aveva distrutto l'originale, e che a Flaubert pareva più che una superba «flèche» gotica, «la trovata stravagante di un estroso calderaio». Ma del resto, scriveva Flaubert, «si misura un'anima dalla dimensione del desiderio che contiene, così come si giudica una cattedrale dall'altezza del suo campanile». E non della sua guglia, specie se di ferro.
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