Aneddoti, amori ed errori di Philip Roth
nell’ultima biografia dello scrittore preso a modello anche da Obama
Carlo Antonio Biscotto
“Il Fatto“, 5 gennaio 2014
È in libreria in Gran Bretagna la nuova, documentatissima biografia di Philip Roth a cura di Claudia Roth Pierpont: Roth Unbound: a Writer and his Books. Il grande scrittore americano, a qualche mese dall’annunciato ritiro (“scrivere non mi interessa più”) e a non molti giorni dall’ennesimo smacco subito a opera della commissione per l’assegnazione del Nobel per la Letteratura, viene messo a nudo da Claudia Roth Pierpont che ne rivela aspetti noti e meno noti abbozzando un ritratto estremamente umano e a tratti divertente dell’autore di Pastorale americana e di innumerevoli altri capolavori. Philip Roth non è affatto l’intellettuale distaccato, burbero, dall’aria perennemente corrucciata che siamo abituati a vedere nelle foto e nelle abbastanza rare interviste. Spesso delizia gli amici imitando Marlon Brando nel ruolo di Marco Antonio quando nel film Giulio Cesare di Mankiewicz arringa la folla: “Amici, romani, concittadini, io vengo a seppellire Cesare non a lodarlo”. Ed è capace, rivela Claudia Roth Pierpont, di andare avanti sino alla fine anche quando cammina per la strada. Ma il suo interesse per il cinema non finisce qui: “Rivedo Il Padrino almeno una volta l’anno e ogni volta mi sembra diverso e profondo”, racconta Philip Roth alla sua biografa.
Rileggendo i suoi libri non ne salva nessuno: “Mi fanno urlare di rabbia”
Una delle parti più interessanti della biografia è quella che l’autrice dedica al rapporto critico tra Roth e i suoi libri. Si può dire che non ne salva nemmeno uno. Nessuno, a distanza di tempo, gli appare immune da pecche. “Certo è più facile vedere gli errori nei libri scritti molto tempo fa che in quelli più recenti. I miei primi libri le rare volte che li rileggo mi fanno urlare di rabbia e raccapriccio. L’ultimo capitolo de Il lamento di Portnoy, ad esempio, è pieno di errori”. Di Goodbye, Columbus e cinque racconti quasi non vuole parlare. “Di quel libro salvo solo il personaggio di Brenda Patimkin. È giovane, determinata, allegra, audace. Proprio come era la ragazza che me la ispirò”, spiega con un sorriso malinconico.
Di tanto in tanto nel corso delle sue conversazioni con la biografa, Philip recita a memoria alcuni passi del Grande Gatsby, ma non nasconde le sue riserve sul libro: Troppo melodico per i miei gusti. Hemingway era uno scrittore molto più potente”. Un capitolo a parte va alla cerimonia di consegna dalle mani del presidente Obama della National Humanities Medal nel marzo del 2011, un riconoscimento probabilmente più gradito del Nobel per uno scrittore che non ha mai nascosto le sue simpatie per il Partito democratico e per tutte le cause progressiste. In uno degli incontri, Philip Roth mostra a Claudia Roth un video della cerimonia. Nel video i premiati (tra i quali, oltre a Roth, Joyce Carol Oates e Sonny Rollins) sono in attesa nella Sala Verde della Casa Bianca e Obama, venendo meno al protocollo, fa irruzione nella stanza (“non vedevo l’ora di vederli”, spiegherà dopo il presidente). Il primo che vede è proprio Roth; il presidente sorride ed esclama “Philip Roth!!”. E Roth replica sulla stessa identica lunghezza d’onda esclamando sorpreso e divertito: “il presidente Obama!!”.
“Quanto ci ha insegnato Portnoy e i suoi lamenti” disse il presidente
Nel discorso ufficiale, il presidente Obama dice: “Quanti giovani hanno imparato a pensare leggendo le prodezze di Portnoy e i suoi lamenti? ”, e la sala scoppia in una fragorosa risata. Al momento della consegna dei premi, Philip Roth scruta la platea come a fissare quel momento nella sua memoria. Il presidente Obama gli bisbiglia qualche parola confidenziale all’orecchio e Roth sorride piegando il capo per consentire al presidente di mettergli il nastro con la medaglia intorno al collo.
La biografia ricorda e ripercorre i recenti problemi di salute, l’intervento chirurgico alla schiena nella primavera del 2012 e, successivamente, la sua apparentemente improvvisa decisione di mettere definitivamente la penna nel cassetto. Quei mesi di sofferenze e inattività sono stati l’occasione per ripensare alla propria vita, specialmente alla vita sentimentale. E quando Claudia Roth gli chiede se è vero, come sostiene Nathan Zuckerman, che deve molto a Maggie, la prima moglie, senza la quale forse non sarebbe diventato uno scrittore, Roth non si fa pregare: “Tutte invenzioni di Nathan Zuckerman. Non le debbo un cazzo!”. Poi aggiunge: “È entrata nella mia vita, l’ha cambiata per sempre e se ne è portata via una parte”.
Queste dichiarazioni irose su Maggie risalgono al periodo dell’operazione quando soffriva di forti dolori. Qualche tempo dopo riconosce che Zuckerman aveva ragione, almeno in parte. E proprio in quel periodo incontra Ann Mudge, che era la sua ragazza negli anni 60. Non la vedeva da oltre 40 anni. “Il nostro incontro, dopo 40, poteva descriverlo la penna di un solo scrittore: Proust. Non certo la mia”. Ann ha 6 mesi più di Philip ed è felicemente sposata da moltissimo tempo. “È una anziana signora, piuttosto piccola e con i capelli bianchi. Se l’avessi incontrata per strada non l’avrei riconosciuta. Ma quando si è seduta e ha cominciato a parlare, i ricordi sono riemersi dal profondo. Se c’è una cosa che con gli anni non cambia è l’espressione del viso”.
Quel periodo giovanile della sua vita lo ricorda con un misto di tristezza e rimpianto: “grazie a Dio non scrivo più! Maggie mi ha tolto 12 anni di vita. Avevo 23 anni e ci lasciammo quando ne avevo 35. Se non avessi sposato Maggie, avrei sposato un’altra ragazza, probabilmente Ann. Avremmo fatto un figlio e avremmo finito per divorziare. Come tanti, in fondo. Di sicuro la mia vita sarebbe stata diversa”.
Si mise a scrivere un libro a quattro mani con una bambina di 8 anni
A un certo punto della sua vita, Roth tenta persino di scrivere un libro a quattro mani con la figlia di 8 anni di una sua ex ragazza. “Non mi piace fare il nonno, ma quella bambina era straordinariamente dotata. Un giorno scrivevo una frase io, il giorno dopo lei e così via”.
In quel periodo Philip quando si alza al mattino corre a controllare la posta per vedere cosa le ha scritto. La faccenda va avanti per un bel pezzo ed è una esperienza stupenda: “forse il rapporto meraviglioso che ho avuto con quella bambina lo debbo anche al femminismo che ha segnato gli anni della mia formazione”, commenta.
Nella biografia, Philip Roth si dilunga sulle gioie dell’ozio, di quella sensazione di non avere doveri che lo avvolge come una coperta di Linus da quando ha deciso di non scrivere più. “Telefono e scrivo agli amici, faccio un po’ di esercizio fisico, leggo libri di politica e biografie. Non è vero che non leggo romanzi. Rileggo gli autori che sono stati importanti per me come uomo e come scrittore: Conrad, Turgenev, Faulkner, Hemingway. Non mi stanco mai di rileggere Delitto e Castigo. Ricordate quando Dunya, la sorella di Raskolnikov, va a trovare Svidrigailov nel suo appartamento? È un momento memorabile della letteratura. Lui è un uomo sinistro dal fascino diabolico. La stringe in un angolo della stanza e proprio mentre sta per violentarla, Dunya tira fuori una pistola dalla borsetta e a questo punto dice una delle frasi memorabili della storia della letteratura: ‘Questo cambia tutto! ’”, e Roth ride di gusto ripetendo la frase.
A un certo punto del libro, Philip Roth ricorda la ragazzina irlandese per la quale aveva preso una cotta a 12 anni. “Una domenica andai a trovare un mio cuginetto che si chiamava Philip come me. Era estate e ci divertimmo talmente tanto che i miei genitori mi permisero di rimanere qualche giorno a casa di mio cugino. Quella ragazzina irlandese mi fece girare la testa. Avevo una cotta tremenda e non facevo che cantarle ‘è il tuo cuore irlandese che voglio’”. Sorride e canta il refrain con smaliziata voce da crooner .
Ma le vecchie abitudini sono dure a morire. La sua stanza è piena di pagine scritte. Non sono pagine di narrativa, ma appunti, considerazioni, riflessioni, lettere. Una sua lettera indirizzata a Wikipedia per correggere alcune affermazioni errate su La macchia umana, ripresa dal sito web di The New Yorker ha sollevato reazioni furibonde. Di quelle reazioni non si cura. In fondo ora che non si considera più uno scrittore può scrivere quello che vuole per il semplice gusto di farlo.
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