Revelli, quando il potere seduce e rende amorali
Maurizio Viroli, "ll Fatto", 17 ottobre 2012
Il processo di pietrificazione del mondo si è fatto totale, e a creare il mondo pietrificato è un potere impalpabile, immateriale, astratto che si presenta nella forma amichevolmente neutra di un sistema di segni. Con questa diagnosi Marco Revelli chiude il suo saggio I demoni del potere (Laterza), in libreria, nel quale spiega che il potere che pietrifica è quello che trasforma gli individui in materia inerte, in esseri che non hanno più uno sguardo proprio. La cultura greca ha espresso questa concezione del potere nel terribile e affascinante mito di Medusa, una delle Gorgoni, “colei che domina” ed “è sovrana” e pietrifica chiunque incontri il suo sguardo. Il suo è un potere brutale, primordiale, duro, feroce, come Achille, che dopo aver ucciso Ettore ne strazia il cadavere. Per Revelli, un potere siffatto si è manifestato in tutto il suo orrore nel lager. Prova ne sia che Primo Levi, parlando dei più disgraziati fra i prigionieri del campo di sterminio, li ha definiti coloro che hanno “visto la Gorgone” e sono per questo diventati non uomini, hanno perso se stessi: non più esseri umani, eppure vivi. Un’altra faccia del potere che domina il nostro tempo, scrive Revelli, è la seduzione. Non pietrifica, attira a sé; non infonde paura, affascina. La sua rappresentazione classica è la sirena che conquista e porta alla morte, con un canto di una dolcezza ammaliante. Per resistere alle sirene ed evitare di naufragare sugli scogli, Ulisse si fa legare all’albero maestro della nave e impartisce ai compagni l’ordine di non slegarlo per nessuna ragione: “Ma voi con legami strettissimi dovete legarmi, perché io resti fermo, in piedi sulla scarpa dell’albero: a questo le corde mi attacchino. E se vi pregassi, se vi ordinassi di sciogliermi, voi con nodi più numerosi stringetemi”.
L’ULISSE OMERICO, dopo essere sfuggito al canto delle sirene, può narrare la sua storia. Noi, invece, non siamo in grado di narrare quello che è avvenuto. La prova più eloquente è, ancora una volta, Auschwitz, e il testimone da citare è di nuovo Primo Levi: “Non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala, oltre che esigua: siamo quelli che, per la loro prevaricazione, o abilità, o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare, o è tornato muto. […] I sommersi, settimane e mesi prima di spegnersi avevano già perduto le virtù di osservare, ricordare, commiserare ed esprimersi”.
Il potere totalitario ha dunque una duplice caratteristica: pietrifica e si rende inconoscibile. Il potere democratico ha invece dimostrato di avere una peculiarità diversa che Revelli descrive come capacità di creare la realtà attraverso le parole. L’esempio più significativo è il discorso del Segretario di Stato americano Colin Powell di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’Onu quando ha raccontato all’opinione pubblica mondiale, con abbondante supporto di immagini e di elaborazioni virtuali, la favola delle armi di distruzione di massa nascoste dall’Iraq agli ispettori delle Nazioni Unite e denunciò i legami fra Saddam Hussein e al Qaeda. Il racconto di Powell ha poi creato la realtà della guerra in Iraq, che, come lo sguardo della Gorgone, ha pietrificato nel senso letterale del termine: ha trasformato in cumuli di macerie città e monumenti millenari. Le considerazioni di Revelli, con il costante riferimento ai miti della Gorgo-ne e delle Sirene, sono di rara efficacia, e invitano a riflettere sulle caratteristiche permanenti del potere e sull’enorme difficoltà di incatenarlo con la forza del diritto. Ma sarebbero state ancora più stimolanti se avesse spiegato meglio, oltre alle somiglianze, le differenze profonde che separano il potere totalitario da quello democratico. È vero che tanto il totalitarismo quanto lo Stato democratico hanno fatto credere menzogne che poi hanno contribuito a causare morte e distruzione. Ma è vero del pari che Colin Powell è stato immediatamente confutato, contestato e ha di fatto chiuso con quel discorso, ingloriosa-mente, la sua carriera politica. Nessuno ha denunciato Hitler o Goebbels per le menzogne che hanno portato la morte e la distruzione nel mondo.
DIFFERENZE a parte, le democrazie contemporanee sembrano avere in comune con il totalitarismo l’inquietante propensione a produrre esseri umani banali, capaci di diventare spietati aguzzini che non si rendono conto di quello che fanno, o di rimanere indifferenti di fronte alla brutalità. I soldati americani guardavano impassibili i commilitoni che torturavano i prigionieri iracheni e molti di loro hanno inviato le immagini degli orrori di guerra a un apposito sito in cambio di video pornografici.
Delle tre caratteristiche del potere che Revelli ha discusso – pietrificare, sedurre, ridurre la persona a un essere moralmente indifferente – la terza è la più pericolosa perché è la più subdola, e contro di essa non abbiamo ancora trovato rimedio.
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