T.S. Eliot, BURNT NORTON (No. 1 of 'Four Quartets')
Time present and time past
Are both perhaps present in time future,
And time future contained in time past.
If all time is eternally present
All time is unredeemable.
What might have been is an abstraction
Remaining a perpetual possibility
Only in a world of speculation.
What might have been and what has been
Point to one end, which is always present.
Footfalls echo in the memory
Down the passage which we did not take
Towards the door we never opened
Into the rose-garden. My words echo
Thus, in your mind.
C. Rovelli, E se il tempo non esistesse? "Il Sole 24 ore", 15 gennaio 2012
La crescita della conoscenza scientifica rimette spesso in discussione le evidenze che ci appaiono più ovvie. In passato ci ha insegnato che il cielo non sta solo sopra la nostra testa ma anche sotto i nostri piedi, e che la solida Terra su cui camminiamo non è ferma, ma sfreccia nello spazio. Man mano che impariamo di più sul mondo, ci rendiamo conto che idee anche radicate sono spesso illusioni dovute alla limitatezza della nostra esperienza. Nel Novecento, questa evoluzione della nostra immagine del mondo ha toccato la nostra intuizione del tempo. Abbiamo imparato che il tempo non passa alla stessa velocità per tutti: due compagni di scuola rimangono coetanei solo se restano accanto; altrimenti quando si rincontrano non hanno più la stessa età. Il tempo, per esempio, passa più velocemente in montagna che in pianura.
Se nessuna coppia di compagni di scuola ha ancora fatto l'esperienza di ritrovarsi con età diverse, è solo perché le differenze di invecchiamento sono piccole. Ma oggi abbiamo orologi precisi con cui questa variabilità dello scorrere del tempo si misura facilmente. Per la precisione, mentre a Genova, sul mare, passa un'ora, all'Aquila, 700 metri più in alto, passa un'ora e un milionesimo di secondo. Poco per avere effetto sulla nostra vita quotidiana, ma sufficiente per mostrarci che la concezione di un tempo che scorre uniformemente eguale per tutti è solo un'approssimazione dovuta all'imprecisione delle nostre percezioni.
Fin qui siamo nell'ambito della fisica ben conosciuta: la dipendenza del tempo dall'altitudine, per esempio, è un effetto ben compreso, descritto dalla teoria della relatività generale, la più bella delle teorie di Einstein, e la teoria che ci fornisce il migliore quadro concettuale, oggi, per pensare allo spazio e al tempo. L'effetto è stato misurato molte volte, e deve essere tenuto in conto nelle applicazioni tecnologiche: i sistemi Gps non funzionerebbero se non tenessero conto del fatto che gli orologi sui satelliti vanno più veloci di quelli a Terra. Siamo quindi nell'ambito di una scienza forse ancora poco conosciuta dal largo pubblico, ma da tempo scontata per gli addetti ai lavori.
Ma la sete di conoscere non si ferma, la ricerca continua. Se c'è una cosa che sappiamo con certezza, è che le cose che ancora non sappiamo sono molte. Ci sono problemi aperti nella nostra conoscenza del mondo fisico elementare che ci indicano che molto di essenziale ci sfugge ancora, e le nostre idee hanno ancora bisogno di sostanziali revisioni. Uno dei problemi aperti di maggiore portata è il problema della gravità quantistica, che nasce dal fatto che la teoria della relatività generale, cui ho accennato sopra, trascura l'altra scoperta fondamentale della fisica del Novecento: la natura quantistica, cioè granulare e probabilistica, della materia e della radiazione. Quello che ancora non comprendiamo, e su cui una parte importante della ricerca teorica attuale si sta concentrando, è la minuta struttura quantistica, granulare, probabilistica, che deve avere lo spazio stesso.
Nell'ambito di questa ricerca, si è affacciata un'idea a prima vista vertiginosa: forse il tempo "non esiste". L'idea è apparsa per la prima volta nel 1967, in un articolo del fisico americano Bryce DeWitt, scomparso da poco. Combinando relatività generale e teoria quantistica, DeWitt riesce a derivare l'abbozzo di un'equazione capace di descrivere le proprietà quantistiche dello spazio, ma nell'equazione è sparita del tutto la variabile t, il tempo. La matematica sembra indicare che per descrivere il mondo a livello elementare, non dobbiamo usare la nozione di tempo. Ma cosa significa? Fino a oggi, tutte le nostre equazioni descrivono lo svolgersi dei fenomeni nel tempo.
Facciamo un passo indietro: cosa intendiamo in fisica quando parliamo di tempo? Per sapere l'ora, cioè misurare il tempo, possiamo guardare la posizione del Sole nel cielo. Per avere più precisione, guardiamo un orologio. La posizione delle lancette del mio orologio indica il tempo che è passato. Ma come faccio a sapere se il mio orologio misura davvero il tempo "vero"? Beh, lo posso controllare con l'ora esatta diramata da un centro ufficiale, dove c'è un orologio molto preciso. Ma come faccio a sapere se quell'orologio misura il tempo "vero"? Lo confronto con un altro orologio ancora... È chiaro che c'è un problema. Tutto quello che noi osserviamo sono lancette di orologi, oggetti che si muovono, la posizione del Sole nel cielo... Non vediamo mai "il vero tempo". Vediamo solo oggetti che si muovono.
Newton, il padre della fisica, ha compreso tutto ciò con grande chiarezza, scrivendo che l'esistenza di una variabile "tempo" è solo un'ipotesi, che mette ordine nelle nostre osservazioni sui movimenti degli oggetti. Osserviamo dove si trova un oggetto quando un altro è in un certo luogo («quando le lancette del mio orologio sono sulla verticale, il Sole è a Sud»), e per convenienza, immaginiamo una variabile fisica "t" che ordini tutto questo («al tempo t=12:00, le lancette del mio orologio sono sulla verticale e il Sole è a Sud»), ma ciò che osserviamo sono solo posizioni di oggetti, non il tempo in sé. Prendendo sul serio questa osservazione, è chiaro che in linea di principio potremmo fare a meno di parlare di tempo, e parlare sempre e solo della posizione del Sole nel cielo o della posizione delle lancette di ciascun orologio. Scomodo, ma possibile.
Quello che DeWitt ha implicitamente scoperto nello scrivere la sua equazione senza tempo è che questa procedura - descrivere il mondo dando l'evoluzione delle variabili una rispetto all'altra, invece che rispetto al tempo - diventa necessaria, nel microcosmo. Il motivo intuitivo è che la natura quantistica delle variabili le porta a fluttuare (oscillare) tutte in maniera indipendente, cosicché non possiamo più immaginarle tutte danzare al ritmo unico di una sola variabile tempo. L'ipotesi che esista un tempo al ritmo del quale danza l'universo, non è un'ipotesi corretta. A piccola scala l'universo è un insieme di variabili che danzano ciascuna con le vicine, senza nessun tempo che ordini le danze. Facile da capire? No. La concezione usuale del tempo è radicata nella nostra esperienza quotidiana e ingranata nella nostra struttura concettuale. Ma difficile non vuole dire impossibile: la difficoltà di concepire un mondo senza tempo non è diversa dalla difficoltà che hanno avuto i nostri nonni a immaginare la Terra sferica e gli abitanti degli antipodi a testa in giù: la difficoltà è accettare che la nostra esperienza del mondo, dove alto e basso sono gli stessi per tutti, e il tempo scorre uniforme, è limitata. Aveva ragione Kant a osservare che tempo e spazio più che essere nella natura sono forme del nostro modo di conoscerla; ma aveva probabilmente torto a concluderne che tali forme fossero immutabili: le forme stesse del nostro conoscere crescono con la conoscenza.
E di cammino ne abbiamo fatto molto da quando i nostri antenati cercavano di dare senso al mondo vedendolo rispecchiato negli animali sventrati per i sacrifici agli dei: l'antica saggezza indiana dei Veda recita nella Brihadaranyaka Upanishad: «L'aurora è il capo del cavallo sacrificale, il sole è il suo occhio, il vento il suo respiro, il tempo è la sua anima». Ma il tempo, il «fanciullo che gioca e muove pedine» come lo chiamava Eraclito, non è né l'anima del cavallo ucciso nel sacrificio, né quel fluire uguale a se stesso e uniforme che Newton ha posto alla base della sua fisica. Forse il fluire del tempo nasce solo dalla nostra interazione con il mondo: a un livello più fondamentale, la nozione di tempo non serve, anzi, è fuorviante, per descrivere il mondo.
Carlo Rovelli, docente di fisica teorica all'Università di Marsiglia e Mauro Dorato docente di filosofia della scienza all'Università Roma 3, discutono sul concetto di tempo.
Scarica il PODCAST dal sito Rai Radio1 BenFatto.
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