mercoledì 10 ottobre 2012

Roma, Romae


Roma caput mundi    Roma caput mundi    Roma caput mundi    Roma caput mundi    Roma caput mundi    Roma caput mundi    Roma caput mundi
Il doppio volto dell'Impero. 
Accanto al dominio brutale delle armi una politica di integrazione unica
di Lauretta Colonnelli, "Corriere della Sera",  9 ottobre 2012

Roma agli inizi dell'Impero è descritta mirabilmente da Seneca: una città popolata da un milione di abitanti, che a malapena riescono a trovare ospitalità nelle case. La maggior parte è gente affluita dalle colonie sparse in tutto il mondo. «Gli uni li ha spinti l'ambizione, altri gli obblighi di una funzione pubblica, altri l'incarico di un'ambasceria, altri la lussuriosa ricerca di un luogo adatto perché pieno di vizi, altri il desiderio degli studi liberali, altri gli spettacoli. Alcuni li ha attratti l'amicizia, altri la volontà di trovare uno spazio dove poter esprimere le proprie capacità. Alcuni sono giunti per mettere in vendita la bellezza, altri l'eloquenza. Ogni genere d'individui è accorso in questa città che paga ad alto prezzo i vizi e le virtù. Chiamali, e chiedi a ciascuno: "da dove vieni?". Vedrai che la maggior parte ha abbandonato la patria per venire a Roma, la città più grande e bella del mondo, che tuttavia non è la loro» [Consolatio ad Helviam matrem, VI].
Se i fondatori della città avessero potuto ascoltare le parole di Seneca, avrebbero saputo che la profezia di Romolo si era avverata. Sette secoli prima infatti, secondo il racconto tramandato da Tito Livio, il primo re di Roma era apparso dopo la morte a un testimone e gli aveva detto: «Va' e annuncia ai romani che gli dei vogliono che la mia Roma sia la capitale del mondo. Perciò coltivino l'arte militare e sappiano, e anche ai posteri tramandino, che nessuna potenza umana potrà resistere alle armi dei romani». Roma fu di fatto «caput mundi» fino alla caduta dell'impero d'Occidente, ma simbolicamente lo è rimasta per sempre. Come è riuscita a realizzare un progetto tanto ambizioso? Andrea Giardina ha pensato di raccontarlo con questa mostra che ha curato insieme a Fabrizio Pesando. «Volevo innanzitutto correggere una visione sbagliata della potenza romana, trasmessa al grande pubblico prima dai dipinti e dai bestseller ottocenteschi con le loro scene di "crudeltà romana", poi dai kolossal cinematografici del Secondo dopoguerra, in cui i romani e i loro imperatori venivano assimilati ai nazisti e ai fascisti, a Hitler e Mussolini. Volevo spezzare questa simmetria tra Roma e violenza, che ancora oggi prevale nell'immaginazione collettiva».
Secondo Giardina, Roma raggiunse la sua potenza non solo con il dominio delle armi, ma anche con la capacità di integrare i vinti. E l'esposizione, che si snoda tra il Colosseo, la Curia Iulia e il tempio del Divo Romolo nel Foro romano, vuole mettere in risalto le «armoniche contraddizioni» di una storia unica per ricchezza e varietà. Attraverso un centinaio di opere tra sculture, rilievi, mosaici, affreschi, bronzi e monete si narrano i due volti di Roma «caput mundi». Da una parte gli aspetti più brutali del dominio romano: le guerre di rapina, la schiavitù, le sofferenze inferte a intere comunità. Dall'altra, una politica dell'integrazione che non trova riscontri in nessun altro periodo storico: i romani ritenevano irrilevante la purezza della stirpe, concedevano facilmente la cittadinanza, liberavano gli schiavi e i figli di questi ultimi erano considerati cittadini di pieno diritto. Roma diventò pian piano una «città aperta», dove anche un cittadino di umili origini, o straniero, poteva diventare imperatore. Era sabino Numa, etrusco Tarquinio Prisco, forse figlio di una schiava Servio Tullio. Erano spagnoli Traiano, Adriano e Marco Aurelio, africani Settimio Severo e Caracalla, addirittura di origini barbare Massimino il Trace.
L'inizio di questo processo di apertura è documentato all'ingresso della mostra, nella Curia. Qui l'imperatore Claudio, nel 48 d. C., tenne un'orazione per convincere i senatori ad accogliere tra i loro ranghi alcuni notabili delle province della Gallia Transalpina. E qui è stata esposta l'epigrafe che contiene una parte del discorso autentico di Claudio, mentre un'installazione presenta il testo completo, in latino e in italiano. Accanto all'epigrafe, il papiro contenente un frammento dell'editto con cui Caracalla concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'impero.

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