sabato 20 ottobre 2012

Il grande racconto delle stelle


Pietro Citati, Quelle vaghe stelle dell'Orsa che segnano la via dei grandi,
"Corriere della Sera", 5 ottobre 2012 

Piero Boitani è una persona miracolosa, o mostruosa.Sono suo amico, e gli telefono volentieri. È chiacchierone, lieto, di buon umore, pettegolo, e con lui si parla piacevolmente per ore. Ma è quasi impossibile. Al telefono non risponde. Insegna all'università di Roma, oppure a quella di Lugano, oppure in un'università degli Stati Uniti. E se non insegna tiene una conferenza a Pechino, a Melbourne, a Boston, a Parigi, a Cambridge, a Oxford, ad Aosta, a Friburgo. Se non tiene conferenze, viaggia dappertutto o partecipa a congressi, riunioni, o dirige fondazioni.
Qualcuno potrebbe credere che non abbia tempo per studiare. Ma è vero il contrario: Boitani è una delle persone più colte che esistano tra gli studiosi italiani di letteratura (e non solo di letteratura).
Con ogni probabilità non dorme: fissa gli occhi vigilissimi sulle poesie, i romanzi e i quadri: o possiede un' innaturale capacità di concentrazione; riesce a intendere in un'ora quello per cui io avrei bisogno di una settimana. Sa tutto, e capisce tutto, nei minimi dettagli e nei minimi aspetti.
Ci sono diverse forme di critica letteraria. In una si dedicano anni all'analisi di un testo: dieci righe di poesia, una pagina di romanzo. In un'altra forma, quella praticata da Boitani, si raccolgono migliaia di relazioni e di analogie, le si illuminano a vicenda, per cui qualsiasi cosa si scrive è sempre un'analisi del tutto.
È il caso di uno splendido e immenso libro appena uscito, Il grande racconto delle stelle (edito dal Mulino, con 615 pagine e 256 illustrazioni), dove Piero Boitani racconta tutto quello che è stato immaginato sulle stelle, i soli, le galassie, le lune: romanzi, poesie, musica, pittura, filosofia, astronomia, dall'Iliade a Wallace Stevens e Paul Celan; in qualsiasi lingua, anche in quelle orientali che gli sono meno familiari.
Ogni pagina è precisa ed esatta: i dettagli s'incastrano nei dettagli, senza che vi sia mai nulla di approssimativo e generico. Tutto nasce sotto il segno di un passo famoso dell'Iliade:

«Quelli stettero tutta la notte lungo i sentieri di guerra
a coltivare grandi speranze, e molti fuochi erano accesi.
Come quando le stelle nel cielo attorno alla luna che splende,
appaiono visibilissime, mentre l'aria è senza vento;
e appaiono tutte le rupi e le cime dei colli e delle valli;
e uno spazio indicibile si apre sotto la volta del cielo. 
E si vedono tutte le stelle, e gioisce il pastore in cuor suo:
tanti falò splendevano tra le navi e il letto di Xanto,
quando i troiani accesero i fuochi davanti alle mura di Ilio».


Nel 1809, Giacomo Leopardi undicenne lesse per la prima volta l'Iliade. Quel passo lo colpì straordinariamente e influenzò per sempre il suo mondo e la sua poesia. Amava lo spazio immenso, la centralità della luce, l'assenza di vento, le precisione dello sguardo, che fissa le cime, i colli e le valli, e la presenza del pastore, chissà dove, «che gioisce in cuor suo». La figura del pastore è la stessa di Piero Boitani critico che racconta il tappeto del cielo e scorge dovunque calma, quiete, entusiasmo, esaltazione, vastità, precisione: o, come dice san Tommaso, integritas, consonantia e claritas.
Ogni tanto, nel libro si avverte un rimpianto, Boitani teme di non aver ricordato tutte le stelle, tutti i soli, tutte le galassie, che appaiono in musica, letteratura o pittura. Forse, nell'angolo di un poema persiano, si nasconde veramente una luna dimenticata. Mi sembra difficile che Piero Boitani abbia dimenticato qualcosa. Ma, se l'avesse fatto, il suo libro sarebbe ancora più perfetto: solo una lacuna o una lacerazione, o una dimenticanza, rendono il tutto intero e senza macchia.

L’autore 
Nato a Roma 65 anni fa, Piero Boitani è filologo e critico letterario. Studioso eclettico (dantista, anglista, studioso del mito, traduttore) è docente di Letterature comparate alla Sapienza di Roma, dopo aver insegnato Lingua e letteratura italiana all’Università di Cambridge.

L'intervista radiofonica


di Brigitte Schwarz



E quindi uscimmo a ritrar le stelle

Vincent Van Gogh ”Notte stellata sul Rodano” (1888)


Gli astri tra lettere, arte  e scienza nell’«enciclopedia» di Boitani

PIERO BIANUCCI

"La Stampa - Tuttolibri", 6 novembre 2012 

Nelle notti stellate, il cielo è la finestra sull’universo concessa all’uomo. Possiamo guardare fuori, e basta il nudo occhio per arrivare a due milioni di anni luce individuando il fioco chiarore della galassia di Andromeda: i raggi con cui solletica la nostra retina sono partiti quando si levava in piedi l’Homo erectus, e il sapiens era di là da venire. Ma nel cielo possiamo anche specchiarci, guardare non fuori ma dentro di noi. Così, dai miti stellari, si diramano tre vie: quella mistica che porta alla religione, quella razionale che approda alle domande scientifiche, e quella intima, che sfocia nella poesia. 
Piero Boitani, ordinario di letterature comparate all’Università di Roma La Sapienza, percorre la terza via, che però spesso incrocia le altre due. La sua scoperta delle cose celesti risale all’incontro con Ginestra e Edoardo Amaldi, una grande divulgatrice e un grande fisico allievo di Fermi. Con questo libro erudito ma non arido, generato da decenni di studi e sterminato come il suo tema, ci attrae in un gorgo di bellezza letteraria, pittorica, musicale e architettonica, ed è dolce il naufragio. Poteva diventare un elenco, un inventario dei cieli rappresentati in poemi e romanzi, quadri e cattedrali, musica e filosofie, ma non sarebbe mai stato completo pur producendo nel lettore sazietà. Boitani invece è riuscito a farne un catalogo ragionato e selettivo, un viaggio in tutte le civiltà e le loro epoche. 
Sono sempre stelle e pianeti, ma con innumerevoli rifrazioni. Il cielo di Omero è statico nell’Iliade, quando Efesto lo cesella sullo scudo di Achille, e dinamico nell’Odissea, quando Ulisse vede nella variabile altezza della stella polare il segno della sua labirintica navigazione. Puro brivido lirico è il cielo per Saffo; didascalico suggeritore di pratiche agricole per il Virgilio delle Georgiche. Nei mosaici e negli affreschi delle cattedrali le stelle sono ora stilizzate ora realistiche. Realistica è la cometa che Giotto nel 1301 dipinge nella cappella degli Scrovegni (noi ora la conosciamo come la cometa di Halley); geometriche sono, inevitabilmente, le stelle delle moschee, ma anche di tante cattedrali cristiane, e geometrica è la stella che dalla metà del XVI secolo occupa il centro di piazza del Campidoglio a Roma. Quasi realistica è la pioggia delle meteore Leonidi dipinta da Edmund Weiss, timidamente impressionistica la Luna sul paesaggio marino di Alfred Stevens, radicalmente e genialmente impressionistiche le stelle di van Gogh, tanto da trasfigurarsi in spirali galattiche. 
Troppo lontano porterebbe anche solo qualche citazione dal mondo persiano, indiano e cinese che Boitani esplora con la stessa cura riservata all’Occidente. Ritornando al quale, sarebbe cruciale analizzare il molteplice ruolo delle stelle in Dante – simbolico, razionale, lirico... – o in Leopardi, o magari in Victor Hugo e in Mark Twain (citando a caso). Accontentiamoci, in un lungo balzo, di giungere a Italo Calvino, alle sue Cosmicomiche e al signor Palomar. 
Qui il cielo scientifico si incontra con il cielo fantasticato e in qualche modo si attua l’utopia di Richard Feynman, Nobel per la fisica, forse lo scienziato più geniale del ‘900 dopo Einstein. Nel 1955 concluse una conferenza leggendo una sua poesia («...in piedi davanti al mare / meravigliato della propria meraviglia: io / un universo di atomi / un atomo nell’universo») e aggiunse: «Pochi non scienziati fanno questa particolare esperienza... I nostri poeti non ne scrivono; i nostri artisti non tentano di raffigurarla. Non so perché. Nessuno si sente ispirato dalla nostra immagine attuale dell’universo? Questo valore della scienza non viene cantato, siete ridotti ad ascoltarlo non in musica o in versi, ma in una conferenza serale. Non siamo ancora in un’era scientifica». Eppure l’ultima immagine del libro di Boitani è il cosmo intero tracciato dal satellite W-Map con la radiazione fossile del Big Bang. 

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