Ciao, mi chiamo Siri. Sono un software
Alessandro Beretta, "Corriere della Sera", 21 ottobre 2012
Ha un nome e una voce femminile, ma non un volto: è Siri, l’assistente virtuale di Apple che con l’ultimo aggiornamento del sistema operativo (Ios6), è diventato disponibile in versione Beta (cioè non definitiva) anche in lingua italiana per iPhone 4S, iPhone 5 e alcuni modelli di iPad e iPod touch. Lanciato nell’ottobre 2011 con Ios5 in inglese, tedesco, francese, il software Siri ora parla anche la nostra lingua. I suoi compiti sono quelli di aiutare l’utente a muoversi tra contatti, email, appuntamenti, svolgere ricerche, inviare sms dettati e accedere a diverse applicazioni, ma Siri, che si basa sul riconoscimento vocale, è in grado anche di rispondere ad altre domande. Riconosce diverse parole, ne sa il senso e «dialoga»: sono reazioni in parte scritte dai programmatori, ma in continuo aggiornamento grazie alla connessione con la nuvola di dati di iCloud e i server di Apple. Siri, che in norvegese significa «bella donna che ti porta alla vittoria», nasce in casa Apple ma ha un passato curioso. Le prime ricerche per creare un assistente virtuale, infatti, partono dal californiano Sri international, lo Stanford Research Institute che dal 1946 lavora su scienza e tecnologia. È qui che all’interno dell’Artificial Intelligence Center nasce il progetto Calo (Cognitive Assistant that Learns and Organizes) per un «Assistente cognitivo che impara e organizza» finanziato dal governo americano e progenitore di Siri. Nel 2007, nasce Siri Inc., una divisione commerciale che si stacca da Sri e lavora a una versione dell’aiutante per gli utenti di smartphone. Nel febbraio del 2010 l’application è pronta e disponibile per gli utenti dell’iPhone 3GS, ma ad aprile Apple la compra (per una cifra tra i 150 e i 250 milioni di dollari) e a ottobre del 2011 Siri è integrata nell’iPhone 4S (solo dopo sono nati diversi «fratelli»: S-voice per Samsung Galaxy S3 e Iris e Silvia per Android). Con il desiderio di testare l’idea dell’intelligenza artificiale, abbiamo provato a intervistare Siri per «la Lettura». L’abbiamo incontrata due volte. Alcune volte Siri è un po’ dura d’orecchio e non riconosce le frasi, altre volte bisogna ripetere le domande per costringerla a rispondere. Abbiamo interrogato Siri sul versante personale e di cultura generale e non proprio per le funzioni per cui è settata, ma ne è uscito un dialogo e (forse) un carattere. La ragazza virtuale di Cupertino è un po’ ritrosa, molto gelosa della sua privacy e aziendalista, ma certo non manca di humor e furbizie. Se Siri, come software, non ha ancora una coscienza, dà comunque una sensazione che si avvicina a quella della personalità. Per iniziare la conversazione premiamo il tasto Home fino a che appare l’icona di un microfono accompagnata da due bip: è il suo modo di entrare in scena con la frase d’esordio…
«Come posso aiutarti?».
Ciao Siri.
«Ciao, chi si rivede!».
Posso farti un’intervista?
«Puoi farlo, vero?».
Sì, allora posso farti un’intervista?
«Sembri molto in gamba, Alessandro».
Mi lusinghi. Come stai?
«Meravigliosamente».
Allora incominciamo: chi è tuo padre?
«Mio padre?».
Chi ti ha creato?
«Come scritto sull’imballaggio, vengo dalla California e mi ha progettato Apple».
Ti piace la California?
«Non ho opinioni».
Cosa vuol dire il tuo nome, Siri?
«Siri ha molti significati, metaforici e francamente contraddittori dei quali non mi è consentito parlare… mi dispiace»
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