lunedì 9 dicembre 2013

Carlo Martello e l’enigma di Poitiers


Evento che ha cambiato la storia del mondo o scontro minore,

la battaglia che nel 732 fermò l’Islam 
è divenuta un momento fondante dell’identità europea

 Alessandro Barbero

La Stampa,  9 dicembre 2013

L’ESORDIO DEGLI «EUROPENSES» La parola , in latino, viene usata per la prima volta nella cronaca di un annalista cristiano andaluso

Il grande storico tedesco Hans Delbrück, uno dei creatori della moderna storia militare, affermò a proposito della battaglia di Poitiers che non c’era «nessuna battaglia più importante nella storia del mondo». Lì, infatti, s’interruppe l’avanzata dell’Islam che dopo il Vicino Oriente e il Nordafrica aveva inghiottito la Spagna e minacciava di dilagare in Europa. Eppure, le cose che non sappiamo su questa battaglia così importante sono molte di più di quelle che sappiamo. Perfino il nome è incerto: nel mondo anglosassone si preferisce chiamarla la battaglia di Tours. Sulla data, oggi un certo consenso la colloca nel 732, o forse nel 733, ma in passato la si datava al 725. È confortante sapere che perlomeno non c’è dubbio su chi ha vinto e chi ha perso: i Franchi al comando del maestro di palazzo Carlo Martello, nonno di Carlo Magno, sconfissero un esercito arabo al comando del wali di al-Andalus, il governatore della Spagna araba, Abd el-Rahman, che trovò la morte sul campo di battaglia.
Al di là di questo dato di fatto, il disaccordo regna sovrano: una battaglia che ha cambiato per sempre la storia del mondo, oppure uno scontro minore che non ha avuto alcuna importanza, dato che l’espansione araba era già arrivata ai suoi limiti naturali? I cronisti dell’epoca non ci aiutano a decidere, perché le loro descrizioni non corrispondono a nessuna di queste due visioni estreme. Gli autori franchi ne parlano come di una vittoria, ma non l’unica: Eginardo, il biografo di Carlo Magno, accredita a Carlo Martello due grandi vittorie, a Poitiers e a Narbona, grazie alle quali gli arabi vennero ricacciati al di là dei Pirenei. La raccolta di biografie dei Papi nota come Liber Pontificalis si entusiasma per il trionfo sulla «nefanda gente» degli Arabi, e avanza cifre che verranno poi ripetute dagli storici senza farsi troppi problemi fino a tempi vicini a noi: il nemico ebbe 375.000 morti, i Franchi appena 1500. A un’analisi più accurata, però, si scopre che il cronista pontificio parlava di un’altra battaglia, quella vinta nel 721 dal duca Odone d’Aquitania presso Tolosa!
I cronisti arabi, da parte loro, ammettono la gravità della disfatta, in cui tanti guerrieri si guadagnarono il paradiso, tanto che la battaglia venne soprannominata «la strada dei Martiri». Siccome il termine usato, balat, indica le strade selciate, gli studiosi ne hanno dedotto che lo scontro si combatté sull’antica via romana che collegava Poitiers a Tours, ma in realtà anche la battaglia di Tolosa è indicata dai cronisti arabi con la stessa formula stereotipata.
C’è però un cronista dell’epoca che più di tutti ha contribuito a creare il mito di Poitiers. È un annalista anonimo, cristiano, che scriveva in latino nella Spagna governata dagli Arabi. È l’unico a raccontare in dettaglio lo scontro, coniando un’immagine rimasta famosa: gli uomini del Nord, «gentes Septentrionales», respinsero l’assalto restando immobili come un muro, impenetrabili come i ghiacci polari. Da quando il testo è stato riscoperto, nel Cinquecento, l’immagine dei Franchi fermi come un «muro di ghiaccio», che al cronista andaluso doveva evocare la nordica alterità di quel popolo lontano, è stata adottata dagli storici alla ricerca disperata di particolari con cui arricchire il racconto, altrimenti aridissimo, di questa battaglia decisiva. Non meno sorprendente è il termine usato ben due volte dal cronista spagnolo per indicare i vincitori: sono gli «Europenses» ed è la prima volta che questo aggettivo compare, in latino, per indicare gli abitanti dell’Occidente.
Ma è solo dal XVIII secolo che Poitiers è diventata un momento fondante per l’identità europea. Edward Gibbon osservò che senza Carlo Martello «forse oggi l’interpretazione del Corano sarebbe insegnata nelle scuole di Oxford, e i suoi pulpiti dimostrerebbero a un popolo circonciso la santità e verità della rivelazione di Maometto». Da allora è un crescendo di entusiasmo: «coi saraceni vittoriosi, il mondo era maomettano» (Chateaubriand); la vittoria di Carlo Martello ha salvato «la civiltà mondiale» (Guizot); uno storico americano dell’Ottocento definì la battaglia «una di quelle straordinarie liberazioni che hanno influenzato per secoli la felicità del genere umano». L’ex presidente americano Theodore Roosevelt, in un libro dal titolo rivelatore (Temi Dio e prenditi la tua parte) tuonava: «senza il martello di Carlo, l’Europa oggi sarebbe maomettana e la religione cristiana sarebbe stata sterminata».
Come stupirsi se Poitiers appare ancor oggi un grido di guerra a chi per mestiere combatte l’Islam? Recentemente negli Usa il deputato Allen West, repubblicano della Florida, a un giornalista che gli chiedeva perché mai una religione intera dovrebbe essere considerata come un nemico, ha dichiarato che l’Islam dei terroristi non è una religione, ma un sistema aggressivo sempre uguale nei secoli, e non c’è bisogno di spiegare perché occorre combatterlo. «Volete riesumare Carlo Martello e chiedergli perché ha combattuto l’esercito musulmano alla battaglia di Tours nel 732?».
Il deputato West, che fra parentesi è un afro-americano, se ne intende: ufficiale dell’esercito, ha combattuto in Iraq prima di essere costretto a dimettersi per aver maltrattato un prigioniero. Se non altro, ha il merito di parlar chiaro; a lui non sarebbe sfuggita una frase come quella di Oriana Fallaci nella Forza della ragione, che è probabilmente il commento più superfluo mai sentito sull’argomento: «Se nel 732 Carlo Martello non avesse vinto la battaglia di Poitiers-Tours oggi anche i francesi ballerebbero il flamenco».

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