venerdì 27 dicembre 2013

Così è l’amore secondo Stendhal: eterna sfida tra ardore e freddezza


Le figure femminili che affascinano (e dividono) i lettori

Giorgio Montefoschi

“Corriere della Sera“, 27 dicembre 2013

«Era una donna alta, ben fatta, che era stata la bellezza della regione, come si dice tra queste montagne. Aveva una certa aria di semplicità, e un’andatura giovanile; a un parigino quella grazia ingenua, piena di innocenza e di brio, avrebbe addirittura suggerito qualche idea di dolce voluttà». Così, per la prima volta, viene descritta da Stendhal la signora de Renal, una delle due protagoniste de Il rosso e il nero, che oggi, per una collana di classici con nuove traduzioni — questa è di Margherita Botto — propone Einaudi (pagine 524, e 24). Quando apre la porta di casa, nel villaggio di Verrières, ai piedi del massiccio del Giura, e si trova di fronte Julien, il ventenne figlio del carpentiere che suo marito, il sindaco di Verrières, ha scelto come precettore per i loro figli, è colpita dalla sua carnagione pallidissima, dagli occhi dolci che hanno appena pianto. Il ragazzo timido che conosce a perfezione la Bibbia e a memoria sa recitarla in latino, e la moglie del sindaco si guardano. L’attrazione reciproca è immediata. 
Inizia in tal modo la prima delle due vicende sentimentali e tragiche che coinvolgeranno Julien, attraverso le quali — fermo restando il carattere volitivo e ambizioso del giovane avviato alla carriera ecclesiastica, ammiratore di Napoleone, corrotto dal veleno delle disparità sociali, egoista come tutti nelle passioni, ingenuo e cinico, straziato dal contrasto fra il tumulto amoroso e ciò che gli impone come dovere il proprio orgoglio — conosceremo due donne diversissime che, fino all’ultima pagina del romanzo, ci lasceranno dubbiosi sulla risposta da dare a una domanda assai semplice, in definitiva: noi chi avremmo più amato, la signora de Renal, o la sua rivale, la signorina de La Mole ? 
La signora de Renal, che di anni ne ha trenta, è sposata a un uomo gretto e vive in un ambiente gretto. Julien è una scintilla imprevista nella noia della vita coniugale. La seduzione si consuma in una serie di contatti fisici che avvengono in giardino di giorno, e durante le notti estive sotto il grande tiglio avvolto nell’oscurità. Sono scene meravigliose. La signora de Renal si è già rivolta a Julien chiamandolo «mio caro». Una mattina, passeggiando, si appoggia al suo braccio in un «modo strano». Poche sere più tardi lui le tocca la mano poggiata sulla spalliera della poltroncina e lei si ritrae; la sera seguente lui nuovamente gliela prende e la «sventurata» lascia che gliela stringa, provocando un’ondata di gioia; una terza sera, Julien, in presenza addirittura del sindaco, copre il braccio nudo della signora de Renal di baci frementi; durante una assenza di Julien, lei, ormai perdutamente innamorata, compra delle calze traforate e delle deliziose scarpette; lui, mentre passano da una stanza all’altra, la bacia; lei pensa: è pazzo, e dopo: cosa mi accadrebbe se fossi sola con lui; lui, quella sera, le tocca il piede inguainato nella calza traforata e le annuncia che alle due della notte sarà nella sua stanza; lei gli apre la porta e esclama: «Disgraziato!»; lui si getta alle sue ginocchia; lei, persino quando non ha più nulla da rifiutargli, lo respinge con autentica indignazione, quindi lo stringe fra le braccia. 
Ora, il gioco degli sguardi che più si sottraggono e più sono rivelatori, i turbamenti e le gelosie che subito intervengono nel cuore della signora de Renal, e sono le stigmate della passione, svaniscono per lasciare il campo a un doloroso supplizio. Lei, la progenitrice di Madame Bovary, è tormentata dalla consapevolezza della differenza d’età che le fa temere di perdere il suo amante; lui, dal proprio dissidio interiore; lei sente di non aver mai provato questa «cupa follia» che la sconvolge; lui è roso dal tarlo sociale che gli impone di non cedere a se stesso e di recitare, anche nei momenti più belli, un suo ruolo. Poi, un figlio della signora de Renal si ammala e lei, adultera, pensa che sia la punizione divina, impone a Julien di andarsene e intanto gli si avvinghia come l’edera a un muro; il bambino guarisce; i baci si fanno più ardenti perché la signora de Renal sa che il tempo corre; compaiono le inevitabili lettere anonime; Julien, seguendo il consiglio del suo abate, va a ritirarsi nel seminario di Besançon; quindi torna, una notte, e con una scala sale nella sua stanza; lei, coprendolo di baci, sussurra: «Ah, morire, morire così!»; all’alba, Julien parte a cavallo, voltandosi, fino all’ultimo, a guardare il campanile di Verrières. 
Le vicende del romanzo che (al pari di quelle fin qui trascurate) non raccontiamo, portano Julien a Parigi, nello sfarzoso palazzo del ricco marchese de La Mole. Julien diventa il suo segretario. Il primo giorno, a tavola appare Mathilde de La Mole. Questa, la descrizione di Stendhal: «Una ragazza biondissima e molto ben fatta, che andò a sedersi di fronte a lui. Non gli piacque; eppure, guardandola attentamente, pensò di non aver mai visto occhi così belli; però rivelavano una grande freddezza d’animo. Poi gli parve che tradissero una noia che scruta ma senza dimenticare di incutere rispetto. «Che differenza — pensa Julien — con gli occhi della signora de Renal animati dall’ardore delle passioni; in questi, brilla casomai quello dell’arguzia». 
La vita che si svolge nel palazzo dei de La Mole, è la vita stolta di una magione nobile nell’epoca della Restaurazione: cene, visite, conversazioni inutili. A Mathilde la sorte ha dato ogni cosa: lustro, ricchezza, gioventù; tranne la felicità. Ben presto i suoi occhi si posano su Julien, che lavora in biblioteca, con una diversa attenzione rispetto a quella gelida dell’inizio. Anche perché Julien è colto , intelligente, diverso dai suoi svenevoli corteggiatori. Ma a lui continua a essere indifferente. Una sera, con la «voce vivace e secca e senza alcunché di femminile che usano le donne dell’alta società», lei lo invita al ballo del signore di Retz. Lui obbedisce. Ed è in questa serata — in un altro palazzo da favola pieno di candele, profumi e belle donne — che cambia tutto. È uno dei «balli» psicologicamente più intensi della letteratura ottocentesca, non inferiore a quelli della Austen. Mathilde ha un abito molto scollato ed è molto ammirata. Ma «si direbbe che abbia paura di piacere a chi sta parlando». I suoi grandi occhi azzurri, proprio quando sembra che stiano per tradirsi, lentamente si abbassano. È l’arte della seduzione nascosta in un nobile ritegno, o non è piuttosto la paura di amare? Julien la guarda e si accorge che è bella. Lei è preda dei sentimenti più confusi, nei suoi confronti: non ultimo l’irritazione se lui non la guarda. Dunque, balla fino a stordirsi. 
La mattina seguente, entra in biblioteca vestita a lutto. Indossa il nero, perché è l’anniversario di un episodio che appartiene alla storia della sua famiglia per il quale ha un vero e proprio culto. Bonifacio de La Mole, amante della regina Margherita di Navarra, voleva restituire la libertà ai suoi amici. Non vi riuscì e fu consegnato al boia. Margherita si fece dare la sua testa e andò a seppellirla personalmente ai piedi di Montmatre. Quale donna — dice Mathilde a Julien mentre passeggiano in giardino — oggi non inorridirebbe al pensiero di toccare la testa del proprio amante decapitato? Julien pensa che i nobili hanno questo vantaggio rispetto ai plebei come lui: la storia dei loro avi li innalza al di sopra dei sentimenti volgari e non devono sempre pensare ai mezzi per sopravvivere. Lei si appoggia al suo braccio in un «modo molto strano». Julien pensa: mi prende in giro o mi ama? 
Inizia, a questo punto, un doppio conflitto — feroce — nell’animo dei due. Lei ama, ne è più che certa, ma deve vincere, più che l’orgoglio di abbassarsi ad amare un contadino, la sua paura di amare. Lui teme un raggiro, è diffidente: «Anche quando i suoi begli occhi azzurri mi fissano con abbandono, vi scorgo sempre una certa sfumatura inquisitoria, un fondo di freddezza e di cattiveria». Un giorno, lei gli scrive una lettera in cui si dichiara. Lui è cauto. Lei, in una seconda lettera, gli dice che quella notte vuole parlargli. «Il cielo — scrive Stendhal con un accostamento sublime di due parole — è disperatamente sereno». Julien monta su una scala (sempre una scala, sempre una salita) come gli è stato detto di fare, e entra nella stanza di Mathilde; le ultime resistenze reciproche sono vinte; i due diventano amanti. E di nuovo, in una oscillazione senza fine di rifiuti, cadute nell’abbandono e di nuovo rifiuti e abbandono, ricomincia la spietata lotta di ciascuno dei due contro se stesso. Finché Mathilde non scopre di essere incinta e il meccanismo obbligato delle vicende non sopravanza questa lotta. 
Tutti sappiamo come si conclude Il rosso e il nero . Costretta dal suo confessore, la signora de Renal scrive al marchese de La Mole accusando Julien di essere un profittatore. Mathilde lo avverte. Lui compra due pistole e a Verrierès, in chiesa, spara alla signora de Renal. Che però si salva. Julien, quindi, si dichiara colpevole. In attesa della ghigliottina, le due donne se lo contendono, ma lui confessa alla signora di Renal che ha amato solo lei, nella vita. Poi affronta il patibolo. Tre giorni dopo la signora di Renal muore. Mathilde si fa consegnare la testa di Julien e la seppellisce con le sue mani. E noi lettori non sappiamo ancora se abbiamo amato di più la tenera, tremante provinciale e le sue estenuanti effusioni, oppure l’algida ragazza parigina che ha combattuto con ogni sua forza contro l’amore, e dall’amore è stata vinta.

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