lunedì 11 giugno 2012

Uwe Tellkamp, La torre



Uwe Tellkamp, La torre. Storia di una moderna Atlantide, Milano, Bompiani, 2010



Heribert Tommek, da  “Allegoria” n. 62 (trad. di Michele Sisto)

Dal punto di vista formale La torre è uno Zeitroman, nella doppia accezione di affresco di un’epoca e meditazione sul tempo, ma è anche un romanzo di formazione e un romanzo d’artista con una specifica pretesa di verità. Modello esplicito è La montagna magica di Thomas Mann. Anche nella Torre si narra di una società in declino, quella borghesia di cultura che conduce un’esistenza anacronistica nel quartiere del Weißer Hirsch di Dresda come già nel sanatorio di Davos. Anche qui la narrazione abbraccia sette anni, dalla morte di Brežnev nel 1982 alla caduta del Muro. Il materiale storico è sottoposto, ancora sulla falsariga di Mann, a un trattamento musicale fin dalla wagneriana Ouverture: dal mare delle voci del passato affiora il mito di Dresda, la «Storia di una moderna Atlantide» (questo il sottotitolo). Perfino la topografia ricorda, nella sua organizzazione verticale, la Montagna magica: la narrazione inizia con l’ascesa del giovane protagonista Christian Hoffmann sui colli dell’Elba, il «lassù» culturale e politico che costituisce l’effettivo spazio della narrazione, contrapposto al «laggiù» dove sta la gente «normale».
Tra i protagonisti è soprattutto Meno Rhode, il redattore editoriale che con i suoi monologhi interiori introduce nel romanzo un livello metariflessivo, a condurre un’esistenza pendolare tra il polo borghese degli «abitanti della Torre» e quello della nomenclatura realsocialista, anch’essa insediata sui colli della «Roma dell’est». Christian, che come il Wilhelm Meister di Goethe vuole diventare un artista o quantomeno un medico di fama, si accosta al secondo polo soltanto esteriormente, prestando il servizio militare per ottenere l’accesso agli studi di medicina, ma conserva fino all’ultimo una riserva interiore. A ben guardare però il contrasto tra i due poli è più apparente che reale, poiché la concezione dell’uomo e i metodi pedagogici che vi dominano sono sostanzialmente analoghi: nell’irrigidito umanesimo di Christian – prodotto della sua educazione «lassù» – si manifesta un’estraneità al mondo che lo tiene a distanza dai personaggi che stanno «in basso» e dalla loro mentalità. Nella distinzione dal mondo inferiore del «popolo», il mondo interiore degli «abitanti della Torre» e quello esteriore dell’«aristocrazia rossa» possono identificarsi.
Al centro del romanzo stanno dunque i problemi di un’élite culturalmente e/o politicamente privilegiata, tanto da dare l’impressione che la vera resistenza interna alla DDR sia venuta dalla borghesia di cultura, mentre il movimento “dal basso” per i diritti civili appare assai sbiadito. La virulenza politica dell’opera di Tellkamp sta nel risuscitare il pathos, tradizionalmente borghese, della deutsche Tiefe quale collante per la deutsche Einheit; la sua virulenza letteraria nel ritorno a una narrazione mannianamente «mormorata all’imperfetto» che, innestata su una struttura testuale stratificata e frammentaria, rivela l’aspirazione a coniugare rappresentatività nazionale e modernità formale. In questo modo Tellkamp può tornare ad occupare, nel campo letterario tedesco, la posizione dello scrittore-notabile, il cui rinnovato successo è legato al rafforzamento di analoghe posizioni borghesi, neoconservatrici e neopatriottiche nel campo politico della Germania riunificata.



LUIGI FORTE, A Dresda era dolce l'inferno, in “Tuttolibri”, 12 giugno 2010

A leggere La torre. Storia di una moderna Atlantide, il romanzo fluviale di Uwe Tellkamp che Bompiani presenta nella bella traduzione di Francesca Gabelli, c’è da rimanere sbalorditi e da gridare al miracolo. Perché lo scrittore di Dresda non ha solo metabolizzato gran parte della letteratura moderna, dai romantici a Thomas Mann, da Doderer a Döblin, né ha unicamente rielaborato i registri più diversi, dal lirico all’epico, dal simbolico al realistico, con una scrittura che non conosce requie e s'insinua in ogni dettaglio della realtà sconfinando nella musica e nella scienza, fra simulacri artistici, allegorie politiche e utopie dismesse. 
A 40 anni, con due romanzi e una professione di medico già alle spalle, Tellkamp ha riassunto in modo emblematico un’intera epoca sullo sfondo di un paese al collasso usando gli strumenti del grande stile per rievocare gli ultimi sette anni della Repubblica democratica tedesca (analogo periodo trascorre Castorp, il protagonista della Montagna incantata di Thomas Mann, nel sanatorio di Davos) prima di quel fatidico 9 novembre 1989 quando cadde il Muro di Berlino. 
Per molti dei protagonisti come il chirurgo Richard Hoffmann, padre del giovane Christian, o suo cognato Meno Rohde, redattore editoriale, quell’annuncio è certo una liberazione che affossa però per sempre un intero mondo, compreso il loro. Perché gli abitanti della Torre, un quartiere residenziale di Dresda sulle pendici dell’Elba, sono una razza a sé: vivono in ville ormai fatiscenti dai nomi fiabeschi: Caravella, Casa dai Mille Occhi, Casa dei Delfini. 
Sono una strana élite che coltiva il gusto per i libri, la musica e l’arte, lontano dai paradigmi ideologici del socialismo reale: il loro futuro - annota Tellkamp - «andava verso il passato, il presente era solo una pallida ombra, una variante inadeguata e deforme». Tuttavia il regime non li risparmia: Richard, ad esempio, viene ricattato dalla Stasi per una relazione extraconiugale e indotto alla delazione; Meno si confronta suo malgrado con la censura e Christian in attesa di un posto come studente di medicina deve accettare un lungo e umiliante servizio militare da cui uscirà segnato nel corpo e nell’anima. La trama è un po’ tutta qui, ma il libro sconfina in molte direzioni e lavora con materiali eterogenei, trasformando fatti e vicende in un viaggio letterario. Lo stesso protagonista, Christian, sembra uscito dalle pagine di Thomas Mann: è il Tonio Kröger, il Castorp di Tellkamp. Intelligente e introverso, curioso e amante del mondo ma incapace di relazionarsi con gli altri, a parte il rapporto con lo zio Meno, che come lui si tiene ai margini della realtà e contrappone distanza e disincanto all’arroganza del potere dogmatico e intollerante. 
Christian accompagna il lettore attraverso un’epopea negativa che ribalta l’idea della provincia pedagogica (è il titolo della prima parte della Torre) richiamando il Goethe degli Anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister: là la rinunzia all'edonismo individualistico era finalizzato al bene della comunità; qui, nel socialismo reale, l'imperativo collettivistico diventa uno slogan per mascherare corruzione e protervia e affossare i vecchi resti di un umanesimo ormai alle corde. Non c'è spirito che tenga di fronte alla violenza di un potere illiberale e, come annota Meno in pagine diaristiche che assemblano tasselli di una vecchia utopia, «una società socialista si sviluppa a partire dalle sue contraddizioni». 
Tellkamp le ha ripercorse in lungo e in largo attraverso una miriade di personaggi presi dal mondo dell’editoria, della politica, dell’industria, dell’esercito: ognuna di queste realtà rivive in dialoghi vivacissimi in cui non si sa se ammirare di più la forma o l’ironica e drammatica sostanza. Ma l’originalità di questo splendido scrittore consiste nel trasporre, quasi impercettibilmente, la realtà di quegli anni con tutte le sue scorie in un simbolico e trasparente affresco: ogni dettaglio richiama la totalità degli eventi e quel mondo nel suo insieme vive di concatenazioni attraverso una struttura con tasselli tematici paralleli e sincronici. Forse è vero che La torre, come qualcuno ha detto, è un romanzo «sinestetico», che stimola tutti i sensi e introduce il lettore nell’inferno dei distretti industriali come nel dolce e morbido paesaggio dell’Elba; lo guida in ogni angolo di Dresda, fra passato e presente, e lo sollecita all’ascolto di un linguaggio che, come nell’ouverture o nel finale del libro, diventa pura musica con qualche enfatico tratto wagneriano. Tellkamp ha scritto un’opera corale con un sapere enciclopedico, una sensibilità e una creatività linguistica incomparabili: la meta finale per un grande e maturo scrittore, mentre nel suo caso sembra solo un prodigioso e geniale avvio.

Autore: Uwe Tellkamp
Titolo: La Torre
Edizioni: Bompiani, 
Pagine: 1308


L’inizio del romanzo:




Uwe Tellkamp: note biografiche

1968: nasce a Dresda; dopo gli studi superiori presta servizio militare come comandante di carro armato della NVA (Nationale Volksarmee, Armata Nazionale del Popolo). L’ufficiale politico del reggimento gli revoca il posto universitario a medicina per “attività di sabotatore politico”. 
1989: è detenuto nelle carceri della RDT.
1990: lavora come aiuto-infermiere in un reparto di rianimazione di Dresda. Studia medicina a Lipsia, Dresda e New York. Medico presso una clinica per chirurgia d’urgenza a Monaco
2004:  Premio Ingeborg Bachmann per Der Schlaf in den Uhren. 
2008: Premio Uwe Johnson e Premio Librario Tedesco per Der Turm.
Vive a Freiburg.

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