martedì 26 giugno 2012

Teatro Galilei: 10 anni di presentazioni


ROOSVELT: Mi può dire se io sono vivo o sono morto?
AUTORE: Lei è qui in teatro.
ROOSVELT: E con questo?
AUTORE: È nel luogo che corregge quello che è sbagliato, completa quello che è incompleto: il teatro è come i sogni. I sogni attuano quello che da svegli non possiamo attuare.

ALBERTO SAVINIO, Alcesti

2002/2003

Il codice di Perelà, di Aldo Palazzeschi
Il “romanzo futurista” Il codice di Perelà, pubblicato nel 1911 dalle marinettiane Edizioni di “Poesia”, ha come protagonista un uomo di fumo, uscito da una cappa di camino; lo strano “uomo” viene battezzato dai sudditi dell’immaginario (ma non troppo) regno di Torlindao “Pe-re-là”, le sillabe iniziali dei nomi delle tre vecchie – Pena, Rete, Lama – che lo hanno aiutato a venire al mondo e che lo hanno poi abbandonato, lasciandolo solo con un paio di stivali. Il “leggero” Perelà è inizialmente accolto da tutti – ministri e cortigiani, alti prelati e dame di corte, poeti, pittori, filosofi, cerimonieri e regnanti – con curiosità ed entusiasmo, che ben presto, però, si trasformano in sospetto e odio collettivo: non c’è posto per un uomo di fumo, leggero e aereo (come la fantasia? come l’innocenza? come l’amore? come la libertà?), nel regno della pesantezza,  che rappresenta forse tutto ciò che impedisce all’uomo di “staccarsi da terra”: leggi, convenzioni, egoismi, ipocrisie, incapacità di sognare… 
Quale sarà, allora, la “fine” di Perelà, protagonista della “favola aerea” di Palazzeschi? Vincerà la sua leggerezza o la pesantezza della condanna che gli uomini gli infliggono?

2003/2004
La visita della vecchia signora (Der besuch der alten Dame), tragicommedia in tre atti rappresentata per la prima volta nel 1956, è considerata il capolavoro di Friedrich Dϋrrenmatt. 
La vicenda si svolge a Gϋllen, immaginaria cittadina svizzera impoverita e decaduta, nella quale fa ritorno, molti anni dopo esserne stata cacciata con infamia, Clara Zachanassian, avventurosamente divenuta  miliardaria. Tutta la comunità di Gϋllen, sperando in generose donazioni, accoglie la  ricchissima concittadina con interessato entusiasmo, lo stesso che anima anche Alfredo Ill, l’antico amante di Clara che in gioventù, dopo averla sedotta, l’aveva abbandonata al suo destino per sposare un’altra donna. La vecchia miliardaria, il cui corpo è ormai un insieme di protesi artificiali, è accompagnata da uno strano corteo di servitori dai nomi ridicoli - Boby, Koby, Loby, Roby… - passivamente obbedienti alla tirannica signora. Tra le acclamazioni di tutti, Clara promette di donare alla città un miliardo, ma ad una condizione. “Come un’eroina della tragedia greca, assoluta, crudele”, vuole giustizia e insieme vendetta: “un miliardo per Gϋllen, - annuncia - se qualcuno uccide Alfredo Ill”. Insomma, “prosperità per un cadavere”. Quale sarà allora la scelta della comunità di Gϋllen? Accetterà di giustiziare il proprio concittadino, stimato padre di famiglia e futuro sindaco, in cambio della promessa ricchezza oppure rifiuterà “in nome dell’umanità”? Certo è che, improvvisamente, tutti in città cominciano a concedersi lussi fino a poco tempo prima impensabili. E Alfredo Ill comincia a temere sempre più per la sua vita, mentre lo “strano caso” attira i flash dei fotografi e la curiosità dei giornalisti.
Il dramma di Dϋrrenmatt, che inizia con la divertita leggerezza di una commedia e si conclude con un coro “simile a quello della tragedia greca”,  consente di riflettere e di interrogarsi sui grandi temi della ipocrisia, in un mondo in cui la vera bancarotta è quella morale.

2004/2005



Max Frisch, Don Giovanni o l’amore per la geometria (Don Juan oder die Liebe zur Geometrie), commedia in cinque atti, rappresentata per la prima volta nel 1953.

"Non hai mai provato questo semplice stupore di fronte a un vero sapere? Per esempio: che cosa è un cerchio? un puro luogo geometrico. Io ho bisogno di questa purezza, di questa sobrietà, ho bisogno di precisione, ho orrore della palude dei nostri stati d'animo. (…) Così e non altrimenti! dice la geometria. Così e non in un modo qualunque! Qui non puoi far trucchi, qui non valgono gli stati d'animo, esiste una sola figura che coincide col suo nome. (…) non ho mai vissuto niente di più alto di questo gioco, di questo gioco a cui obbediscono il sole e la luna" (Don Giovanni, atto III).

Prima parte (I, II, III atto) 
La commedia è ambientata a Siviglia, in un’epoca che, teatralmente, sovrappone e confonde età della Reconquista, siglo de oro e Settecento. Il giovane don Giovanni Tenorio, innamorato della geometria ma costretto, suo malgrado, a  sedurre ogni donna che incontra, è il promesso sposo di Donna Anna, figlia del Commendatore di Siviglia, Don Gonzalo. Tutti attendono l’arrivo del giovane per il matrimonio, che secondo un’antica usanza si celebra nella “notte del riconoscimento”, notte di festa e di danza in cui tutti, ad eccezione dei due sposi, mai incontratisi prima, indossano una maschera. Complice il travestimento, Miranda, una prostituta innamorata di don Giovanni, nonostante i saggi consigli di Celestina, tenutaria della più rinomata casa di piacere di Siviglia, tenta di sostituirsi con l’inganno a donna Anna. Arrivato Don Giovanni, può iniziare la solenne cerimonia nuziale, ma quella che seguirà sarà una notte di oscuri presagi, travestimenti, scambi di persona, duelli, fughe, inseguimenti, amore, morte… 
Seconda parte (IV, V atto) 
Don Giovanni è ora un uomo di trentatré anni, un po’ invecchiato e pieno di debiti, stanco di essere senza tregua costretto a sedurre donne che non ama e ad ucciderne i mariti, vittima della sua fama e perseguitato dalla Chiesa spagnola che lo accusa di ogni sacrilegio. E’ così che, nonostante la proposta di matrimonio di Miranda, nel frattempo divenuta Duchessa della Ronda e rimasta vedova, Don Giovanni decide di inscenare la leggenda della sua morte: tutti dovranno credere che la statua del Commendatore, una delle sue illustri vittime,  lo abbia trascinato all’inferno per punirlo della sua empietà. Don Giovanni, finalmente libero, non più obbligato ad amare le donne, progetta di ritirarsi in convento, per potersi finalmente dedicare alla sua “virile geometria”. Con l’aiuto del suo servo Leporello e della complice Celestina, organizza una cena, cui sono invitati il Vescovo di Cordova e molte vedove, vittime del fascino di Don Giovanni e desiderose di vendetta. E così …
L’ultimo atto si svolge al Castello della Ronda. Il Don Giovanni della letteratura è divenuto ormai un personaggio da commedia, emblema dell’empietà punita. Il Don Giovanni “reale”, invece, si trova imprigionato in quello che, forse, è l’unico, “vero inferno”...

2005/2006



Blov, storie d'amore fatte a pezzi. Adattamento teatrale di Carlo Dariol

Far dialogare tra loro personaggi di opere ed epoche diverse, insieme sulla scena per declinare la parola "amore" in modi, accenti diversi - tragici, lievi, appassionati, violenti, comici, litigiosi...: questo è Blov, storie d'amore contaminate e incastonate tra loro, “frullate” e insieme legate da filigrane di parole, situazioni, musiche.
Divideranno lo stesso palcoscenico gli sfortunati amanti delle famiglie dei Montecchi e dei Capuleti, Otello e la dolce Desdemona, il principe Amleto e la triste Ofelia. Vinta dall’eterna ferita d’amore si struggerà la tormentata Eloisa, mentre, esacerbati dai quotidiani contrasti, il signor Fulgenzio e la signora Eugenia (gli Innamorati di goldoniana memoria) si sfideranno a suon di ripulse, per poi schermirsi in provvisorie riconciliazioni, nell’eterno gioco dell’amore. E poi altri personaggi e diversi scenari per raccontare storie d’amore e di gelosie, d’amore e di tradimento. 
Amore: croce e delizia. Come i pezzi di uno specchio rotto, cui non ha senso tentare di ridare la forma originaria, ciascuno di questi frammenti  riflette la propria immagine dell’amore, quella particolare inclinazione che il sentimento ha assunto nel suo farsi storia.
Questo bizzarro e irriverente Blob teatrale si svolge sotto lo sguardo divertito e complice di Venere e Cupido, divinità tutelari pronte a colpire con le loro frecce personaggi e spettatori. E Amore in persona sfoglierà per noi il libro delle storie.

2006/2007




La guerra di Troia non si farà, di Jean Giraudoux  


Il dramma in due atti La guerre de Troie n'aura pas lieu è una delle opere teatrali francesi più conosciute del Novecento. Fu scritta nel 1935, l'anno in cui Hitler promulgò a Norimberga le leggi razziali e l'Europa era sospesa tra le ragioni della pace e della guerra. Il dramma è una sorta di preludio all'Iliade, ambientato in un'età remota, "in cui i personaggi del mito - ora colti nelle loro umanissime fragilità, ora emblemi di più alto significato - non sono ancora entrati nel regno della leggenda".
"La guerra di Troia non si farà", dice Andromaca a Cassandra mentre si alza il sipario. Ettore, reduce dall'ennesima guerra e desideroso di pace, ha convinto Paride a restituire Elena al marito Menelao per evitare lo scontro con i Greci. Ma il re Priamo e il poeta Demokos sostengono che quell'"incarnazione di bellezza" deve restare a Troia, costi quel che costi. Arriva l'ambasciata greca, guidata da Ulisse e Oiace, ed Ettore tenta di negoziare il ritorno di Elena. Anche l'astuto Ulisse sembra cedere al richiamo della pace, ma un'osservazione offensiva di Oiace serve da scusa a Demokos per incitare il popolo troiano ad attaccare i Greci. Sta per profilarsi un nuovo casus belli e per la poesia vi sarà nuova materia di canto: l'opera di J. Giraudoux termina dove comincia l'Iliade. Un enigmatico ed inquietante dono viene lasciato dai greci, destinato a diventare l'emblema dell'inganno e della fatalità che ogni guerra ha in sé.


Dall’atto I:
ETTORE: Padre, i miei compagni ed io rientriamo sfiniti. Abbiamo pacificato il nostro continente per sempre. D’ora in poi vogliamo vivere felici, vogliamo che le nostre donne possano vivere senz’angoscia e avere i loro figli.
DEMOKOS: La guerra non ha mai impedito a nessuno di fare l’amore.
ETTORE: Dimmi perché troviamo la città così cambiata per la presenza di Elena. Dimmi cosa ci ha portato in più, da valere una guerra coi Greci.
PRIAMO: Mio caro figlio, guarda solamente questa folla, e comprenderai che cosa è Elena. Lei è una specie di assoluzione. Elena prova a tutti questi vecchi qui e quelli coi capi canuti all’ingresso della città, a quello che ha rubato, a quello che trafficava in donne, a quello che ha sprecato la sua vita, che avevano in fondo a loro stessi una rivendicazione segreta, che era la bellezza. Se la bellezza fosse stata vicino a loro, come lo è oggi Elena, non avrebbero derubato i loro amici, né venduto le loro figlie, e tanto meno bevuto le loro eredità. Elena è la loro redenzione, la loro rivincita, il loro avvenire.
ETTORE: L’avvenire dei vecchi mi lascia indifferente.

Jean Giraudoux 
Originario della provincia francese, Jean Giraudoux (1888-1944), dopo gli studi giovanili di germanistica, intraprese con successo la carriera diplomatica, senza mai abbandonare l'attività letteraria. Dopo il successo di numerose novelle e romanzi, dal 1928 si dedicò soprattutto alla scrittura teatrale, spesso ispirata a miti classici rivisitati in chiave moderna: Anfitrione 38 (1929), La guerra di Troia non si farà (1935), Elettra (1937). Nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, fu responsabile presso il Ministero degli Esteri francese dell'informazione e della propaganda. Deluso e amareggiato dalla politica, negli anni dell'occupazione tedesca ebbe ruoli sempre più marginali nell'amministrazione della Repubblica di Vichy e la sua opera fu segnata dal tema della catastrofe e della follia (La pazza di Chaillot). Morì nel 1944. 

2007/2008






Qual è il titolo di questa commedia?

Immaginiamo….
Immaginiamo di visitare un’Isola in cui non siano possibili alternative: ogni abitante o è un Cavaliere – e dice sempre la verità – o è un furfante, e allora mente sempre. Immaginiamo che una Ragazza Sveglia e un Ragazzo Bullo si avventurino nell’Isola cercando di applicare elementari principi di logica per districarsi tra verità e bugie, tra Furfanti onesti e Cavalieri forse disonesti. Agli Incoerenti, ovvero a coloro che alternano verità e menzogne, è riservato il Manicomio. “Sembra tutto così assurdo…”.
In questa cornice “logica e metalogica” è racchiuso il dramma comico di Eugène Ionesco La lezione, satira feroce e grottesca dell’insegnamento, in cui una lezione privata di aritmetica – il regno dell’esattezza nell’opinione comune – si trasforma in una progressiva eclissi del principio di non contraddizione: “l’aritmetica conduce alla filologia e la filologia conduce al delitto”. I numeri e le parole, divenute sonorità vacue e insignificanti, scatenano nel Professore oscure pulsioni sadico-distruttive e la lezione si tinge di nero.
Riprendono, dopo la paradossale e macabra Lezione, le avventure dei due giovani nell’Isola: diversi incontri con i bizzarri abitanti dimostreranno loro che “con la logica ci si può difendere dalle menzogne”. Numerose Spiegazioni personificate ci guidano a risolvere il dilemma vero / falso, anche se non mancano colpi di scena: e se un Cavaliere mentisse?
La sera tutti si ritrovano al locale di Sherlock, dove si consuma una “tragedia da bar”; ancora una volta la logica sarà protagonista, almeno fino a quando …


Testi tratti da:
Raymond Smullyan, Qual è il titolo di questo libro? L'enigma di Dracula e altri indovinelli logici, Bologna, Zanichelli, 1981
Eugène Ionesco, La lezione [1951], in Teatro completo, I, Torino, Einaudi, 1993
Stefano Benni, Sherlock Barman. Tragedia da bar, In Teatro, Milano, Feltrinelli, 1999

2008/2009



L’ispettore generale (Revizor) 

Fu Aleksandr Puškin a suggerire a Gogol, in difficoltà economiche, di trarre ispirazione per una nuova commedia da un fatto di cronaca (Perché la vita, - come scriveva Pirandello - per tutte le sfacciate assurdità, piccole e grandi, di cui beatamente è piena, ha l’inestimabile privilegio di poter fare a meno di quella stupidissima verosimiglianza, a cui l’arte crede suo dovere obbedire…). 
Un giovane squattrinato di Pietroburgo, di nome Chlestakov, capita per caso in una sperduta cittadina della provincia russa. I corrotti notabili del luogo lo scambiano per un ispettore in incognito, inviato dal governo della capitale per smascherare corruzioni e inefficienze dell’amministrazione locale. Tutti, spaventatissimi all’idea che il presunto ispettore possa denunciarli, fanno a gara per corrompere il giovane "funzionario", che, resosi conto dell’equivoco, approfitta della situazione. Ottiene danari, favori, addirittura una promessa di matrimonio. Ma forse il gioco si è spinto troppo oltre… 
Questa commedia degli equivoci che castigat ridendo mores (forse non solo ottocenteschi…) debuttò il 19 aprile del 1836 a Pietroburgo, alla presenza dello zar Nicola I. Il realismo della vicenda lasciò interdetto o offeso il pubblico più conservatore, mentre entusiasmò coloro che nel testo colsero una volontà di denuncia: la commedia fu implacabile specchio di piccoli e grandi misfatti di burocrati e politici, mai rappresentati con tale schiettezza. Il riso, diceva Gogol, "è il mio unico personaggio onesto". 
L’adattamento proposto si è preso qualche libertà rispetto all’originale: alcuni personaggi sono stati (re)inventati, altri aggiunti e non manca il ricorso al gioco metateatrale. Si è comunque rimasti fedeli nella sostanza al testo gogoliano, che non smentisce la sua amara e tragicomica attualità: un po’ caricatura, un po’ farsa, un po’ dramma - serio - che mette in scena una vicenda di pubblica corruzione.

Nikolaj Vasilievich Gogol, "forse il genio più buio e misterioso della letteratura russa", nacque duecento anni fa, il 1° aprile (20 marzo secondo il calendario giuliano in uso fino alla rivoluzione d’ottobre) 1809, a Velikie Sorocincy, un villaggio ucraino, da una famiglia di piccoli possidenti terrieri. Nel 1828 si trasferì a Pietroburgo, dove lavorò come funzionario nel Dipartimento dei Beni patrimoniali e poi come docente di storia. La pubblicazione delle Veglie in una fattoria presso Dikan’ka (1831-32) gli assicurò i primi successi; seguirono, nel 1835, le raccolte di racconti Mirgorod e Arabeschi. Dopo il 1836, che vide andare in scena L’ispettore generale, trascorse quasi dodici anni all’estero, viaggiando instancabilmente; in Italia soggiornò soprattutto a Roma, dove scrisse gran parte del suo capolavoro, il "poema in prosa" Le anime morte, il cui primo volume uscì nel 1842. E’ dello stesso anno la composizione del celebre racconto Il cappotto. Nel settembre del 1848, dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, tornò in Russia. Visse per lo più a Mosca, lavorando al secondo volume delle Anime morte, che bruciò poco prima di morire, "malato nell’anima e nel corpo", nel 1852.

2009/2010


Il marito della presidentessa, libero adattamento da La Presidentessa, di Charles Maurice Hennequin (1863-1926) in collaborazione con P. Veber (1869-1942)
È il 1912: l'Europa vive, anche se ancora per poco, la sua Belle époque, luminosa, gaudente, spensierata... In Francia va in scena una commedia brillante e inaspettatamente maliziosa, La presidentessa, scritta da Charles Maurice Hennequin (1863-1926) in collaborazione con P. Veber (1869-1942). Contemporaneo di George Feydeau - suo rivale nel raccogliere i successi di pubblico - Hennequin fu autore di commedie lievi e disimpegnate, ma anche capaci di rispecchiare vizi e debolezze del pubblico che le applaudiva. La presidentessa, opera tra le più fortunate e riuscite dell'autore, si basa su consolidati meccanismi comici, quali lo scambio di identità o l'incontro indesiderato. Tutto è azione e battuta in questo ritratto spregiudicato e senza moralismi della società francese, alle prese con il potere politico-giudiziario e con la seduzione dei sensi. 
La scena si apre a Grey, cittadina della provincia francese, la cui vita tranquilla e rispettabile è improvvisamente animata dall'arrivo di una compagnia di teatranti, che rappresentano l'operetta I gigoló della marchesa. Stella del palcoscenico è Richard, attore e cantante "leggero". Allontanato dall'albergo cittadino per "schiamazzi notturni in luogo pubblico", Richard si impone come ospite nella casa della severa e inflessibile presidentessa del tribunale di Grey, Irma Tricó. All'inatteso arrivo di Jaqueline Gaudet, Ministra della Giustizia, Richard è scambiato per André, legittimo consorte di Irma, ex cuoco compulsivamente maniaco della lucidatura di ottoni e metalli. L'equivoco e lo scambio di identità si complicano quando la scena, dal secondo atto, si sposta a Parigi: seduzioni, favori, promozioni professionali, nomine politiche ruotano intorno al "diabolico" Richard, alla doppia identità del "Gigoló della Marchesa".

Nota bene 
La commedia fu scritta nel 1912. Il testo teatrale di Hennequine e Veber è stato pressoché integralmente ripreso, con una sola, non irrilevante, eccezione: i personaggi maschili della versione originale sono diventati femminili nell'adattamento proposto. È così che il ruolo principale della Presidentessa (il suo nome nell'originale era Gobette) è stato trasformato in quello di Richard, il marito della Presidentessa.

2010/2011



Occupati di Amelia, di  Georges Feydeau

Secondo la testimonianza dello scrittore francese Jean Cocteau, Georges Feydeau (Parigi, 1862 - Rueil, 1921), elegante, malinconico, indolente e svagato frequentatore di locali notturni, anima della Belle époque parigina, “non parlava mai del suo teatro, componeva di nascosto, come un vizio”. Strepitosi invece i successi ottenuti dalle sue esilaranti e spregiudicate commedie, scritte soprattutto tra il 1892 ed il 1908: sono gli anni di capolavori del teatro comico francese come L’albergo del libero scambioLa palla al piedeLa pulce nell’orecchio Occupati di Amelia!, del 1908.
Di lì a qualche anno le luci della Belle époque si spengono. Il mondo rappresentato da Feydeau in più di sessanta opere teatrali ciniche e brillanti è improvvisamente divenuto “il mondo di ieri”. Solo a partire dal secondo dopoguerra le commedie di Feydeau entrano nel prestigioso repertorio della Comédie Française, apprezzate da ogni pubblico per la loro capacità di muoversi con crudele e disincantata leggerezza tra i deliziosi inganni della vita amorosa.
In breve, ecco l’antefatto di Occupati di Amelia! [Occupe-toi d’Amelie!], commedia di equivoci in cui amore, denaro, scambi di persona, finti (o veri?) matrimoni, malintesi e gaffes linguistiche costituiscono gli ingredienti di quello che è stato definito un “meccanismo comico ad orologeria”.
Parigi, 1908: Amelia d’Avranches, celebre cocotte, è l’amante di Stefano, in partenza per la ferma militare. Ad interrompere i saluti tra i due giunge la contessa Irene, amante di Marcello, il migliore amico di Stefano, preoccupata per essere venuta a conoscenza delle imminenti nozze tra Amelia, sua ex cameriera, e il “suo” Marcello. È l’arrivo di quest’ultimo a chiarire l’equivoco: stanco di vivere in ristrettezze economiche e costretto a sposarsi per ottenere la ricca eredità paterna, Marcello ha scritto al “padrino” e tutore del suo patrimonio, l’olandese “di Anversa” Van Putzeboum, facendogli credere che si unirà in matrimonio con Amelia. Naturalmente il matrimonio nelle intenzioni è solo una farsa, ma Van Putzeboum giunge improvvisamente a Parigi per assistere di persona alle nozze con colei che crede una fanciulla di ottima famiglia. L’intrigo si complica anche per la comparsa di uno spasimante di Amelia, il Principe di Palestrìa, che a tutti i costi vuole trascorrere una notte con la celebre cocotte parigina. Prima della sua partenza Stefano, preoccupato di tante attenzioni nei confronti della sua amante, la affida in “custodia” all’amico Marcello: “Occupati di Amelia!”, gli chiede…
2011/2012



Il povero Piero, di Achille Campanile


da Tragedie in due battute: 
La scena rappresenta l'oltretomba, subito dopo la morte di Achille Campanile. Eschilo e Sofocle gli vanno incontro scompisciandosi di lacrime: 
ESCHILO E SOFOCLE: Oh fero lutto e quale mai sventura! Anche tu giungi nella valle oscura! 
ACHILLE CAMPANILE: Colleghi, non facciamo una tragedia. 
(Sipario)

«L'umorista è uno che fa il solletico al cervello», scrisse Achille Campanile, autore della surreale, sarcastica, "ilarotragica" commedia Il Povero Piero, nata dalla drammatizzazione dell'omonimo romanzo pubblicato nel 1959. 
"Benché si sappia con certezza che tutti dobbiamo morire, pure tutti restano sorpresi del fenomeno". Così esordisce la prima Voce del Prologo, che avvia una serrata ed irriverente riflessione sui rituali che nel teatro della vita accompagnano la morte: le lacrime, il cordoglio, le frasi di circostanza, i telegrammi, le pompe funebri, i fiori... "Attorno al morto c'è un gran fervore di vita". L'unico impassibile è lui, il morto, già a suo agio nella "parte" che gli è appena stata assegnata. 
Si alza poi il sipario sul primo atto: la famiglia riunita legge il testamento del "povero Piero", appena defunto. Niente soldi, ma una richiesta ben precisa: la notizia del suo decesso dovrà essere data solo ad esequie avvenute. Non sarà facile, per i parenti, rispettare la volontà del congiunto: imprevisti, malintesi e sotterfugi si susseguono a ritmo serrato, mentre il cadavere del "caro Piero" - ancora in casa - viene trasferito da una stanza all'altra (sì, c'è anche il cadavere nell'armadio...), nel tentativo di sfuggire alle continue ed impreviste visite di parenti ed amici, ancora ignari dell'accaduto. I dialoghi incalzanti e paradossali, che velenosamente sottolineano la convenzionalità di parole e gesti quotidiani alle prese con la ritualità del lutto, ci accompagnano fino al teatrale colpo di scena del terzo atto. In hilaritate tristis e in tristitia hilaris: questa è la libertà consentita all'umorista, "fare l'opposto di quello che fanno gli altri", come dimostra la luce grottesca, feroce, divertita e insieme commovente che Campanile getta sulla morte e sulle nostre stesse debolezze: «Per il pensiero non c'è partenza migliore del riso» (W. Benjamin).

NOTA SULL' AUTORE 
Achille Campanile (Roma, 1899 - Lariano, 1977) fu giornalista, narratore e scrittore di teatro. Il suo umorismo corrosivo e graffiante che "amplifica e poi distrugge il quotidiano" (U. Eco) è da diversi anni oggetto di ampia rivalutazione critica. Le sue opere - tra le quali ricordiamo Tragedie in due battute, Vite di uomini illustri, Manuale di conversazione, Gli asparagi e l'immortalità dell'anima - sono pubblicate nei Classici Bompiani. Per saperne di più: www.campanile.it



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