Eva Cantarella
“Corriere della Sera“,
9 novembre 2013
Tutti i giorni sono uguali, non le notti. Non è una battuta libertina ma la conclusione che viene alla mente dopo aver sfogliato «Nuits antiques», raccolta di testi curata da Virginie Leroux, preceduta da una conversazione tra Michel Serres e Michel Polacco (Edizioni Belles Lettres, pp. 336). Le notti antiche erano uniche. In esse si esagerava con il cibo e con i sensi; nel buio di Roma l’imperatore Nerone — riferisce Svetonio — si concedeva tutte le licenze possibili, anche dentro le taverne. A cena da Trimalcione, assicura Petronio, si perdeva il senso del limite: le portate ormai suscitavano meraviglia e saziavano gli occhi prima del ventre. Le abbuffate diventarono un fatto estetico, un’ostentazione; la volgarità era la nuova signora, le preoccupazioni per una sana nutrizione erano bandite. Tra feste e veglie, nelle ore scellerate anche i filosofi cercavano di non dormire. Il cibo era simile a un dio che permetteva di superare tutti i riferimenti della decenza. I commensali preferivano ingozzarsi e non attendevano che rare volte la digestione: di solito espellevano dopo aver esagerato. O forse a casa di Trimalcione la cena era un gioco supremo. Con la vita.
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