mercoledì 13 novembre 2013

Scienziati superstar Il Nobel ai tempi dei mass-media conta più la fama della ricerca


L’allarme dall’Università di Washington 
“I media premiano troppo visibilità e personalizzazione”

Massimiano Bucchi

 “La Repubblica “, 8 novembre 2013

«Papà, i nostri compagni di scuola pensano che tu sia un fico!». Così i figli di Peter Agre accolsero il padre allorché si diffuse la notizia che gli era stato assegnato il premio Nobel per la Chimica 2003. «Prima di allora non si erano mai interessati al mio lavoro», commentò stupito lo scienziato, comprendendo di aver varcato quella soglia oltre cui la notorietà sul piano scientifico si trasforma in visibilità mediatica e perfino in celebrità.
La presenza di “scienziati visibili” caratterizza gran parte della storia della scienza. Le conferenze di Natale di Michael Faraday alla Royal Institution nel primo Ottocento richiamavano un pubblico numeroso ed entusiasta. Agli inizi del secolo successivo, la popolarità di figure come Thomas Edison e Nikola Tesla era tale che nel 1915 la Reuters e numerosi quotidiani annunciarono erroneamente che i due avevano ricevuto il premio Nobel per la fisica. Prima ancora di essere premiato a Stoccolma, Guglielmo Marconi era già una figura nota al grande pubblico: i supplementi illustrati davano ampio spazio alle sue invenzioni e alle sue vicende private e in un solo anno (1903) il Corriere della Sera arrivò a dedicargli ben 67 articoli; la stampa svedese lo seguì minuto per minuto durante la sua visita a Stoccolma. Alcuni studiosi collocano simili processi nel contesto di una crescita della società dei consumi e dell’industria dell’intrattenimento, che contribuirono a definire una nuova “cultura della personalità” in cui esponenti del mondo della cultura, della scienza e dello spettacolo avevano sempre più spazio a discapito di figure dal mondo dell’impresa e della politica.
Ma la celebrità scientifica per eccellenza del secolo scorso fu indubbiamente Albert Einstein. Dopo che i maggiori quotidiani internazionali annunciarono in prima pagina i risultati che confermavano la teoria della relatività, ogni suo viaggio e conferenza divenne un evento di rilevanza pubblica. Nel 1923, la folla raccolta per accoglierlo a Tokyo paralizzò la stazione; «alla sagra del crisantemo » scrisse un quotidiano «né il principe reggente né i principi imperiali erano al centro dell’attenzione: tutto ruotava intorno ad Einstein». L’immagine in cui mostra la lingua, ritagliata da una foto scattatagli in auto in occasione del suo 72esimo compleanno, è divenuta un’icona globale da poster e da T-shirt.
Dopo la seconda guerra mondiale, la visibilità scientifica fece un nuovo salto di scala grazie alla crescente presenza di temi scientifici nei media e soprattutto alla diffusione della televisione. L’astro-nomo e divulgatore Carl Sagan divenne una figura familiare al pubblico americano grazie alla sua partecipazione al Johnny Carson Show e a serie televisive di grande successo come Cosmos – il libro tratto dalla serie restò in classifica per 70 settimane e ogni cena al ristorante divenne l’occasione per un assedio da parte dei fan.
Oggi lo scienziato che su scala internazionale più incarna il concetto di celebrità è probabilmente il fisico Stephen Hawking. Autore del bestseller planetario Dal Big Bang ai buchi neri, Hawking è comparso tra l’altro in vari episodi dei Simpson, in un episodio di Star Trek e la sua voce computerizzata è stata inserita in una canzone dei Pink Floyd. Hawking evidenzia anche la fusione di dimensione pubblica e privata che sempre più caratterizza l’immagine pubblica degli scienziati più visibili. Testate come Vanity Fair hanno dato ampio risalto alla sue tormentate vicende sentimentali; in occasione del suo settantesimo compleanno i media di tutto il mondo hanno rilanciato le sue considerazioni sulla scienza, l’Universo, e su quale tema occupi maggiormente i suoi pensieri («Le donne. Sono un completo mistero»).
Secondo Declan Fahy dell’American University di Washington, il fenomeno delle celebrità scientifiche va compreso nel quadro di una «crescente mediatizzazione della scienza che ha reso il mondo della ricerca sempre più permeabile alle logiche della visibilità e comunicazione pubblica».
Le celebrità scientifiche offrono infatti ai media la possibilità di personalizzare temi e argomenti complessi ed astratti, oltre che di ancorare e nobilitare gli argomenti più disparati grazie al prestigio pressoché indiscusso di figure come i premi Nobel.
Non scontato è che la presenza mediatica di una celebrità contribuisca a diffondere e valorizzare contributi scientifici. Quando nel 1999 il premio Nobel Renato Dulbecco partecipò al Festival di Sanremo, uno studio rivelò che una quota rilevante del pubblico non era in grado di riconoscerne correttamente l’area disciplinare, e talvolta neppure di qualificarlo come scienziato; nemmeno l’aver seguito il Festival migliorava significativamente l’accuratezza delle risposte.
Difficile, anzi difficilissimo diventare una celebrità scientifica. Ma una volta acquisita, la celebrità si autoalimenta secondo quello che il sociologo Robert Merton definì “Effetto San Matteo”, dal passo dell’omonimo Vangelo in cui si dice: «a chi ha, verrà dato, e sarà nell’abbondanza: ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha» (Matteo, 25:29). Coloro che già si trovano in posizioni di visibilità e prestigio avranno accesso privilegiato ad altre risorse e posizioni di visibilità, e così via. Nelle parole di un premio Nobel per la fisica, «il mondo tende a dar credito alle persone già famose». Di qui non solo la tendenza a far esprimere le celebrità su argomenti spesso ben distanti dalle loro competenze specifiche, ma la capacità della popolarità mediatica di riverberarsi sulla stessa comunità scientifica. Il fisico Jeremy Dunning-Davies, ad esempio, si lamenta del fatto che «gli articoli scientifici che mettono in discussione le teorie di Hawking non hanno successo perché la sua reputazione è andata ben oltre la dimensione puramente scientifica».
Einstein, che aveva sperimentato tutta l’ambivalenza della condizione di celebrità scientifica, riassunse la sua esperienza con la consueta ironia: «Per punirmi del mio disprezzo per l’autorità, il destino ha fatto di me stesso un’autorità».

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