Collaboratore scientifico del «New York Times»,
ha scritto sul tema libri divenuti best seller
«Esercitiamo sempre di meno questa risorsa cognitiva.
I nostri figli sono perennemente distratti»
Cristiana Pulcinelli
"l’Unità", 31 ottobre 2013
L’ATTENZIONE È UNA RISORSA IMPORTANTE. ENTRA IN NUMEROSE OPERAZIONI MENTALI: la comprensione, la memoria, l’apprendimento, la lettura delle emozioni degli altri. Eppure, forse, la stiamo perdendo perché, come dice Daniel Goleman, «l’attenzione è un muscolo della mente e se non si usa si indebolisce».
Goleman ha insegnato psicologia ad Harvard, è collaboratore scientifico del New York Times ed è autore di un best seller: L’intelligenza emotiva. Ora esce in Italia il suo nuovo lavoro: Focus (Rizzoli editore, pp. 374).
Il suo libro parla dell’attenzione che, però, è un concetto un po’ sfuggente. Ce ne può dare una definizione?
«Ci sono differenti tipi di attenzione, ma i più importanti sono tre. Il primo è quello che chiamiamo “concentrazione”, ovvero la capacità di selezionare: stiamo attenti ad alcune cose e ne ignoriamo altre. Facoltà essenziale per lavorare in modo efficace ed è fondamentale sia nell’apprendimento che nella vita professionale. Ma è una capacità che richiede uno sforzo attivo. Il secondo tipo di attenzione è quella che io chiamo la consapevolezza aperta o sensoriale. Ne abbiamo esperienza quando ci sdraiamo su una spiaggia e ci godiamo il suono delle onde o la vista del tramonto. È l’immergersi nella pienezza dei sensi. L’essere «qui e ora» e godere di questa esperienza. Il terzo tipo si ha quando lasciamo libera la nostra mente di vagare. È il perdersi nei propri pensieri. Se la creatività è la capacità di pensare elementi diversi e metterli insieme in modo insolito, questo è lo stato in cui la creatività si esprime».
Per il libero gioco della mente, però, ci vuole tempo libero. Oggi che ne abbiamo sempre meno siamo anche meno creativi?
«In realtà abbiamo più tempo di quanto crediamo. La creatività si articola in diverse fasi, entrambe importanti. Una si ha quando siamo pienamente concentrati su una cosa da risolvere. L’altra quando lasciamo andare la mente. Ma il momento in cui ci si lascia andare, si molla, non è tanto il tempo libero, quanto i tempi morti: quando siamo sotto la doccia, quando portiamo a spasso il cane, quando fissiamo il fuoco. Nella storia della scienza ci sono molti esempi di intuizioni importanti avvenute in questi momenti. È vero che oggi siamo sempre più occupati, ma quello che dovremo recuperare non è tanto il tempo libero, quanto i momenti tra i momenti. Sono quelli il luogo in cui emergono le idee».
Oggi sentiamo dire che la capacità di attenzione soprattutto dei giovani si è ridotta, ma anche che riusciamo a dare attenzione a più cose contemporaneamente. Due affermazioni contraddittorie?
«Non c’è dubbio che oggi i giovani siano circondati da molte più distrazioni rispetto al passato, pensiamo solo agli strumenti tecnologici: smartphone, ipad, computer. È vero che questo vale anche per tutte le giovani generazioni precedenti, ma oggi i nostri figli non riescono più a fare con la stessa frequenza del passato un’esperienza di alta concentrazione senza essere interrotti. E se il muscolo dell’attenzione non si usa, si indebolisce: un insegnante mi raccontava come gli studenti di 14-15 anni oggi hanno più difficoltà a comprendere i testi che vengono loro assegnati da leggere rispetto agli studenti di alcuni anni fa. Quindi dobbiamo essere più attivi e determinati nell’aiutare i bambini fin da piccoli ad esercitare il muscolo dell’attenzione. D’altra parte, oggi sappiamo che il multitasking è un’invenzione. Non è vero che facciamo attenzione a tante cose contemporaneamente, piuttosto passiamo molto velocemente da una cosa all’altra. Il che può essere utile, per esempio, ad una mamma che lavora e ha tanti figli, però può creare anche dei problemi: se non riusciamo più a leggere un testo o a scrivere un testo perché siamo continuamente interrotti da distrazioni, io credo sia un bel problema».
Se, durante una conversazione, non si presta attenzione all’interlocutore perché si guarda in continuazione l’e mail, l’sms o il social network, si perde una parte importante del messaggio: quello che ci dà la comunicazione non verbale. Lei pensa che questo creerà problemi in futuro?
«Sospetto di sì. Noi abbiamo un cervello sociale che legge i segnali non verbali. Questo cervello si sviluppa nel corso della vita e continua a crescere fino a circa 25 anni. Più questo cervello viene usato, più saremo in grado di collegarci con la mente dell’interlocutore e, in ultima analisi, di avere rapporti profondi con gli altri. Ma se la nostra attenzione è continuamente distratta da ciò che accade nell’ambiente, il cervello disimpara a leggere i segnali non verbali. Questo è quello che penso ed è il motivo per cui sono sostenitore dell’insegnamento a scuola di certe competenze come l’empatia, la capacità di leggere gli altri. Stiamo vivendo un esperimento non intenzionale che coinvolge tutta una generazione a livello globale. Il risultato lo vedremo tra alcuni anni».
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